In questo tempo di cambiamento epocale, al convegno è emersa da più voci l’urgenza di focalizzare l’attenzione non solo sui rapporti sociali contradditori e conflittuali, ma anche sui “rapporti di concordia e di comunione” in atto nella complessa società odierna. Lo ha evidenziato Chiara Lubich che, nel suo messaggio, ha indicato nella ’fraternità’ “un principio spirituale che è al contempo una categoria antropologica, sociologica, politica, capace di innescare un processo di rinnovamento globale della società”. La proposta nasce dall’esperienza pluridecennale sia a livello personale che a quello delle istituzioni politiche e strutture economiche.

Il convegno è stato caratterizzato proprio dal dialogo, tipico della disciplina sociologica, tra teoria e esperienze realizzate nei più vari contesti culturali e sociali come quella del Centro culturale La Pira di Firenze, aperto a studenti stranieri di varie culture e religioni; di una comunità terapeutica italiana per ex-tossicodipendenti; del Centro internazionale per la famiglia della cittadella di Loppiano (Incisa Valdarno-Firenze), oltre all’esperienza di integrazione, a Fontem, nel cuore della foresta camerunese, tra europei al primo impatto con la cultura africana, e i Bangwa, un popolo profondamente ancorato alle proprie tradizioni.

Dalla lettura sociologica delle diverse esperienze, si sono evidenziati nuovi possibili modelli, nuovi schemi di applicazione, come il “paradigma dell’unità” di cui ha parlato il professore polacco Adam Biela, già Preside della Facoltà di sociologia dell’Università di Lublino, ora senatore. Categoria sviluppata dalla sociologa brasiliana Vera Araujo, come paradigma di unità-fraternità, capace di leggere le relazioni di unità e distinzione, di reciprocità, dono e comunione. A conclusione del Convegno – come ha detto Vera Araujo – è emersa “un’ incipiente comunità scientifica che assume ora questi paradigmi, queste nuove strategie di ricerca, per cercare insieme nuove prospettive per le scienze sociologiche”.

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