Movimento dei Focolari
Chiara Lubich e le religioni: la “regola” del dialogo

Portogallo: giovani in azione contro l’emarginazione

Con gli anziani in una casa di riposo. Con i detenuti nella prigione locale. In un istituto di assistenza sociale. Con coetanei diversamente abili in un Centro di educazione speciale. Non sono questi i luoghi in cui  i giovani trascorrono abitualmente il loro tempo. Ma lo scorso 8 febbraio, a Caldas da Rainha, nella regione ovest del Portogallo, un gruppo di un centinaio di Giovani per un Mondo Unito ha voluto dare un segnale alla città, per scuotere se stessi e gli altri dall’indifferenza. Punto di partenza, un meeting presso l’auditorium del Centro sociale Parish, per sintonizzarsi sull’obiettivo: il desiderio di testimoniare l’amore fraterno, convinti che “vivere per un mondo unito” può essere una risposta alle sfide di oggi, ispirati anche dalle esperienze di giovani di altri Paesi. E da lì, in gruppi, si sono recati in diversi punti della città da coloro che hanno più bisogno di aiuto, o dove si poteva lasciare un segno di attenzione per il territorio. Ridipingere i muri del Centro giovanile su richiesta del Comune. Distribuire caffè, biglietti, un sorriso, un saluto ai passanti ignari e sorpresi. È stata una proposta originale per gli abitanti di Caldas da Reinha, contagiati dall’entusiasmo e la convinzione dei giovani. «Se ognuno facesse qualcosa lì dove si trova, tutto potrebbe cambiare», ha dichiarato il vice sindaco Hugo Oliveira. «Sono andato per dare, e ho ricevuto», racconta un giovane di ritorno dalla visita ai detenuti. Tra questi, alcuni hanno espresso il desiderio di essere, anche loro, costruttori di un mondo unito. «Cercherò di perdonare…», «Stabilirò più contatti con la mia famiglia», hanno scritto dopo questa esperienza. Una giornata intensa, che non è passata inosservata, e che ha coinvolto molte realtà. Ma la sfida è appena cominciata, dicono i giovani: «Vogliamo continuare insieme il cammino della fratellanza universale dove abitiamo, a partire dalle piccole cose, nelle nostre famiglie, nei rapporti con gli amici, a scuola, al lavoro». Per puntare poi alle sfide più grandi. (altro…)

Chiara Lubich e le religioni: la “regola” del dialogo

Brasile. Un focolare nel Morro

«Lo scorso 23 febbraio – scrivono i focolarini –, assieme ad una rappresentanza della comunità e con la presenza dell’arcivescovo mons. Wilson Tadeu Jönck, abbiamo fatto una semplice e fraterna cerimonia per ufficializzare il trasferimento del focolare maschile alla favela del Morro Mont Serrat, nella periferia della città. L’arcivescovo ha benedetto il nuovo focolare ed ha celebrato la messa nella cappella della comunità locale, concelebrata da Don Vilson Groh, sacerdote volontario del Movimento, auspicando che la vita dei focolarini “sia una testimonianza di santità così come Dio è santo”». Nei presenti si sentiva la gioia di camminare insieme alla Chiesa oggi, che attraverso papa Francesco «continua ad invitarci ad andare incontro all’umanità – aggiunge Keles Lima –  vicino alle persone, specialmente quelle più povere”». «È proprio il carisma dell’unità – afferma Lucival Silva –, che ci fa sentire l’importanza di esserci per dare il nostro contributo, insieme a tutte le forze che già lavorano nella Chiesa locale e nel Morro, cercando di essere costruttori di “ponti” che uniscono le persone delle diverse classi sociali, separate spesso dalle mura dell’indifferenza». Contagiava la gioia presente negli occhi dei focolarini coinvolti in quest’avventura e anche della comunità locale del Movimento. Era come riprendersi un pezzo di storia dei Focolari, quando Chiara Lubich con il primo gruppo a Trento ha cominciato dai poveri, fino a capire che «tutte le persone sono candidate all’unità». Don Vilson Groh è da anni che abita e lavora nel Morro portando avanti una rete di iniziative in collaborazione con la società civile, la pubblica amministrazione e il mondo imprenditoriale; azioni finalizzate ad aprire nuove prospettive di vita ai giovani. Francisco Sebok,  lavora con lui in uno di questi progetti in un quartiere dominato dal traffico delle droghe. Fabrizio Lucisano già lavora da qualche tempo come medico di famiglia nel Morro; e Keles ha cominciato a lavorare come insegnante nella scuola elementare locale. Completano la squadra dei focolarini due sposati, Miguel Becker e Arion Góes. La casa presa in affitto è modesta, non stona con le altre circostanti. «È piaciuta a tutti – dice gioioso Francisco –; infatti, anche se con pochi mezzi, abbiamo cercato di arredarla con buon gusto. Al momento ha 2 stanze, una sala, una cucina ed un bagno. «Siamo coscienti che non risolveremo il problema sociale del Brasile né di una città – afferma Lucival –, e neanche di questa favela; ma questa esperienza può essere un segnale del nostro Movimento alla Chiesa e alla società, per dire che noi vogliamo camminare insieme a tutti, ricchi e poveri, per contribuire a realizzare il testamento di Gesù “che tutti siano uno”». «Nel 1993 – ricorda Fabrizio –, Chiara Lubich aveva dato al focolare maschile di Florianópolis il nome di “Emmaus”, e lei stessa scriveva: “Dove Gesù era tra i discepoli, simbolo di Gesù in mezzo, che illuminava le scritture….”. Abbiamo voluto mettere questo augurio di Chiara all’entrata del focolare per ricordarcelo sempre». (altro…)

Chiara Lubich e le religioni: la “regola” del dialogo

Ucraina: diario da Kiev

«La situazione appare relativamente calma a Kiev, le violenze si sono spostate in Crimea, dove la Russia ha enormi interessi economico-militari… C’è grande incertezza a Kiev e in tutta l’Ucraina. Si avverte l’emozione dirompente di un momento storico per l’Europa, anche se non si sa bene che cosa potrà succedere nei prossimi mesi… La gente fatica a mettere assieme quel che serve per sopravvivere. «…Le fazioni presenti nel Paese non sono così uniformi come si potrebbe pensare – russi, cosacchi, tatari, slavi ucraini, polacchi… -, per giunta divisi in culti molteplici e spesso in conflitto tra loro. Non c’è da stupirsi, allora, delle recenti fiammate nazionaliste e filorusse, che trovano la loro origine in brutali repressioni e in violente rappresaglie che si susseguono ogni dieci-venti anni. «Una notte in piazza Maidan. Nonostante il freddo, le migliaia di giovani rivoluzionari non hanno abbandonato le loro tende. Un mausoleo a cielo aperto, ormai. Arrivo alla piazza che la sera è già scesa. Nelle strade si vive in un’atmosfera surreale di silenzio, quasi assenti le macchine, di poliziotti non c’è nemmeno l’ombra… Ecco i luoghi dove sono stati ammazzati i primi giovani, colpiti dai cecchini appostati sui tetti degli edifici del governo più che dalle forze dell’ordine. Ovunque lumini accesi e fiori deposti… Da qui i giovani hanno, con la loro determinazione, portato alla caduta del presidente. Il Paese è comunque spaccato in due, eppure questa folla – fertilizzata dal sangue dei martiri – non sembra decisa a mollare d’un centimetro. Fa freddo, ci si trattiene attorno ai falò, si bevono bevande calde offerte dai Cavalieri di Malta, dalla Croce Rossa, da volontari d’ogni genere… «Maidan vibra per la Crimea. La calma del centro di Kiev viene scosso dalle notizie inquietanti provenienti dalla Crimea. Le opinioni sono diverse, ma la speranza di una Ucraina libera e indipendente non cessano… Con un appello lanciato attraverso i social network, la popolazione s’è messa a ripulire sia il grande parco dinanzi al Parlamento, sia la stessa piazza Maidan e dintorni. Uomini, donne, anziani e bambini si sono impegnati per cancellare le tracce della lunga battaglia di Kiev. Una giornata trascorsa ad inseguire le notizie provenienti dalla Crimea… Ora la diplomazia è al lavoro: si spera nella mediazione dell’Unione europea e dell’Onu. “Possibile che non si possa immaginare una Ucraina che non sia né russa né americana, ma solamente sé stessa?”, mi dice una delle dottoresse che da una settimana si sta prodigando per curare feriti e malati di piazza Maidan, nell’ospedale da campo improvvisato nell’Hotel Ucraina. «Certo è che la situazione è grave, e si ha la coscienza, forse ancor più di ieri, che in questa piazza-simbolo si sta giocando in qualche modo il futuro dell’Europa… Ma la gente di Maidan resta nel cuore, coi suoi lumini e i suoi fiori. La gente normale, quella che oggi, a centinaia di migliaia, ha voluto vedere i luoghi del martirio di un centinaio dei suoi figli. È per questa gente che l’Europa deve intervenire. Con la diplomazia. Le armi hanno fatto il loro tempo nella soluzione dei conflitti». di Michele Zanzucchi Fonte: Città Nuova online Leggi anche: Diario da Kiev Una notte in piazza Maidan Maidan vibra per la Crimea (altro…)