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L’11 settembre è presente nella mente di tutti come fosse successo ieri. Invece è passato un anno e se ci domandiamo che cos’è cambiato in noi ed attorno a noi, oltre agli incubi che spesso vengono ad occupare i sogni di persone che una volta si sentivano sicure nelle loro case e nei loro uffici, si può dire che l’America non è più e non sarà forse mai più la stessa.

Non si parla qui di governanti e di strategie politiche, ma di gente comune, quella che incontri per la strada tutti i giorni. E Bush, che ultimamente ha molto parlato di amore del prossimo e di altruismo, in realtà riflette l’opinione pubblica – ci diceva Harry Barrett, presidente del Medical College di New York -: "I politici sono molto attenti ai sentimenti popolari. Ne è un esempio anche come si siano trovati d’accordo, pur di partiti diversi, durante la controversia sulla costituzionalità o meno di chiamarci ’Una nazione sotto Dio’ nella promessa di fedeltà alla bandiera".
"Siamo tutti più seri – ci ha commentato -. Migliaia di vite che scompaiono in pochi minuti ed improvvisamente, la difficoltà di identificare tante vittime, sono fatti che non possono non far riflettere su ciò che vale. C’è una porta aperta oggi in America per chi vuol portare la realtà dell’unità".
Harry Barrett spera che non si costruisca dove una volta c’erano le torri, anche se ora si parla di grossi progetti edilizi per un risveglio dell’economia nella città di New York.
Speriamo che prevalga il buon senso.
"Altrimenti – dice Barrett – ci vuole un’economia nuova".
Anche i cervelli di Hollywood hanno vissuto momenti difficili. Era tempo di Bambi o di Rambo? Certi film buoni, che una volta avrebbero cestinato, sono stati messi in circolazione subito. E ora? Potrebbe tutto tornare come prima, ma c’è nell’aria una speranza. È il momento in cui si potrebbe dare una svolta ai contenuti delle pellicole. Anche qui ci vuole il coraggio di sognare.
Non c’e periodico che non abbia uno o due articoli sull’11 settembre e questo si va intensificando quanto più ci si avvicina all’anniversario. Difficile anche perché la gente sa che dopo il primo impatto e il senso di solidarietà sentito in tutto il mondo, ora l’America è criticata ed anche a Kabul vi è stata la prima manifestazione antiamericana.

Si è sentito il 4 luglio, festa dell’indipendenza, festa di solito gioiosa con bandiere sì, ma anche con hot dogs ed apple pie. Quest’anno si son preparate le cose forse anche più in grande di prima, ma la tensione, dopo tutti gli avvertimenti di possibili attacchi terroristici, era molto alta. E le solite parole sulla potenza e grandezza del paese avevano qualcosa di forzato, mentre ci si guardava alle spalle per il timore costante di un nemico insidioso che ti può inquinare l’acqua che bevi ed ha reso i viaggi un incubo.

Sulla copertina del Time Magazine del primo luglio, sovrapposte ad una grande croce si leggono le parole: "La Bibbia e l’Apocalisse. Un maggior numero di americani leggono e parlano della fine del mondo". Un articolo poi dello stesso giornale dice come un sondaggio del Time/Cnn indica che un terzo degli americani non solo sono interessati alla fine del mondo, ma parlano della Bibbia e di quanto ha da dire al riguardo. Un segno – si afferma – del momento difficile che il paese sta vivendo.
Dopo quelli sulla fine del mondo vengono i libri sui pompieri. "Firefighters are hot, i pompieri vanno per la maggiore", sottolinea il settimanale Time; ed elenca vari libri su di loro che stanno circolando nelle librerie.
Secondo nella lista dei bestseller indicati dal New York Times è il libro di Dennis Smith, Report from Ground Zero.

Dopo 18 anni di lavoro tra i pompieri, Smith racconta nel suo libro storie di colleghi, porta con sé i lettori a Ground Zero e lì li fa restare per i tre mesi di ricerca dolorosa degli scomparsi. Per Dennis la piaga è sempre aperta, troppi dei suoi amici non sono usciti dalle Torri. È come se fosse successo ieri. Ora teme che il tempo cancelli nel mondo il ricordo di quanto è accaduto.
"Ci ha messo dentro un’energia che ci fa procedere in modo positivo e anche arriverà al resto del mondo".

Perché è successo? Cosa c’è da imparare da tutto questo? Forse un senso della necessità di un’unità planetaria?
Smith pensa di sì. "Gli americani – afferma – devono rendersi conto che c’è tanta fame nel mondo".

Buona volontà?
Ce n’è tanta come popolo, ma non nasconde le difficoltà politiche e ideologiche.
Ricorda i giorni in cui lavorava nel South Bronx, quando, ancora giovane, si era accorto che c’era un nuovo tipo di povertà. Vedeva bambini con biciclette nuovissime in quartieri desolati e aveva capito che "non erano meno poveri perché avevano una bicicletta nuova". Così quando si pensa a paesi poveri, la gente può aver poco ma possiede spesso una televisione.
"Ogni giorno vedono americani ed europei, vedono come vivono e gli eccessi della loro cultura".

I pompieri sempre eroi? "Sì, perché ci vuole coraggio fisico e morale".
Smith è stato uno di loro e questa forza morale gli dà speranza ad un anno dalla tragedia. "Sento la voce dell’amore e dell’amicizia, è la voce di Ground Zero. È la voce della generosità, decisione, forza. È la voce della tragedia, della tristezza, del dolore, dell’ispirazione.
La voce dell’America".

L’America che lui ha in cuore e tanti sperano sia vista così in tutto il mondo.


Serenella Silvi – da Città Nuova

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