Chissà. Se nel ’43 a Trento non fosse dovuta scappare nei rifugi antiaerei col Vangelo stretto sotto il cappotto, forse oggi il movimento dei Focolari non sarebbe una realtà in 182 Paesi. Sarà per questo che Chiara Lubich oggi invita a non disperare. Anche nella tragedia indicibile dell’11 settembre.
Anche con una guerra che atterrisce chi credeva e crede nel dialogo. «Ci sono due modi di vederla – dice Chiara Lubich con la disarmante semplicità delle grandi anime – uno umano: migliaia di morti, una giustizia che occorre fare ma stando attenti a che non provochi altra violenza… Poi c’è l’altro modo. Un ragazzo di New York mi ha scritto: da quel giorno qui i muri di indifferenza stanno crollando, in questa città è rinata la solidarietà. Ecco – spiega – san Paolo ci dice che tutto coopera al bene per chi ama Dio. Tutto, proprio tutto. Capi di Stato, che prima non si guardavano nemmeno, ora collaborano. Chissà che domani non guardino al mondo come a una fraternità, che domani non succeda qualcosa di bello. Se non ci fosse stata la Guerra mondiale, quando tutto crollava, forse non avremmo capito che tutto è vanità. Ed è nata questa rivoluzione cristiana. La guerra è stata un segno della Provvidenza».

Chiara Lubich spazia a 360 gradi dai ricordi dei suoi primi passi alla crisi internazionale, della fede al dialogo ecumenico e interreligioso. L’occasione è speciale. Al Teatro Quirino si presenta Chiara Lubich – La dottrina spirituale, appena edito da Mondadori. È la « summa teologica » della donna che ha fondato un movimento di 2 milioni e 200 mila persone. Cattolici e non solo. Cristiani e non solo, tenuto conto dei 30 mila ebrei, musulmani, buddisti, induisti, taoisti. E perfino agnostici dichiarati, che lei chiama «persone di buona volontà di convinzioni diverse». Scritti di tutto il suo cammino spirituale in un’organica rappresentazione della sua dottrina spirituale.

A stimolarla al racconto c’è un’intervistatore di professione qual è Sergio Zavoli.
ei fruga nei suoi tanti ricordi di ottantenne lucidissima. E parte dagli inizi: «Il Signore chiama persone deboli perché trionfi la sua potenza. Ma li prepara. Ero piccolina quando le suore mi portavano all’adorazione eucaristica. A quell’ostia chiedevo: dammi la tua luce. A 18 anni avevo una fame tremenda di conoscere Dio. Volevo andare all’Università Cattolica. Non potei. Poi, provvidenzialmente, sentii una voce: sarò io il tuo maestro». «Ha avuto il suo rettore…», chiosa ironico Zavoli. E gli chiede: «Ma perché non s’è fatta suora?». «Non ne avevo la vocazione – risponde disarmante – e perché c’era bisogno di un’altra strada». Una strada che si chiama unità: nella fede, tra gli uomini. Arduo parlarne in tempi di guerra.

«Quello che stiamo patendo è il Signore che ci frusta un pochino – dice la Lubich – noi cristiani siamo oltre un miliardo, ma siamo considerati atei e infedeli. Presentiamo i nostri riti, non il nostro distintivo di cristiano. Da questo riconosceranno che siamo cristiani, dall’amore. Con le nostre chiese dobbiamo darci sotto con l’ecumenismo, tra noi cattolici dobbiamo mettere la fraternità». Non mancano gli aneddoti. «Il patriarca Atenagora mi confidò il suo grande desiderio di celebrare tutti attorno all’unico calice».
Ma le divisioni teologiche? «Mi disse: prendiamo tutti questi teologi, e mettiamoli su un’isoletta. Senza mangiare, finché non avranno risolto tutto». Zavoli la provoca: «Non corre il rischio del sincretismo?». «No mai. Gli altri ci stimano per la fedeltà alla nostra Chiesa». E l’Islam? Con loro non c’è reciprocità: «Non bisogna aspettarla – confida – arriverà spontanea. Noi abbiamo le nostre chiese fatte da persone vive». Tutto così facile? «Sant’Agostino – ricorda Zavoli – diceva di guardarsi dalla disperazione come dalla speranza senza fondamento: «C’è il cristianesimo – chiude Chiara Lubich -. Più fondamento di questo!».

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