Carissimi artisti e artiste del nostro Movimento e fuori, un abbraccio a tutti come prima cosa.

L’inizio di questo nostro convegno sulla bellezza e l’arte coincide, nel giorno e nell’ora – 23 aprile 1999, ore 11 -, con la promulgazione, ad opera di sua Eminenza il card. Poupard, della lettera di Giovanni Paolo II agli artisti. Una coincidenza meravigliosa. Non è difficile scorgervi il dito di Dio, Signore della storia, e anche della piccola, ma sua, storia del nostro Movimento. Questa lettera è dedicata: “A quanti con appassionata dedizione cercano nuove ‘Epifanie’ della bellezza per farne dono al mondo nella creazione artistica”. Quindi anche a voi.
Ed ora il tema.

Il febbraio scorso una settantina di Vescovi nostri, amici del Movimento dei Focolari ha visitato Loppiano. Al loro rientro, qui, al Centro Mariapoli di Castel Gandolfo, desiderando – come sono soliti – pormi delle domande, dissero: “Durante la nostra visita a Loppiano abbiamo sperimentato in maniera travolgente il ‘bello’, che fiorisce con grande trasparenza e purezza nel Movimento dei Focolari. Come spieghi tu questo fiorire di espressioni artistiche sempre più elevate?”
La domanda non mi ha sorpreso, ma mi ha confermato che quella nostra cittadella sta a dimostrare, con le sue artiste ed i suoi artisti, che l’arte è di casa nel nostro Movimento. E’ proprio così. E ciò spiega il titolo di questa mia conversazione; titolo che concentra il mio dire unicamente su un preciso programma. Non ho intenzione, infatti, e non sono nemmeno in grado, di parlare dell’arte in generale, delle varie scuole che l’hanno espressa durante i secoli, e così via. Il mio intrattenimento con voi, ora sull’arte si limita al rapporto che essa ha con la nostra realtà ecclesiale e sociale, la quale abbraccia non solo l’aspetto religioso della vita, ma tutti gli aspetti umani, non esclusa l’arte.

Non v’è dubbio che anche per noi la Bellezza assoluta è Dio, Dio che è eterno. E l’artista autentico partecipa, in qualche modo, di questa qualità di Dio. Lo fa attraverso le sue opere, che – se veramente opere d’arte – sopravvivono a lui, alla sua vita terrena, giacché portano in sé qualcosa di eterno: segno evidente che esse sono in relazione con la Bellezza suprema ed eterna, con Dio o con l’anima umana creata da lui immortale. Di conseguenza l’opera d’arte, con i suoi pennelli, con gli scalpelli, con le note, con i versi…, non può non essere vista come una sorta d’incarnazione, una rinnovata incarnazione, come scrive Simone Weil nel suo libro L’ombra e la grazia: “Nell’arte vera c’è quasi una specie di incarnazione di Dio nel mondo, di cui la bellezza è il segno. Il bello è la prova sperimentale che l’incarnazione è possibile” .

Ma, se è così, l’arte non può non elevare, non può non portare in alto, in quel cielo da cui è discesa.
E di questo effetto ne parla Platone nel Convivio se, in qualche modo, bellezza ed arte hanno lo stesso destino. Egli definisce la bellezza: “un raggio che, dalla faccia di Dio, come da sole bellissimo, si tramanda e si partecipa alla natura creata; e, resa questa bella e graziosa con i suoi colori, fa ritorno al medesimo fonte da cui è uscito.”
Di questa sublime capacità di elevare, propria dell’arte, ne ho fatto anch’io, recentemente, una piccola esperienza, che non penso fuori luogo narrarvi qui come atto di amore; esperienza che mi ha pure chiarito la funzione della bellezza, così avvertita oggi.

Un giorno, durante un viaggio in macchina ho voluto ascoltare l’Ave Maria di Gounod. Eseguita magistralmente, ricordava un velo finissimo ricamato qua e là delicatissimamente. Quell’ascolto ha elevato il mio spirito, sì da aprirmi all’unione con Dio ed in lui con Maria, da Gounod sublimemente esaltata. Era la festa della maternità divina e io l’ammiravo bellissima oltre ogni dire. Se Dio – pensavo – l’ha immaginata madre sua in Gesù, Verbo incarnato, splendore del Padre, quale grado di bellezza può aver mai raggiunto? Non lo potevo immaginare! E le ho parlato del mio arrivo da lei, forse non lontano. Ed ho avvertito che la sua presenza faceva sparire decisamente, in me e attorno a me, tutto ciò a cui posso essere ancora legata, anche di bello e di buono, su questa terra. E’ bastato, infatti, il pensiero di lei e la sua bellezza per stampare come un sigillo nel mio cuore: “Sei Tu, Signore, l’unico mio bene”.
Ed ho capito che quelle virtù, che ogni giorno le chiedo d’insegnarmi, necessarie perché tali parole diventino realtà, lei me le dava, non elencandomele, non spiegandomele, non infervorandomi a viverle, ma mostrandosi. Sì, è la bellezza, di cui Maria è esemplare divino, che salverà il mondo. E tutto ciò ho compreso perché una musica, ascoltata, era opera d’arte.

 Ma da quando e come la bellezza ha avuto cittadinanza nel nostro Movimento? Sin dall’inizio, da subito. A ciò che si comunicava, illuminati dai primi bagliori del carisma, che cominciava a palesare un certo divino disegno sulla Chiesa e sull’umanità, la reazione di chi ascoltava non era: “Che vero!” “Che buono!” No! Era: “Che bello!”
“Bello” certamente perché ciò che si diceva aveva attinenza con Dio bellezza. Era sapienza? E belle, poi, veramente più belle, ci apparivano spesso le persone che parlavano del nostro grande Ideale: era impressione comune.
La bellezza ha preso sede nel nostro Movimento anche perché la parola che il nostro carisma iniziava a dire al mondo era una sola: unità, e unità significa altissima armonia. Ed è stata questa vocazione all’armonia che ha caratterizzato, fin nei dettagli concreti, la nuova cultura che stava per fiorire, effetto del carisma. Essa richiedeva, ad esempio, che bello, di buon gusto fosse anche persino il vestire delle persone; bello, armonioso, accogliente l’arredamento delle case, dei centri, delle cittadelle. Il Figlio dell’Uomo sembrava ripeterci: “Guardate i gigli del campo…” .

E il bello e la nostra considerazione del bello si sono affacciati poi, di tempo in tempo, quando, ad esempio, estatici di fronte ad uno scritto, ad una pittura, ad una scultura, non si poteva non esprimere incanto e profonda ammirazione.
Ecco – per dare un solo saggio – una nota pagina sulla “Madonna di Michelangelo”, che accoglie chiunque entra in San Pietro, dove, fra il resto, si sottolinea un concetto già espresso: “E’ l’anima umana, riflesso del Cielo, che l’artista trasfonde nell’opera, e in questa ‘creazione’, frutto del suo genio, l’artista trova una seconda immortalità: la prima in sé – nella sua anima -, come ogni altro uomo nato quaggiù; la seconda nelle sue opere, attraverso le quali si dona nel corso dei tempi all’umanità. L’artista è forse il più vicino al santo. Perché se il santo è tale portento che sa donare Dio al mondo, l’artista dona, in certo modo, la creatura più bella della terra: l’anima umana.”
Perché conscia poi del grande valore dell’arte, concludo: “E giacché a te, Madonnina, ho parlato, a te chiedo un dono: sazia questa sete di bellezza che il mondo sente: manda grandi artisti, ma plasma con essi grandi anime, che col loro splendore avviino gli uomini verso il più bello tra i figli degli uomini: il tuo dolce Gesù”.
Voi tutti conoscete più o meno la lunga storia di oltre cinquant’anni del nostro Movimento, le sue finalità, la sua spiritualità, l’universalità delle chiamate, la sua consistenza, la diffusione, i suoi dialoghi a 360 gradi, le sue opere concrete… E, fra queste ultime, ecco quelle artistiche, più o meno pregiate; fiorite qua e là da nostre artiste e artisti che, senza far strepito, in Italia, così come in altre nazioni d’Europa ed anche in Asia, in America del Sud, in Australia hanno mantenuta ben salda – pur esprimendosi in arte – la loro posizione nell’Opera, la loro particolare vocazione in essa. Di qui gli incoraggiamenti brucianti, dati di tempo in tempo: “Grazie, perché col vostro sforzo contribuite a dire al mondo che Dio è bello! Questa è sempre stata la passione, una delle passioni del nostro Movimento sin dall’inizio: gridare con la vita, con le parole, con le arti che Dio è Bellezza e non solo Verità e non solo Bontà. Anche per questo il Movimento è nato come una pacifica contestazione verso modi di pensare di allora”.

Ha una lunga e ricca storia il nostro Movimento, e questa storia è segnata da tre tappe.

Dio, infinità Bontà – Si sa, infatti, che Dio non è solo bello; egli è anche buono e vero. E non si dà bellezza, non si dà autentico bello, se esso non è anche verità e bontà. Nel nostro Movimento questa coincidenza è stata sempre sottolineata e ci è stato dato di approfondirla in modo originale. In un primo tempo, durato decenni, lo Spirito Santo ci ha spinto ad imitare Dio nel suo essere buono, amore. In Dio Amore era concentrato, infatti, sin dall’inizio, il nostro Ideale. Dio, infinita bontà, che siamo stati chiamati, in certo modo, a rivivere, divenendo così un minuscolo sole accanto al Sole.

Dio Verità – In un secondo tempo, dopo che tale stile della nostra vita si era precisato e ben stagliato, lo Spirito ci ha chiamato ad un altro compito: cercare di ricavare dal nostro vivere, dalla nostra spiritualità, personale e comunitaria insieme, la dottrina che vi soggiace: la sua verità. Era – parlando francescanamente – “Parigi”, città degli studi, che s’aggiungeva ad “Assisi”, città della vita. Una realtà, Parigi, però che non si è mai temuto distruggesse Assisi, secondo il noto detto. Anzi l’esperienza quasi decennale della nostra Scuola Abbà, che vi si dedica, conferma come la luce della verità aiuti sommamente la vita, la vita d’amore.

Dio Bellezza – In un terzo tempo, quello in cui viviamo, avvertiamo che lo Spirito Santo ci spinge a manifestare non solo la bontà di Dio nella nostra vita, non solo la verità, ma anche la bellezza. E abbiamo chiamato quest’epoca col nome di un’altra città: “Hollywood”. E’ un Hollywood che non annienta Assisi e Parigi, ma che le suppone, che non è se stessa, se non essendo anche le altre due.

Gesù in noi, infatti, vuol essere Vita (Assisi), Verità (Parigi), Via (Hollywood).
E molti segni annunciano quest’ultimo tempo ed il congresso che celebriamo in questi giorni ne è una delle prove. Esso non poteva svolgersi prima. I nostri artisti, infatti, non sono tali se non hanno già maturato in sé le esperienze della bontà e della verità.
Un altro sintomo, fra i molti, che non è fuori luogo menzionare qui, è questo. Ultimamente, ma non è la prima volta, una settantina fra attori, registi, produttori, scrittori, tecnici della città di Hollywood, quella vera, si sono radunati con alcune persone del nostro Movimento in una villa di Los Angeles, in un clima di entusiasmo e di festa, desiderosi di apprendere il nostro spirito e di portarlo ad Hollywood. Uno scrittore cinematografico ebreo presente, così ha concluso l’incontro: “Facciamoci coraggio e viviamo quello che abbiamo sentito oggi qui: diamo il primo posto a Dio ad Hollywood, sul nostro set, nei nostri lavori”. Ora attendono di ritornare fra noi.
Lì dunque, artisti che arrivano a Dio; qui persone che amano e conoscono Dio e ambiscono essere veri artisti. Non c’è differenza in fondo: nell’una e nell’altra maniera il nostro terzo tempo cammina.

Ma… chi è l’artista?
Esagera Salvatore Fiume – pittore contemporaneo – quando, confondendo l’ispirazione artistica con lo Spirito Santo, afferma che l’artista è come uno che scrive sotto dettatura: Dio detta e lui dipinge, scolpisce, fa musiche, poesie, architetture, romanze e concetti filosofici. Quando l’opera è completa – dice -, con ingenua improntitudine la firma .
Ma non è nemmeno troppo lontano dalla verità, se lo stesso Concilio Vaticano II invitava gli artisti così: “Non chiudete il vostro spirito al soffio dello Spirito Santo”  .
Senz’altro non si è artisti se non muniti d’un autentico talento. Non si è artisti se non si conosce l’ispirazione artistica. Ma anche lo Spirito Santo non è lontano da essi. Giovanni Paolo II lo ha affermato: “Quando scorriamo certe stupende pagine di letteratura e di filosofia o gustiamo ammirati qualche capolavoro d’arte o ascoltiamo brani di musica che hanno del sublime, ci è spontaneo riconoscere in queste manifestazioni del genio umano un qualche luminoso riflesso dello Spirito di Dio” .

E come sono i nostri artisti? Com’è la nostra arte?
Com’è l’arte secondo la cultura del nostro popolo? Sappiamo che il Vaticano II afferma: “Siano riconosciute dalla Chiesa anche le nuove tendenze artistiche adatte ai nostri tempi” . E’ un imperativo valido anche per noi, ed è ciò a cui i nostri artisti cercano di adeguarsi. Ora – si sa – abbiamo un’arte moderna; essa ha le sue esigenze, nuove e interessanti, le sue ragioni che non mancano di fascino. Spero se ne parli in questi giorni. Pur tuttavia, come è avvenuto per tutti i generi d’arte nei secoli, c’è chi non la interpreta sempre bene e con l’arte può fare anche del male. Noi abbiamo detto: è bello Dio, ma è anche buono e vero. Il vero artista non può considerare il bello staccato dal buono e dal vero. Il bello, infatti, che non contiene in sé… (applausi). Il bello infatti che non contiene in sé il vero e il buono, è un nulla, è un vuoto. Afferma Vladimir Soloviev: “La bellezza senza la verità e il bene è solo idolo” .
Ma, se il bello contiene il bene, nulla di peccaminoso, di scandaloso, di ciò che è male può essere appannaggio dell’arte, nemmeno di passaggio, nemmeno con l’intenzione di farvi trionfare il bello. Il fine, anche qui, non giustifica i mezzi. Senz’altro l’arte potrà presentare il brutto, il dolore, l’angoscia, il dramma, la tragedia. Tutto ciò può essere espresso in un’opera d’arte e lo ha sempre potuto. Anzi, afferma un gruppo di artisti espressionisti: “Le gioie, i dolori degli uomini, dei popoli stanno dietro alle iscrizioni, ai quadri, ai templi, dietro alle cattedrali e alle maschere, dietro alle opere musicali, agli spettacoli e alle danze. Dove questi non formano il fondamento, dove forme vengono fatte vuote, senza ragione, lì non c’è nemmeno l’arte” .

Gesù in croce abbandonato non era certamente bello. Egli, infatti, Verbo di Dio, artista sommo, incarnandosi, ha assunto tutto della nostra natura umana, sino a farsi peccato, ma mai peccatore. Per cui “non ha apparenza né bellezza – dice Isaia – per attirare i nostri sguardi, né splendore per provare in lui diletto” . Eppure in Lui – ce lo dice la fede – era già presente la gloria della risurrezione. E’ Gesù crocifisso e abbandonato il modello degli artisti e soprattutto dei nostri artisti, che, come lui, sapranno sempre offrire, anche nelle situazioni più tristi, un raggio di speranza. Il Santo Padre agli artisti ha detto: “Tutti i grandi artisti si sono imbattuti, talvolta per tutta la vita, nel problema della sofferenza e della disperazione. Ciononostante molti hanno lasciato trasparire dalla loro arte qualcosa della speranza che è più grande della sofferenza e della decadenza. Esprimendosi nella letteratura o nella musica, plasmando la materia, dipingendo, essi hanno evocato il mistero di una nuova salvezza, di un mondo rinnovato. Anche nella nostra epoca questo deve essere il messaggio di artisti autentici, che vivono sinceramente tutto ciò che è umano e persino il tragico dell’uomo, ma che sanno con precisione svelare nel tragico stesso la speranza che ci è data” .

I nostri artisti poi dovranno ricordare che l’arte, perché novella incarnazione, è misteriosa; non può non essere tale. Per questo è pudica, non svela tutto. Vedendo certe deviazioni in arte vien da ritornare con nostalgia ai grandi artisti di ieri, scomparsi magari da anni, ma le cui opere sopravvivono ancora adesso. E’ il caso del dramma della monaca di Monza ne I Promessi Sposi per la quale Manzoni ha speso due sole parole: “La sventurata rispose” .
Il Movimento – come si è detto – porta una nuova cultura. Essa è caratterizzata nei suoi più vari ambiti da nuovi paradigmi che derivano dalla visione trinitaria dell’uomo e del mondo. Lo si sta costatando, in questi ultimi anni, nel campo della teologia, della filosofia, della sociologia, dell’economia, della politica; ultimamente della psicologia.
Non può quindi mancare nel regno dell’arte. Questa nuova concezione del vivere umano nelle sue diverse espressioni è possibile perché gli uomini e le donne del Movimento si sforzano di assumere sempre uno stile di vita personale e comunitario insieme, come esige la nostra spiritualità collettiva.

Vale perciò anche per chi si dedica all’arte: “Prima di tutto il mutuo amore fra voi”. E, come per ogni cultura apparsa sulla terra, anche per la nostra, l’arte svelerà sue peculiari caratteristiche. Noi dobbiamo attenderci un’arte nuova. E quali saranno queste sue qualità? Esse non potranno non essere espressione del suo aspetto personale e di quello collettivo. E’ vero perciò, e lo ribadisco ora, quanto ho affermato l’estate scorsa: non è sempre necessario, per fare una nuova opera d’arte, che essa sia frutto d’un collettivo con la presenza di Gesù  in mezzo agli artisti. E’ necessario che egli sia posto fra i singoli una volta, per divenire così un’anima sola, perché poi, distinti, il tutto sia in ciascuno.
Ma è possibile anche quanto affermo ora. Dice Camus: “Chi ha scelto il destino di essere artista perché si sente diverso, ben presto impara che non fruirà della propria arte e della diversità stessa se non cerca la similitudine con gli altri. L’artista si forgia in questo perpetuo andirivieni fra se stesso e gli altri, a mezza strada tra la bellezza – dalla quale non può astrarsi – e la società – dalla quale non può strapparsi -” . E allora, giacché la vicinanza con gli uomini non toglie nulla all’artista, anzi lo arricchisce, si può pensare anche ad un’arte frutto d’un gruppo di artisti dediti alla medesima espressione artistica, uniti nel nome di Gesù, espressa poi nelle opere dall’uno o dall’altro. Perché occorre chiedersi: se questo modo di agire è possibile in altri campi, perché non si può usare in quello dell’arte? E non potrà, questo modo di agire, essere foriero di impensate e nuove opere d’arte?

Noi lo vediamo nella Scuola Abbà: quale vantaggio per ogni scienza una tale maniera di porsi al suo servizio! Come il soffio dello Spirito Santo già presente nel singolo può ingigantire! Nella Scuola Abbà, infatti, c’è un “di più”: un “di più” di umano e di divino. L’atmosfera lì è sacra. Senza esagerare, sembra spesso di essere in Paradiso. Ma chiede un prezzo: la morte totale di ogni io perché un altro Io, e questo maiuscolo, trionfi in tutti ed in ciascuno.
E’ ciò che abbiamo imparato nel ’49 quando una luce sfolgorante ci ha abbagliato. C’è, a queste intuizioni o ispirazioni, un commento a più voci di persone presenti alla Scuola Abbà. Una dice: “A chi ama Gesù abbandonato è richiesto il distacco dal modo di pensare, dal pensare stesso: è questo il non-essere della mente. Ma ciò vale anche per la volontà, la memoria e la fantasia – sinonimo ora di ispirazione artistica -. Noi raggiungiamo queste morti ‘perdendo’ – sapendo spostare anche quella che si pensa la propria ispirazione -“.

Un’altra voce della Scuola Abbà si esprime così: “Parliamo anche della fantasia perché, forse, a differenza di altre spiritualità, noi sottolineiamo ‘il bello’. La fantasia però va perduta nell’unità, ma per avere poi una sorta di nuova ‘ispirazione’, e poter vedere, con essa, in certo modo, il Cielo, e anche – in maniera nuova – tutte le cose della terra”.
Una terza voce assicura: “Uno degli effetti della nostra spiritualità sarà un’arte nuova. A proposito di questa arte nuova, noi tante volte abbiamo lasciato che le persone dedite all’arte, presenti nel Movimento, fossero libere di lavorare ciascuna per conto suo, dato che, in genere, è molto difficile che gli artisti possano intendersi fra loro. Invece, se ci fosse fra loro l’unità, vedremmo apparire opere d’arte mai viste”.

E un’ultima voce aggiunge: “E’ classico, proprio della vita spirituale, questo perdere tutto e ritrovare tutto…, ma non si trova facilmente negli autori spirituali che bisogna perdere persino la fantasia per avere una fantasia nuova; si dice in genere solo che bisogna perdere la fantasia. Qui, invece, si trova poi una fantasia nuova. Questo si può capire meglio oggi, dopo il Vaticano II, quando si afferma che tutto l’umano è reso cristiano. La fantasia non è più una cosa che allontanerebbe dalla vita ascetica richiesta per la santità. Noi abbiamo precorso queste posizioni del Vaticano II”. E si aggiunge: “C’è qui anche la radice di una rinnovata e grande arte cristiana”.
Sta nascendo quindi fra noi un’arte nuova. O forse è già nata. Lo potrete costatare voi dalle esperienze che gli artisti narreranno.
E qui viene da ricordare la “Risurrezione di Roma”: “Bisogna far rinascere Dio in noi, tenerlo vivo e traboccarlo sugli altri con fiotti di Vita e risuscitare i morti. E – poi – tenerlo vivo fra noi, amandoci (…). Allora tutto si rivoluziona: politica ed arte, scuola e religione, vita privata e divertimento. Tutto” .

Il Movimento dei Focolari ha a che fare con la bellezza anche perché deve rispecchiare, in certo qual modo, nei singoli e nel suo insieme, Maria. Maria è la tota pulchra, la tutta bella. Maria è, infatti, l’espressione compiuta della redenzione operata dal Cristo. E’ la creatura nella quale l’immagine del Creatore risplende in maniera unica. Per questo è oggetto dell’attenzione e dell’ammirazione degli artisti, particolarmente sensibili alla bellezza e al richiamo del soprannaturale; è oggetto quindi di ispirazione per la pittura e la scultura, per la musica e la letteratura… .
Dante nel suo Paradiso dirà di lei: “La faccia che a Cristo più s’assomiglia” ; Boccaccio le canta: “Adorni il ciel con tuoi lieti sembianti” . E Petrarca: “Di sol vestita, coronata di stelle, al sommo sole piacesti sì che ‘n te sua luce ascose” . Tasso la vede: “Stella onde nacque la serena luce, luce di non creato e sommo Sole” .
Maria, la bellissima, avvolga col suo splendore i nostri artisti!

Concludiamo. Ogni Movimento a fondamento religioso, come il nostro, che ha segnato la storia, è fiorito in arti religiose nuove. Speriamo veramente che così sia anche del nostro, se è vero che è opera di Dio. Ma è vero: tempo fa me lo scolpì nel cuore il Papa quando disse: “Opera di Maria? Opera di Dio”.

A voi artisti e artiste l’onore e l’onere d’esserne la sua espressione artistica.

Chiara Lubich

Castel Gandolfo, 23 aprile 1999

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