La città, luogo della prossimità

La politica come principio di organizzazione della società civile ha preso le mosse dalla «città». Dopo 2500 anni di vicende politiche ed istituzionali, occorre riscoprire la dimensione urbana della politica, occorre tornare, in Europa e nel mondo, a guardare alla città come al luogo ove le dimensioni della socialità e della “prossimità” tra gli uomini trovano la prima, concreta espressione. Già Aristotele, del resto, considerava la città come uno spazio politico tipicamente umano, cioè distintivo dell’uomo in quanto uomo ed essere sociale; e nella tradizione antica la dimensione urbana è collocata nel «giusto mezzo» tra le due polarità del «giardino» e del «deserto». La politica, nella sua essenza, tratta della comunità e della reciprocità di persone e comunità differenti; nasce, dunque, nello spazio-tra-gli-uomini; si costituisce come relazione. E dove maggiormente, se non nella «convivialità» e nella “ospitalità” dello spazio comunale questa relazione può sviluppare tutte le sue potenzialità? Il comune, con la sua stessa esistenza, testimonia due esigenze, in cui tutti si riconoscono: quella della comunità e quella della solidarietà. Ma, nella complessità sociale e politica del mondo contemporaneo, è necessario un fattore aggiunto, un supplemento qualitativo che, partendo proprio dalla prossimità della vita comunale, rigeneri la comunità e renda concreta la solidarietà.

L’Europa, laboratorio di fraternità

Questo fattore, questo “di più” rinvenibile in tutte le tradizioni di pensiero, pur diversamente radicato e declinato, è la fraternità. Si può affermare che l’Europa ha realizzato la reciproca libertà dei popoli attraverso la reciproca libertà degli Stati; tra essi, infatti, non vi sono egemonie politiche (contano, ad esempio, nel voto, essenzialmente gli aspetti demografici). Benché in modo parziale ed incompleto, l’Europa ha favorito anche l’uguaglianza dei popoli, con le politiche di coesione economica e sociale, la libertà di circolazione, la parità di trattamento e il riconoscimento dei diritti fondamentali al di là delle frontiere nazionali.Ma la fraternità dei popoli e degli Stati, sia tra quelli che sono attualmente membri che tra quelli che non lo sono, sia reciprocamente tra loro, è ben lungi dall’essere una realtà. Realizzare la «fraternità politica» in Europa, trarre tutte le conseguenze dalla «prossimità» reciproca dei popoli e degli Stati, compirebbe il passaggio dall’Unione Europea alla com-unione europea. Si tratta di realizzare il progetto dialogico, ospitale, conviviale e fraterno di un’Europa autenticamente e liberamente unita e al contempo autenticamente e consapevolmente molteplice. Un’Europa ove si compongono, senza fusioni o egemonie, strutture, territori, funzioni, identità, culture, nella coscienza della reciproca appartenenza e della reciproca responsabilità.Mettere in moto la fraternità politica, dimostrare che essa è la chiave per ritrovare il senso ultimo della costruzione europea e per fornire risposte originali alle molteplici sfide poste dall’ampliamento del suo territorio, dalla rivisitazione delle sue strutture, dalla riqualificazione delle sue funzioni: questo il compito che attende l’Europa ed i suoi Comuni.

Il Comune, un cantiere europeo

I Comuni, oggi, hanno molto da dire all’Europa, e il loro compito può essere assai più incisivo che quello di dare l’esempio, pur importante, di «virtù pubbliche» nella gestione locale.Tornare alle radici del modello comunale vuol dire, in fondo, scoprire le potenzialità politiche della dimensione della fraternità, che si dipana dalla «prossimità» della vita cittadina alle «prossimità» più ampie della regione, del livello statale, dell’Europa, del mondo. La fraternità politica del Comune trova nelle diverse declinazioni della «prossimità», cioè nel reciproco «farsi vicini» dei cittadini e delle istituzioni la sua specifica concretizzazione. E ciò è denso di significati per l’Unione Europea, che si costituisce al contempo come unione di Stati e unione di popoliLa ricchezza e l’articolazione della vita nelle comunità locali costituisce un patrimonio politico-amministrativo prezioso, che va ben al di là della dimensione comunale. Il modello di partecipazione nella politica urbana è fatto di molti canali, istituzionali ed informali, e di molti soggetti, organizzati o spontanei. Più di altre istituzioni, i Comuni già oggi assicurano in modo sistematico forme di devoluzione di poteri e di decentramento per meglio servire i cittadini; promuovono spesso una stretta collaborazione tra il settore pubblico, privato ed il volontariato. Nei Comuni si è sviluppata in modo quasi naturale una rete di relazioni di cooperazione che vanno al di là dei rapporti “verticali” di gerarchia. I Comuni costituiscono perciò altrettanti luoghi di maturazione di un nuovo progetto di Europa, che consenta non solo di consolidare i rapporti tra Stati e Governi, ma soprattutto di fare passi avanti decisivi verso l’unità dei cittadini e dei popoli. I Comuni europei, in molti casi, già oggi testimoniano l’impegno delle autonomie e dei poteri locali per l’approfondimento della democrazia in Europa, e per «dare un’anima» al processo di integrazione e a quello di allargamento.Essi stessi hanno elaborato originali soluzioni ed esperienze istituzionali, che si inseriscono costruttivamente nel dibattito sul futuro dell’Unione Europea, in vista di una più ripartizione più flessibile e cooperativa delle funzioni e delle responsabilità tra i diversi livelli di governo in Europa.Ai Comuni spetta un posto centrale nella ricerca di un metodo più democratico, partecipativo ed efficace di elaborazione e gestione delle politiche in Europa. Ed il ruolo dei Comuni europei è centrale, specie dopo l’affermazione, nel Trattato di Maastricht, della cittadinanza europea come dimensione di appartenenza e di partecipazione. I Comuni dell’Unione, quelli dei Paesi dell’adesione e quelli che, più in generale, si riconoscono nel progetto europeo, rappresentano la “prima linea” per affrontare con coraggio, apertura, senso di responsabilità e solidarietà i problemi che inevitabilmente sorgeranno nel processo di ricomposizione dell’unità europea, nel rispetto ed anzi nella piena valorizzazione delle sue varie culture ed identità.

1. Funzioni e responsabilità dei livelli di governo in Europa

La complessità insita nel disegno e nella struttura dell’Europa ci sprona, partendo proprio dalla quotidianità della vita nei nostri Comuni, a ripensare la politica, sia essa locale, regionale, nazionale, internazionale.Interessanti prospettive si sono già aperte dopo l’adozione da parte del Consiglio d’Europa e l’apertura alla ratifica della Carta europea delle Autonomie Locali. Il 2001 è l’anno in cui le istituzioni europee ed i Governi degli Stati membri dell’Unione Europea hanno avviato una nuova riflessione sull’avvenire dell’Europa (che si basa sulla «Dichiarazione sul futuro dell’Unione» allegata al Trattato di Nizza). Tra i punti su cui si sollecita un’ampia discussione a livello di società civile, forze politiche, ambienti culturali ed accademici, figura quello della ripartizione delle competenze tra l’Unione e gli Stati membri e, implicitamente, la loro articolazione interna (regioni, province, dipartimenti, comuni, comunità). Inoltre, sempre nel 2001, è stato lanciato il dibattito sulla «governance», e cioè sul “metodo di governo”, sulla cooperazione costruttiva tra tutti i livelli di potere e di responsabilità in Europa.I principi-guida di questa riflessione sono la sussidiarietà, il pluralismo istituzionale e la legittimità democratica. Sono punti programmatici emersi già in occasione del Trattato di Maastricht, e che pero’ non hanno ancora trovato una realizzazione nelle concrete politiche europee. In ogni caso, la sussidiarietà non puo’ essere ridotta ad una fredda “divisione del lavoro” tra apparati di governo nazionali e apparati sovranazionali. Il principio di sussidiarietà non si può nemmeno ridurre ad un elenco di funzioni da assegnare a questo o a quel livello istituzionale; esso comporta, invece, un radicale cambiamento di etica politico-istituzionale, più che la ridefinizione di architetture istituzionali.La sussidiarietà non discende dall’alto come concessione, né nasce dal basso solo come domanda. Essa sorge e si sviluppa solo grazie ad una tessitura paziente di rapporti, ad un dialogo costruttivo tra tutte le istituzioni. Essa richiede inoltre il riconoscimento della diversità istituzionale, cioè della pluralità delle organizzazioni territoriali e funzionali e della loro pari dignità. In questo contesto, la potenzialità della dimensione locale è essenziale. La sussidiarietà autentica (dalle persone e dalle comunità alle istituzioni mondiali) è un principio strutturale, insito nelle dinamica politica tra persone e comunità. La sussidiarietà deve essere attiva, dinamica, cooperativa, e non deve creare compartimenti stagni. L’idea che si fa strada è che lo spazio politico abbia una continuità, ben al di là del principio di sussidiarietà, da un livello di comunità ad un livello di mondialità. Un’azione politica consapevole deve indirizzarsi verso la ricerca di soluzioni istituzionali che consentano, come scriveva Robert Musil, di “essere abitanti del villaggio, ma anche abitanti del mondo.”Il grande tema della “condivisione di sovranità” in Europa non riguarda perciò soltanto i Governi nazionali nei loro rapporti con le istituzioni sovranazionali ed internazionali, ma anche la capacità degli Stati nazionali di condividere al loro interno questa stessa sovranità su base territoriale e/o funzionale. In questo senso, processo di integrazione europea e federalismo decentralizzante, inteso cioè come affermazione del ruolo “originario” delle autonomie non sono in contraddizione, ma sono parte di uno stesso dinamismo dello spazio politico in Europa. Un nuovo assetto istituzionale, in tutto lo spazio politico europeo, puo’ essere costruito solo se è sussidiario, funzionale, relazionale, costruttivo, responsabile, aperto, e fraterno.

PROPOSTA

L’esperienza comunale insegna che la sussidiarietà deve essere completata con il principio di «prossimità»: le decisioni devono essere assunte il più vicino possibile ai cittadini. Su questo elemento, oltre che su quello della libera partecipazione elettorale, si basa la sottolineatura della legittimità democratica. Ma questa prossimità ha anche un altro valore: quello che fa si che i cittadini si sentano reciprocamente «vicini» tra loro, e che sentano «vicini» i problemi, le angustie, le difficoltà di tutti gli uomini che abitano la terra. Accanto ad una sussidiarietà «verticale» occorre esplorare le dimensioni della sussidiarietà «orizzontale». Anche i Comuni tra di loro, infatti, sono reciprocamente «prossimi», e possono contribuire a risolvere i problemi l’uno dell’altro, ad esempio attraverso rapporti stabiliti e continuativi più profondi e articolati rispetto ai semplici «gemellaggi». Più che gemellaggi, occorrerebbe prospettare autentiche e durature «strutture di fraternità» o di «dialogo strutturato» tra i poteri locali, sia all’interno dell’Unione Europea che degli organismi internazionali attuali. Tra i vari strumenti, si potrebbe prevedere un “Portale” internet multilingue che sia un «luogo» di scambio di informazioni tra comunità locali e che renda concreta la prospettiva della «prossimità» fra comunità locali. L’iniziativa potrebbe essere appoggiata dall’Unione Europea (nel contesto di iniziative simili al programma URBAN II) e dal Consiglio d’Europa, nell’ambito del Congresso delle Autorità Locali e Regioni d’Europa. Inoltre i Comuni potrebbero affrontare in modo costruttivo il tema delle migrazioni, che certamente pongono problemi complessi, ma possono anche essere un’occasione di crescita socio-culturale delle comunità locali. Si tratterebbe, in particolare, di costruire, sulla concreta e spesso difficile esperienza delle migrazioni nelle città, progetti ed iniziative. Ad esempio, il rapporto delle città di origine con le comunità stabilite in altre città europee, mediante intese tra i Comuni, potrebbe essere un “modo” per appoggiare e sostenere le diversità culturali. In particolare, il rapporto con le città dalle quali provengono immigrati dai Paesi dell’Est Europeo può essere un campo di impegno concreto fondante per una effettiva fraternità.

2. La ricomposizione socio-culturale europea

Nel processo di allargamento dell’Unione Europea si dimentica spesso che l’identità europea è espressa dalle persone e dalle comunità dell’Europa centro-orientale e mediterranea al pari dei cittadini e delle società dei Paesi dell’Europa occidentale. In questo importante cambiamento non solo delle dimensioni («quantità»), ma soprattutto della dimensione («qualità») dell’Europa, è bene ricordare la frase programmatica di Jean Monnet: «Noi non coalizziamo degli Stati, noi uniamo degli uomini.» A parte le precauzioni economiche, emerge sempre più spesso, nei discorsi sull’ampliamento dell’ Europa, la preoccupazione per l’accresciuta diversità storico-politica e socio-culturale tra gli Stati che si riconoscono già o intendono aderire nel progetto europeo. C’è la tendenza a collocarsi e a collocare gli «altri» sulla «carta geografica mentale», a fare della «meta-geografia». Il paradosso è che un continente inizia e finisce esattamente dove “pensiamo” che inizi e finisca. Ma la visione dei confini tra le culture cambia perché gli uomini cambiano, si incontrano, talvolta si scontrano, ma sempre interagiscono in modo nuovo, diverso, imprevedibile.Più che di confini, occorrerebbe parlare di fini. Se l’Europa vuole davvero crescere e non solo allargarsi, deve sapersi ridiscutere. L’ingresso di nuovi membri nell’Unione europea non è un fatto quantitativo, ma qualitativo. Processo e progetto cambiano, senza però snaturarsi, ogni volta che vi è una nuova adesione. Altrimenti non si ha dialogo autentico: il processo si riduce ad un insieme di pandette comportamentali; il progetto diventa semplicemente l’imposizione di decisioni prese in un altro tempo, da altri attori, per un altro contesto. Se si vuole adottare un atteggiamento realistico e politicamente impegnato nei riguardi della ricomposizione europea, occorre essere consapevoli che nessuna finalità di integrazione può giustificare l’omologazione. Oggi l’Europa si trova a dover cambiare se vuole davvero crescere (e non solo allargarsi); e, inversamente, a dover crescere, cioè a “maturare” in tutte le sue dimensioni per poter davvero cambiare. Quale può essere il ruolo dei Comuni per un’Europa più consapevole? I due obiettivi fondamentali che i Comuni ritengono prioritari nella nuova fase sono, da un lato, appoggiare e sostenere le specificità, le diversità culturali, non in quanto elementi disgreganti, di irriducibile diversità, ma come ricchezza propria dell’Europa; dall’altro, fare in modo che ognuno possa scegliere, senza condizionamenti economici, politici, culturali, di vivere e lavorare nella propria terra senza che nessuno si senta «periferico». Sono queste le due condizioni perché ognuno possa riconoscersi pienamente anche in un patria più grande, possa avvertire, senza cadere né nel particolarismo chiuso né nell’universalismo astratto, due o più appartenenze: quella alla propria realtà locale, quella alla più ampia identità regionale e nazionale, quella alla dimensione europea e mondiale. La «città locale» e la «città mondiale» sono due dimensioni indivisibili e complementari della politicità. In questo senso, è giusto dire che il «locale» è una progettualità universale «situata» nello spazio e nel tempo.

PROPOSTA

Dovrebbe perciò essere naturale per i Comuni riflettere, nella loro programmazione di iniziative culturali, la loro appartenenza ad una dimensione più vasta, nella quale essi possono giocare, come soggetti politici legittimati nel proprio ordine, la loro specifica ed insostituibile identità culturale, in una chiave di dono reciproco e non di sola rivendicazione di autonomia. A questo fine, dovrebbero essere privilegiate le iniziative che sottolineano al contempo il radicamento locale e gli elementi di reciproca influenza con altri contesti ed altre culture. Un possibile campo di impegno potrebbe essere la valorizzazione del ricchissimo patrimonio linguistico-culturale europeo, che spesso trova proprio all’interno dei Comuni un’espressione concreta nella diversa provenienza nazionale dei residenti. In questo contesto, potrebbero essere considerate, come una pista da percorrere, le iniziative assunte nell’ambito dell’ anno europeo delle lingue (2001).

3. Un’Europa della solidarietà e della responsabilità

La ricostruzione di una grande “società europea” non può prescindere da regole e parametri comuni, da un senso di responsabilità. Ma, ben oltre la responsabilità, c’è la solidarietà. Nuove disparità economiche, sociali e tecnologiche potrebbero crearsi tra le varie regioni di un’Europa ampliata.La parola d’ordine dell’Europa, ove le disomogeneità sono crescenti, dovrà essere condivisione: non di sole risorse economiche, ma soprattutto di conoscenze, esperienze, patrimonio umano e culturale.Solo un’Unione fraterna potrà consentire di coniugare la responsabilità con la solidarietà.E’ in corso di radicale ripensamento anche la componente “regionale” (e locale) delle politiche comunitarie. E’ già stata avviata la discussione sul secondo rapporto sulle politiche di coesione in Europa, presentato dalla Commissione Europea nel gennaio 2001, e intitolato «Unità dell’Europa, solidarietà dei popoli, diversità dei territori». La Commissione Europea propone una nuova visione della coesione economica e sociale delle regioni e di territori in Europa. Per il futuro, l’impostazione delle politiche di coesione avrà una natura più tematica («orizzontale») che regionalistica in senso geografico («verticale»). In questa prospettiva, occorre rivalutare il ruolo delle autonomie territoriali non solo in funzione di poteri “recettori” più o meno attivi di finanziamenti, quanto come poteri “cogestori” delle politiche di coesione, partecipanti attivi al processo politico europeo. Tutto ciò evitando un’eccessiva frammentazione e dispersione. Il contesto operativo deve comprendere un quadro d’azione per uno sviluppo urbano durevole; l’inserimento dei programmi di sviluppo urbano nei programmi di sviluppo regionale, con particolare riferimento al recupero urbano, l’aiuto allo sviluppo economico, il miglioramento dell’ambiente urbano, la lotta contro l’esclusione sociale; la promozione dell’’innovazione, delle nuove tecnologie, del miglioramento dei trasporti e dell’ambiente urbano; lo scambio di esperienze e buone pratiche nelle iniziative urbane; la valutazione sul modo in cui la programmazione urbana si inserisce nella programmazione delle regioni in ritardo di sviluppo; la valutazione della qualità della vita urbana.

PROPOSTA

Il ruolo «costruttivo» delle realtà locali, oltre che in favore di uno sviluppo non solo economico, ma anche sociale e culturale radicato sul territorio, consiste nel sostenere l’apertura delle comunità locali alle esigenze ed alle necessità non solo degli altri popoli europei, ma anche delle regioni più povere del pianeta. I comuni europei, d’altra parte, sono già in molti casi attori di iniziative di «cooperazione decentrata» con i Paesi in via di sviluppo, attuate secondo diverse modalità e ricorrendo a diverse risorse disponibili.Questo patrimonio di esperienze non va disperso, ma valorizzato in chiave di un «benchmarking» della solidarietà e di «buone pratiche» di cooperazione tra le collettività locali in Europa. Inoltre i Comuni potrebbero inserire stabilmente nella propria programmazione economica una componente di «investimento solidale», diretto sia ai Comuni degli Stati candidati ad entrare nell’Unione che ad altri municipi. Nell’attuazione delle iniziative di cooperazione allo sviluppo, può essere assai utile consultare e coinvolgere attivamente le comunità etniche residenti nel territorio comunale che provengono dalle aree verso le quali si indirizzano le iniziative.

4. Costruire l’Europa partendo dai cittadini

I Comuni, per la loro stessa struttura organizzativa, possono costituire un esempio per un’Europa più democratica, più aperta e più «partecipata». I poteri locali possono in particolare contribuire all’unità europea con un processo «bottom up», che parte cioè dalla base e coinvolge in modo fattivo i cittadini. Si tratta di disegnare un nuovo «spazio politico europeo», inteso come un continuum che parte dalle persone e dalle comunità e giunge, attraverso un fittissimo intreccio di legami, sino alle istituzioni di Bruxelles.Un primo passo per una riforma delle strutture europee consiste nel considerare al centro del processo politico l’idea e la prassi del “servizio” ai cittadini, più che il prestigio e il potere delle singole istituzioni, e ridisegnare tutte le politiche europee a questo fine. I cittadini desiderano che i servizi siano assicurati e le attività siano svolte, quale che sia l’autorità politica che vi provvede e indipendentemente dall’ampiezza della sua legittimazione elettorale. Una seconda direzione consiste nell’inserire nelle politiche europee formule istituzionali che rendano compatibile un sistema d’integrazione basato sui diritti individuali (come quello che emerge dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea) con un modello in cui anche i diritti delle comunità sono rilevanti. Non è infatti la forza dei diversi che minaccia la democrazia, ma la loro debolezza. Il riconoscimento delle differenze presuppone che le istituzioni politiche non siano “cieche” nei confronti delle specificità culturali. In questo contesto, le Carte e le Convenzioni relative alle “minoranze” (linguistiche e culturali), strumenti senz’altro validi e indispensabili per la convivenza pacifica, andrebbero riformulate su nuove basi. La convivenza non basta, come non basta l’integrazione. C’è bisogno della convivialità, di riconoscere cioè il diritto delle specificità culturali di abitare sotto lo stesso tetto istituzionale senza dover abbandonare la propria identità. Inoltre, mentre la sussidiarietà consente di portare la dimensione della democrazia locale nelle istituzioni europee e mondiali, la dimensione comunitaria porta l’Europa, e cioè le diverse sue componenti linguistiche, culturali, associative, all’interno della democrazia locale.

PROPOSTA

In questo contesto, occorre andare oltre l’accezione giuridica del concetto di cittadinanza. Nei Comuni europei si vive già oggi una situazione di “cittadinanza allargata”, che comprende anche stranieri, immigrati, comunità etniche. Il diritto di voto alle elezioni municipali per tutti i residenti europei è una realtà, come pure la partecipazione alle elezioni per il Parlamento Europeo. Questo schema, che va perfezionato per garantire un accesso effettivo in condizioni di uguaglianza a tutti i servizi e a tutte le iniziative della città, può fornire una pista utile anche per la dimensione politica europea in senso più ampio. Un possibile strada da percorrere è l’adozione, da parte dei Comuni, oltre che degli Statuti e delle Carte dei servizi, anche di una «Carta comunale dei diritti e dei doveri delle persone e delle comunità» residenti nel territorio comunale o residenti all’estero (per lavoro, studio, ecc). L’esperienza delle comunità «straniere», spesso difficile e dolorosa, di una «doppia patria» e di una «doppia identità» può oggi divenire patrimonio comune ed esperienza di cui far tesoro in Europa anche nella prospettiva dell’ingresso nell’Unione Europea dei Paesi attualmente candidati e dei possibili, connessi fenomeni migratori.D’altra parte, pur rimanendo centrale il riferimento allo stato per l’identità nazionale, non si può negare che la nuova «costellazione politica post-nazionale» può trovare nella democrazia locale un fattore di integrazione e non di ulteriore disgregazione. Più in generale, la dimensione urbana della politica consente di arricchire l’idea di un’Europa-delle-nazioni con quella, più ampia ed aperta, di un’Europa-in-relazione. E proprio l’impegno, non sempre mantenuto, a vivere l’unità nella molteplicità, e la molteplicità nell’unità, in tutte le forme politiche, è lo specifico, il filo conduttore del percorso dell’Europa; ed è anche il dono, semplice ma prezioso, che essa può dare al mondo.

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