Chiara Lubich ha ricevuto la cittadinanza onoraria di Torino e di Bra

La cittadinanza onoraria è un modo per rendere pubblico, mettere in comune l’universo di valori che una persona ha testimoniato e promosso lungo la propria vita. I Consigli comunali di Torino e di Bra, conferendo la cittadinanza a Chiara Lubich hanno mostrato di voler considerare “valore” le parole e le opere che la fondatrice del Movimento dei Focolari ha seminato, in quasi 60 anni, in tutto il mondo. “Valore” non solo per chi sull’esperienza di Chiara fonda la propria vita o per i soli cattolici; ma valore per la città intera, per quella comunità che comprende tutte le persone di un territorio.
La “risposta” di Chiara Lubich alla città, nell’intervento con cui ha concluso al Teatro Regio la cerimonia di conferimento, è una risposta “politica”: illustrando l’esperienza del Movimento per l’Unità, Chiara ha ricordato che la “cittadinanza” si fonda sulla politica; e che il fine stesso della politica è di realizzare condizioni di “cittadinanza” sempre più piene per tutte le persone. Proprio perché la realtà comune che fonda la politica e la cittadinanza è la fraternità, il riconoscere l’eguaglianza di sostanza e di diritti in ogni uomo e donna del pianeta. Non a caso la fondatrice dei Focolari ha ricordato all’inizio della sua “lezione” i principi della Rivoluzione francese, osservando come proprio la fraternità sia forse “quello più misconosciuto e meno applicato. Stupisce che, mentre la libertà e l’uguaglianza hanno conosciuto un notevole sviluppo dottrinale e hanno trovato parziale applicazione nelle Costituzioni e nelle leggi di molti Stati democratici, alla fraternità non sia spesso riconosciuta la dignità che le è propria: quella di categoria politica fondamentale, senza la quale neppure le altre possono trovare espressione”.
Da personaggio “non politico” qual è, Chiara Lubich non aveva bisogno di testimoniare il disagio di quei cittadini (tanti) che di fronte alla politica attuale oggi non si riconoscono nello stile di una politica spettacolare, strumentale ad altri interessi ed altre priorità, o nella politica intesa come bruto confronto di forza; o, ancora, negli imbrogli affaristici delle lobbies, che sembrano diventare il referente indispensabile dell’agire politico, di qua e al di là dell’Atlantico.
Ma, descrivendo lo stile della “fraternità politica”, Chiara ha indicato in positivo quel che la politica può essere, a cominciare dai principi fondamentali di “stile” (rispetto delle persone e delle opinioni)fino ai contenuti specifici dell’agire politico, secondo il criterio del bene comune. Una lezione che potrebbe apparire ovvia, se proprio quei valori non fossero sistematicamente disattesi, oggi, dagli stessi politici che li predicano. Se proprio oggi non ci venisse presentato il grande “passo indietro” che la politica sta subendo in tutto il mondo, sostituita dalla vigliaccheria del terrorismo o della forza altrettanto vigliacca dello sfruttamento tecnologico ed economico dei ricchi sui poveri.
In realtà, senza quei principi semplici (ma che vanno testimoniati con la vita) non c’è politica, come non c’è costruzione della storia. Dall’affarismo e dalle prove di forza non è mai venuto un progetto che durasse più degli interessi che ne erano all’origine; ma non è lungo questa strada che si sono fatti gli Stati e poi si è iniziato a “sognare” l’Europa.
Nella “lezione” di Chiara Lubich c’è però anche altro: c’è l’invito, diretto certo non ai soli focolarini, a considerare senza paura né pregiudizio la via della politica come una strada “alta” per vivere la carità. C’è l’invito a uscire, a “farsi vedere”, come più volte Chiara ha ripetuto in queste giornate torinesi, per essere punto di riferimento, segnale di speranza.

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