Carissimo Presidente Bobba,
carissimi amici delle ACLI,

in questi giorni avete riflettuto sulla globalizzazione e sui suoi rischi, ma in particolare vi siete posti la domanda su quale possa essere lo specifico contributo di noi cristiani in questo tempo, quale sia la speranza che possiamo donare agli altri uomini, nostri fratelli.
E’ stato chiesto anche a me di dirvi qualcosa su questo tema e sono qui a portarvi la mia testimonianza.
Per poterlo fare, dovrò parlarvi di quel dono dello Spirito che è la “spiritualità dell’unità”, dato per l’oggi a me e poi a tanti altri.

Essa è una spiritualità che, ovunque sia messa in pratica, suscita e promuove un nuovo stile di vita, personale e comunitario insieme, e coincide in pratica con la “spiritualità di comunione” proposta dal Santo Padre nella Novo millennio ineunte a tutta la Chiesa perché sia vissuta.

Il mondo nel quale viviamo – nonostante le fortissime tensioni a cui tuttora è soggetto – tende all’unità, ad un’unità globale, universale. Nessuno, grazie ai media, è più estraneo all’altro e quindi tutti alla stessa maniera chiedono di essere soggetti della loro storia. I nostri interessi, a Nord e a Sud, sono intrecciati in una interdipendenza che non è più una scelta, ma che, se non governata, rischia solo di aumentare le differenze. Molti problemi interessano ormai l’umanità nel suo insieme, e richiedono quindi categorie di lettura e modelli di risposta globali.

Il mondo va innegabilmente verso il villaggio globale. E’ per questo che oggi, in questo contesto, non basta più un cristianesimo individuale fatto di coerenza e ascesi personale: testimonianza questa non più sufficiente. Occorre andare al cuore del messaggio che Gesù ci ha lasciato, al cuore del Vangelo, al comandamento che Gesù dice suo e nuovo: il comandamento dell’amore reciproco (Gv 13,34) che impegna più di una persona. Esso, vissuto da molti, genera la fraternità universale. Categoria questa che, pur non assente dalla mente di qualche spirito forte, è stato il dono essenziale fatto all’umanità da Gesù, che prima di morire ha pregato: “Padre (…) che tutti siano uno” (Gv 17,21), rivelando così, con la paternità di Dio, l’idea dell’umanità come famiglia, l’idea della “famiglia umana”.

Noi, membri del Movimento dei Focolari, quando sotto i bombardamenti della seconda guerra mondiale, a Trento, abbiamo letto nel Vangelo questa pagina del testamento di Gesù, abbiamo capito, per la prima volta, non solo che per la realizzazione di essa eravamo nati, ma che dovevamo cominciare da noi ad amarci fino a consumarci in uno e nell’uno ritrovare la distinzione.
Altri e altre poi ci hanno seguito e l’amore reciproco creava un circolo virtuoso che ristabiliva la fiducia, riapriva la speranza, ricomponeva legami personali e civili lacerati. E nell’assenza di leggi causata dalla guerra, siamo ripartiti dall’amore: la legge delle leggi, valore supremo, principio e sintesi di tutti i valori.

Ricordo ancora – a conferma – un ragionamento che si faceva allora: quando un emigrante si trasferisce in un Paese lontano, s’adatta certamente all’ambiente che trova, ma continua spesso a parlare la sua lingua, a vestire secondo la moda del suo Paese, a costruire edifici simili a quelli della madre patria.
Così, quando il Verbo di Dio si è fatto uomo, si è adattato al modo di vivere del mondo, ed è stato bambino e figlio esemplare e uomo e lavoratore; ma ha portato quaggiù il modo di vivere della sua Patria celeste, ed ha voluto che uomini e cose si ricomponessero in un ordine nuovo, secondo la legge del Cielo: l’amore.

E, con la grazia di Dio, nonostante la nostra piccolezza, facendo anche noi così, ci siamo accorti che Egli aveva veramente portato in terra il modo di vivere del Cielo.

Ma ciò è stato possibile perché, per il carisma che lo Spirito ci aveva dato, abbiamo potuto comprendere quel “come” del comandamento di Gesù: “Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri; come io vi ho amato, così amatevi anche voi gli uni gli altri” (Gv 13,34).

“Come io vi ho amato, così amatevi anche voi”. Quel “come” era stato espresso compiutamente da Gesù crocifisso che, dopo aver visto i discepoli dileguarsi, dopo essersi privato della Madre, mentre stava perdendo persino la vita, al culmine del suo immenso dolore, si era sentito separato, abbandonato dal Padre: “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?” (Mt 24,46). E aveva sofferto tutto ciò per poter riunire il genere umano al Padre, da cui era staccato per il peccato, e per riunire gli uomini fra loro.
Gesù, in croce e nel suo abbandono, aveva dato veramente tutto, si era completamente annullato. E tutto ciò per amore nostro. Quella era la misura del suo amore. Misura che dovremmo imparare ad avere anche noi di fronte ai nostri fratelli: “Amatevi (…) come io vi ho amato”: essere cioè completamente vuoti di noi per accogliere i dolori e le gioie degli altri.

Questo è l’amore che ci è richiesto da Dio che è amore.
L’amore, infatti, non è un attributo di Dio, è il suo stesso Essere, di Lui uno e trino.
Il Padre, uscendo del tutto, per così dire, da sé, si fa in certo modo “non essere” per amore, e genera il Figlio; ma è proprio così che è Padre. Il Figlio, a sua volta, quale eco del Padre, torna per amore al Padre, si fa anch’Egli in certo modo “non essere” per amore, e proprio così è, Figlio; lo Spirito Santo, che è il reciproco amore tra il Padre e il Figlio, il loro vincolo d’unità, si fa, anch’Egli in certo modo “non essere” per amore, quel non essere, quel “vuoto d’amore”, in cui Padre e Figlio si incontrano e sono uno: ma proprio così è, Spirito Santo.
Sono tre le Persone della Trinità, eppure sono Uno perché l’Amore non è ed è nel medesimo tempo, in un eterno donarsi.

E’ questo il dinamismo della vita intratrinitaria, che si manifesta come incondizionato reciproco dono di sé, mutuo annullamento amoroso, totale ed eterna comunione.

Analoga realtà è stata impressa da Dio nel rapporto tra gli uomini: lo abbiamo avvertito da quando Dio ci ha donato la sua luce. Ho sentito anch’io stessa, anni addietro, d’essere stata creata in dono a chi mi sta vicino e chi mi sta vicino è stato creato da Dio in dono a me, come il Padre nella Trinità è tutto per il Figlio e il Figlio è tutto per il Padre. E per questo anche il rapporto tra noi può essere lo Spirito Santo, lo stesso rapporto che c’è tra le Persone della Trinità.
E’ la vita della Trinità che possiamo imitare, amandoci fra di noi.
Allora quella vita non sarà più vissuta soltanto nell’interiorità della singola persona, ma diventerà liberamente vita dell’intera famiglia umana.

La nostra esperienza di decenni ci dice che il mettere questa logica a base della vita personale e sociale, porta un notevole rinnovamento nei più vari ambiti del vivere umano.
Il Concilio Vaticano infatti insegna che il comandamento nuovo della carità non è soltanto “la legge fondamentale dell’umana perfezione”, ma anche “della trasformazione del mondo” . E ciò si è verificato da noi in parecchi campi: quello politico, economico, culturale, artistico, della medicina, dell’educazione, delle comunicazioni sociali, ecc.

E’ sempre stata nostra convinzione che, se il rapporto fra i cristiani è il mutuo amore, il rapporto fra i popoli cristiani non può non essere anch’esso il mutuo amore. Il Vangelo, infatti, chiama ogni popolo ad oltrepassare il proprio confine e a guardare al di là. Anzi spinge ad amare la patria altrui come la propria.
I politici che fanno propria la spiritualità dell’unità vivono per questo, e cercano anche di praticare l’apparente paradosso di amare il partito altrui come il proprio, perché sono convinti che il bene del loro Paese ha bisogno dell’opera di tutti.

Inoltre, essi intravedono nell’amore reciproco vissuto tra l’eletto, fin da quando è candidato, e i cittadini del proprio territorio, la strada per superare la separazione tra società e politica. E’ in questa reciprocità, infatti, che si può costruire il bene della comunità, perché alla politica vissuta dai governanti come servizio di verità e di amore, deve corrispondere da parte dei cittadini una loro sempre più piena partecipazione alla “cosa pubblica”.

Per quanto riguarda l’economia, nel Movimento, sin dall’inizio, l’amore che circola tra i membri, per la legge di comunione che vi è insita, ha portato, direi naturalmente, a rendere comuni i beni dello spirito e i beni materiali. E ciò è sempre stato una testimonianza fattiva e visibile d’un amore unitivo, il vero amore, quello della Trinità.
Ma nel 1991 è nato un nuovo progetto: l’Economia di Comunione.
Esso intende far sorgere delle aziende affidate a persone competenti in grado di farle funzionare con efficienza e ricavarne degli utili. Questi vanno messi in comune, usati in parte per aiutare i poveri onde dar loro da vivere finché abbiano trovato un posto di lavoro; in parte per sviluppare strutture di formazione per persone animate dall’amore e capaci così di realizzare un’economia che sia comunione; in parte, infine, per incrementare le aziende stesse.

Nella visione “trinitaria” dei rapporti interpersonali e sociali, che deriva dalla spiritualità dell’unità e che sta alla base dell’Economia di Comunione, alcuni economisti intravedono una nuova chiave di lettura del fatto e della teoria economici, chiave di lettura che potrebbe arricchire anche la comprensione delle interazioni economiche, e quindi contribuire a superare l’impostazione individualistica oggi ancora prevalente nella scienza economica.

Ma la stessa luce può illuminare, come dicevo, tutti gli altri campi del vivere umano: la scuola, l’arte, la sanità, i mass-media…
La nostra esperienza ci dice che in un clima d’amore scambievole, si gode di una luce che guida alla verità sempre più piena, dà capacità di novità, e informa un dialogo con tutti, rispettoso della diversità.
E tutto questo è destinato a diventare patrimonio della famiglia umana.

Il paradigma dell’unità, se attuato, appare un’enorme risorsa per la globalizzazione oggi in atto, perché contiene in sé il germe di ogni forma di integrazione tra i popoli e il metodo per raggiungerla: l’amore scambievole. La conseguenza è il rifiuto di discriminazioni, di guerre, di controversie, di nazionalismi, di rivendicazioni di interessi nazionali.
Ne conseguirà l’esigenza di porre a disposizione di tutti i popoli i beni della creazione quali doni di Dio, e superare così il sottosviluppo di alcuni e l’ipersviluppo di altri: è l’idea della “comunione”, della fraternità universale in atto.

L’unità immessa nella famiglia umana porta a compimento il disegno di Dio su di essa: essere una cosa sola. In tal modo le diversità di popoli, di razze, di appartenenze, non vengono annullate, ma armonizzate in reciprocità.

Che il Signore ci dia, alla luce della sua preghiera per l’unità (Gv 17), di concorrere a realizzare la fraternità dove e come possiamo. Potremo così essere per l’umanità, accanto a tutti gli uomini di buona volontà, quel contributo che solo può generare futuro.

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