Una religiosa, in un momento di buio, toccata dalla serenità con cui una consorella viveva la sua grave malattia, ne scopre il segreto: l’amore a Gesù crocefisso e abbandonato, cuore della spiritualità dell’unità, dei Focolari. “Per me – racconta – è una conversione”. Riscopre l’attualità del suo fondatore: “Di fronte alla miseria materiale e spirituale del suo tempo, San Vincenzo consacrò la sua vita all’evangelizzazione dei poveri che egli chiamava “i nostri padroni”. In Gesù abbandonato ora lei riconosce il volto del Signore trasfigurato nella povertà di oggi, in un quartiere malfamato, in una comunità a servizio dei tossicodipendenti, fra i rifiutati dalla società. C’è chi si riavvicina a Dio e “passa dalla morte alla vita”, perché inizia ad amare i fratelli.

Sono una Figlia della Carità di S.Vincenzo de’ Paoli. La Compagnia di cui faccio parte è stata fondata nel XVII secolo da Vincenzo e Luisa Marillac.
Ho conosciuto l’Ideale dell’unità in un momento di buio e di fatica, attraverso una consorella che ne viveva la spiritualità.
Le era stato diagnosticato un tumore al cervello, tuttavia lei era rimasta serena e sempre aperta e pronta ad amare.
Durante l’anestesia spesso ripeteva:”Per te Gesù, per te”. Dove trovava questa forza?
Ne ho scoperto il segreto: l’abbraccio a Gesù Crocefisso e Abbandonato.
Anch’io voglio vivere quest’avventura. Per me è un momento di conversione vera: lo Spirito santo mi aiuta a bruciare il tarlo che da anni toglie alla mia vita la freschezza e la generosità per Gesù. Dentro sento una voglia matta di amare.
Inizio a frequentare il Focolare, partecipo agli incontri dove attingo la luce per vivere il carisma dei miei fondatori.

Divento più libera, più gioiosa, più donna, più Figlia della Carità.
Le regole e l’esperienza di S. Vincenzo de’ Paoli e di S.Luisa de Marillac mi sembrano più vicine.
Il mio Fondatore, di fronte alla miseria materiale e spirituale del suo tempo consacrò la sua vita all’evangelizzazione dei poveri che egli chiamava i “nostri padroni”.
Riscopro in Gesù Abbandonato il volto del Signore trasfigurato nella povertà d’oggi.
Così, se nel 1600 le mie consorelle andavano ad evangelizzare, curare, nutrire, vestire i poveri, raggiungendoli sulle strade, sui campi di battaglia, nelle soffitte, negli ospedali, nelle galere…….Io scopro oggi la bellezza e l’attualità del nostro carisma vivendo in un quartiere malfamato di Milano.
In questi anni capisco qual è il mio modo di contribuire alla realizzazione dell’Ideale dell’unità: essere il mio fondatore redivivo per realizzare l’unità.
Anni dopo sono mandata in una comunità a servizio dei tossicodipendenti. Sperimento l’insicurezza e l’assurdo di abbracciare una realtà di fronte alla quale sono impreparata e inadeguata.
Mi ribello al pensiero di essere confinata in una cascina su una montagna, senza un ruolo ed un’attività ben precisa. Ma è proprio nel vivere quest’esperienza, apparentemente senza colore, che il Signore mi libera da attaccamenti e sicurezze e rinnovo il mio “si” a Gesù.

Così Lui che mi prepara a vivere un’altra avventura: sono trasferita in un monolocale, in un quartiere popolare di Torino, segnato dalle nuove povertà: etilisti, dimessi da ospedali psichiatrici, barboni, anziani, in altre parole gli ultimi, rifiutati dalla società.
Ho la fortuna di condividere la spiritualità dell’unità con una consorella.
Vivendo con i poveri 24 ore su 24 incontro Gesù Abbandonato ad ogni passo. Mi scontro con la diffidenza. La gente pensa che le suore siano lì a controllare e le guardano con disprezzo e indifferenza. Ma loro sono i “nostri padroni”, in loro riconosciamo il Volto di Gesù.  A poco a poco l’amore li conquista. I barboni diventano i nostri primi amici.

C’interessiamo della vita dei nostri vicini e apriamo la porta della nostra casa a tutti.
Certo, non è sempre facile, a volte subentra l’impazienza, il disagio, la ripugnanza e lo scoraggiamento di fronte all’ingratitudine e alla pretesa esigente dei più poveri.  Ma abbracciando il dolore, Gesù Abbandonato, ritrovo la capacità d’amare, ritrovo la forza e la gioia di vivere ciò che S.Vincenzo chiede alle sue suore di Carità: “I poveri sono i tuoi padroni, dei padroni terribilmente esigenti. Più loro saranno brutti e ingiusti, più dovrai amarli”.
L’amore reciproco con la mia consorella genera Gesù in mezzo (cf. Mt 18,20) e la nostra casa diventa punto di riferimento per la gente del quartiere, per un gruppo di giovani che vogliono condividere la nostra attività caritativa. Alcuni si riavvicinano a Dio facendo l’esperienza della parola: “Siamo passati dalla morte alla vita perché abbiamo amato fratelli”. E alcuni capiscono che Dio li chiama a seguirLo.

Durante l’inverno la nostra casa si apre anche agli extracomunitari che altrimenti vivrebbero all’addiaccio; alcuni sono musulmani. Rimangono stupiti di fronte al disinteresse, all’amore concreto e al rispetto con cui andiamo loro incontro.
Chiara Lubich c’insegna ad amare “facendoci uno”.
Durante il periodo del Ramadan facciamo trovare loro un pacchettino con del cibo, affinché dopo il tramonto possano avere qualcosa da mangiare. Anche i giostrieri diventano nostri amici; nelle loro carovane incontriamo i bambini per prepararli ai sacramenti e gli adulti per far conoscere loro che Dio li ama.

Lo scorso anno il ridimensionamento della nostra Congregazione mi porta a trasferirmi altrove ma l’esperienza d’unità vissuta continua a dilatarsi in altri ambienti.
Ritorno a Milano e provo un distacco doloroso di fronte al grido di tanti poveri con i quali ho condiviso la mia vita in questi anni.
Sperimento così la frase di Chiara: “Ogni distacco dal ben che ho fatto è un contributo a edificare Maria” e ripeto: “Per te, Gesù”, che ora continuo a scoprire nei volti dei nuovi fratelli che mi mette accanto.
Così nell’impegnarmi a incarnare nella vita il carisma che S.Vincenzo ha lasciato alla Chiesa, cerco, in unità con tutta l’Opera di Maria, di realizzare il testamento di Gesù: “Che tutti siano uno”.
Questo mi dà un ardore nuovo e l’avventura continua con i nuovi fratelli nei quali riscopro ogni volta il Suo Volto”.
(sr. R.R.)

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