Lavoro come psicologa in un’agenzia internazionale. Sto per partire per un nuovo incarico, le valigie sono pronte, il biglietto confermato. Arriva una visita inattesa: è un amico di infanzia, un chirurgo molto conosciuto, di passaggio nella nostra città, venuto a salutarci. Approfittando della sua presenza, gli chiedo di controllare una cisti al seno che ogni tanto mi fa male. Mi esamina e … sembra passare un’eternità. Poi mi guarda. Il suo sguardo è serio e attento. Gli chiedo: “Sto per morire?”. Sorride, poi mi spiega che la cisti è grande e che devo fare immediatamente la biopsia, poi l’intervento per asportarla. Mormoro un grazie. In me si è scatenato un grande subbuglio.

Quegli interrogativi che si affollano
Rientrata in camera guardo i bagagli: non si parte più. Sento come una lama di coltello attraversarmi e nella mente mille interrogativi: le mie bambine, come sarebbero cresciute senza di me? Mio marito si sarebbe risposato? Provo paura e confusione. Prendo il telefono, in cerca di una persona che condivide con me la fede nell’amore di Dio: lei piange con me e mi ricorda che questo è proprio il tempo di credere che Dio ci è Padre e non abbandona i suoi figli. Le sue parole subito mi portano in un’altra dimensione. Ritorna la calma. Capisco che devo rispondere a questo amore, devo essere la prima ad amare, la prima ad accettare questa sofferenza ed essere coraggiosa per amore di quelli che mi amano. Sono pronta ad andare in ospedale.

Riesco a cantare entrando in sala operatoria
Capisco ora perché i primi cristiani cantavano quando andavano verso i leoni: non avevano paura perché sentivano Dio con loro; così anch’io ho cantato mentre entravo nella sala operatoria. In ospedale tocco con mano il Suo amore: trovo subito una stanza, scopro che il chirurgo è un amico di mio marito, ricevo un trattamento pieno di attenzioni, ricevo visite, fiori e amore da parte di tutti. Ho il sostegno delle preghiera di tanti. Tornata a casa, questa gara d’amore è continuata. Non potendo più lavorare, l’economia della famiglia è drasticamente ridotta, tuttavia non manca nulla: il Padre si è preso cura di noi!

La sofferenza in dono d’amore
Da parte mia devo solo fare la Sua volontà e questo è semplice da dire, ma non sempre da fare. Abituata a una vita attiva, sento il peso di rimanere a casa tutto il giorno spesso sola, e di tutti gli effetti della chemioterapia. Essendo una psicologa, so che essere ammalati gravemente comporta una crisi grave di tutta la persona: influenza il fisico, la psiche, l’anima. Però l’amore del Padre per me in questo periodo è così forte che non posso non rispondere a Lui:

«Ti voglio bene, Signore, quando al mattino gli esercizi per il mio braccio destro sono troppo dolorosi.
Ti voglio bene quando il cibo sembra diventato di gomma.
Ti voglio bene quando per alzarmi devo chiedere aiuto.
Ti voglio bene quando la nausea mi assale.
Ti voglio bene quando i capelli cadono a ciocche.
Ti voglio bene quando il pensiero della morte mi invade».

L’arte di ricominciare sempre
Molte volte non riesco ad amarLo, molte volte sono insofferente con gli altri, ma, quando il giorno dopo mi sveglio, chiedo perdono e ricomincio di nuovo.
Mi è stata offerta la più grande lezione di vita che mi fa diventare una persona paziente, che perdona, che ha la temperanza, la fortezza. Imparo a pregare gettando ogni preoccupazione per la mia famiglia, la salute, nel cuore del Padre. Mi sento più vicina a Maria, ai piedi della croce, che non ha mai cessato di credere all’amore. Ho visto molti frutti lungo il cammino. Può sembrare assurdo, ma ci sono dei momenti in cui ringrazio Dio per questa mia malattia.

(Tratto da Quando Dio interviene. Esperienze da tutto il mondo, a cura di Doriana Zamboni, Città Nuova 2004)

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