Alla scuola dei santi

Ero ancora studente di teologia quando con i miei compagni donammo a Chiara Lubich un libretto ciclostilato con alcuni pensieri sulla vita fraterna, tratti dagli scritti del nostro fondatore. Pochi giorni dopo ci chiese se poteva mandarne copia a tutti i focolari sparsi nel mondo. Lo aveva letto d’un fiato, “come si beve un sorbetto”, diceva, ed aveva annotato alcuni pensieri su sant’Eugenio de Mazenod, mostrando di averlo capito nel profondo della sua personalità spirituale.

Ciò che più mi colpì furono le parole che rivolse a noi Oblati in quella circostanza: “Se loro, per via del carisma dell’unità, si sentono dell’Opera di Maria, io per via del loro fondatore mi sento “Oblata di Maria Immacolata”. E subito aggiungeva: “Ma io mi sento di tutti gli Ordini: di san Francesco, di san Benedetto…”.

“Mi sento di tutti gli Ordini…”. Queste stesse parole, espresse in modo diverso, le ho poi ritrovate spesso negli scritti di Chiara. “Se da una parte siamo coscienti che il carisma del nostro Movimento è utile a tutta la Chiesa – scriveva ad esempio durante la lettura delle opere di S. Giovanni della Croce -, dall’altra siamo pure convinti che tutti i carismi della Chiesa sono utili a noi, figli della Chiesa. E allora dobbiamo imparare da tutti i santi” 1. Si sente, in queste parole, una “donna-Chiesa”, capace di dire, come un’altra grande donna, Teresa d’Avila, “sono figlia della Chiesa”. Perché tale sa mettersi con umiltà alla scuola dei santi. La loro esperienza le appartiene, come tutto ciò che è Chiesa. “È proprio della nostra spiritualità – scrive in pro-posito – imparare dai santi, farci figli di essi, per partecipare del loro carisma”. 2

Leggendo i suoi scritti si rimane impressionati di come Chiara Lubich ha camminato in compagnia dei santi.Si è confrontata costantemente con loro, in un rapporto che potremmo definire d’amore vicendevole, di unità e di distinzione. Da una parte i santi, con la loro esperienza di Dio, quasi le si accostano per incoraggiarla nella nascita e nello sviluppo della sua Opera, per illuminarla, aiutarla 3. Dall’altra il confronto con la vita e le opere dei santi le consente di cogliere tutta l’originalità della sua fondazione.

Una ricca dottrina sulla dimensione carismatica della Chiesa

Nello stesso tempo, grazie a questa particolare reciprocità d’amore con i santi, Chiara sa rico-noscere “il compito, la missione, il disegno che Dio ha pensato per essi” 4. Più ancora, ella arriva ad elaborare una ricca ed originale dottrina sulla dimensione carismatica della Chiesa e sui carismi della vita consacrata in particolare.

È il primo motivo per cui le viene meritatamente conferito il dottorato in teologia della vita consacrata.

Chiara Lubich possiede una sua originale comprensione dei carismi. Li vede come lo spiegarsi di Cristo attraverso i secoli, come un Vangelo vivo. Se Cristo è il Verbo di Dio incarnato, scriveva nel lontano 1950, a soli 30 anni, “la Chiesa è il Vangelo incarnato. Così è Sposa di Cristo. Noi vediamo attraverso i secoli fiorire tanti Ordini religiosi su tante ispirazioni quanti essi sono. Ogni Ordine o Famiglia Religiosa è l’incarnazione d’un’“espressione” di Gesù, d’una sua Parola, d’un suo atteggiamento, d’un fatto della sua vita, d’un suo dolore, d’una parte di Lui”. 5

Poi, sempre in questo illuminante testo del 1950, ecco la percezione estetica della Chiesa cari-smatica, quale “magnifico giardino in cui fiorirono tutte le Parole di Dio, fiorì Gesù, Parola di Dio, in tutte le più svariate manifestazioni. (…). Come l’acqua si cristallizza in stelline di tutte le forme quando cade come neve sulla terra, così l’Amore assunse in Gesù la Forma per eccellenza, la Bellezza delle Bellezze (“il più bello dei Figli degli uomini” [cf Sal 45, 3]). L’Amore assunse nella Chiesa diverse forme e sono gli Ordini e le famiglie religiose. Nella Chiesa fiorirono e fioriscono tutte le virtù. I fondatori degli Ordini sono quella virtù fatta vita e salirono al Cielo solo perché erano Parola di Dio. (…) Tutte queste Parole formano la Chiesa, un Altro Cristo o un Cristo continuato, la Sposa di Cristo. È la Nuova Gerusalemme ammanta-ta di tutte le virtù”. 6

I carismi appaiono sostanziati dal Verbo, sue espressioni: lo contengono e lo manifestano, sono verbo nel Verbo, un Vangelo incarnato. “In tutti gli Ordini è un raggio dell’Ordine che è Dio. In tutte le spiritualità una luce della luce che è Gesù”. 7 I fondatori sono contemplati come “ortoprassi” della dottrina cristiana. La loro vita è illuminata e guidata dal Vangelo e insieme lo spiega. Ognuno di loro, scrive ancora Chiara, “ha ordinato in famiglia” i propri seguaci “con le leggi eterne del Vangelo, sentite risuonare con novella e attuale forza dallo Spirito Santo nel suo spirito”. 8

È la motivazione ultima e il senso profondo della vita consacrata: vivere appieno la vita evangelica, seguendo con radicalità Cristo nelle sue parole e nella sua opera. Il Vangelo è l’unica vera regola, come già sapeva il primitivo monachesimo.

Inevitabile il confronto di questa intuizione del 1950, in cui Chiara Lubich legge la vita consacrata a partire dal suo dinamismo storico-carismatico, con la teologia che si elaborava nel medesimo periodo. Il Congresso mondiale degli istituti di perfezione, che si celebrava a Roma in quello stesso anno, riproponeva una statica teologia degli “stati di perfezione”, ancora ferma al “culto dei voti”. Occorrerà attendere ancora sette anni prima che Karl Rahner scriva il famoso libro sul principio dinamico della Chiesa nel quale rilegge in questa chiave anche l’evento della vita religiosa.

Una nuova corrente di spiritualità

Fin dall’inizio sono stati coinvolti in questa nuova corrente di spiritualità anche religiosi e religiose.Da qui ha preso vita, in seno all’Opera di Maria, un Movimento di religiosi e un Movimento di religiose e consacrate, a cui aderiscono migliaia di membri dei diversi istituti.
In questo ambito l’esperienza spirituale di Chiara ha espresso anche una originale metodologia ermeneutica dei carismi, che si è rivelata via privilegiata per il rinnovamento auspicato dal Concilio Vaticano II. Ed è questo il secondo motivo per cui le viene conferito il dottorato.

Essere parola nell’unica Parola

Se i carismi e gli istituti possono essere paragonati a fiori sbocciati dal Vangelo, di certo essi conserveranno o ritroveranno la loro freschezza, e quindi saranno pienamente se stessi, nella misura in cui saranno capaci di andare alla radice da cui sono nati, immergendosi nuovamente nel Vangelo “nel quale solo valgono – ricorda Chiara -, ed il quale solo debbono essere”. 9

Ogni istituto ed ogni spiritualità ad esso legata è chiamato a tornare ad essere parola nell’unica Parola. Vivendo il Vangelo in pienezza si accende la luce per cogliere la particolare di-mensione evangelica da cui il carisma è sgorgato. In definitiva, ricorda Chiara, “Tutti questi Ordini, queste spiritualità nate attraverso i secoli debbono ritrovare la loro vera essenza, il loro principio: tutte sono Gesù: sono Amore Incarnato (…). Sono tutte pregne di Amore, Spirito Santo. (…) Per ridonare la vera spiritualità agli Ordini dobbiamo far sì che i seguaci vedano il loro fondatore come Dio lo vede e Dio non può vedere che Dio, ciò che è Divino. Dio non vede S. Francesco, ma vede l’Idea della Povertà. In S. Teresina vede la piccolezza, in S. Caterina il Sangue di Cristo. Iddio ama ogni Ordine perché Gli ricorda Se stesso, Gli ricorda Gesù, l’Idea di Sé umanata”. 10

La parola per eccellenza: il grido di Cristo in croce

La proposta ermeneutica di Chiara va ancora più in profondità quando orienta verso il mistero di Gesù crocifisso e abbandonato. Il grido di Cristo in croce: “Dio mio, Dio mio perché mi hai abbandonato” (Mc 15, 34; Mt 27, 46), è colto da Chiara come la Parola per eccellen-za, quella in cui tutte le altre parole del Vangelo trovano la più alta spiegazione. Conseguentemente, quando ella pensa ai carismi come “parola di Dio”, non può non vederli se non in riferimento a Gesù abbandonato. Essi sono tutti sgorgati da quella “piaga”, da dove è sgorgato lo Spirito Santo, autore dei carismi. 11

Dal punto di vista ermeneutico il ritorno al Vangelo va quindi portato alle sue estreme conse-guenze: deve giungere al culmine del Vangelo. “Questi Ordini e spiritualità – spiega Chiara – si mantengono se vanno alla Fonte donde hanno Vita: Dio, il Vangelo intero, Gesù nell’espressione più completa di Sé”, ossia “quando redime e redime nell’attimo dell’abbandono”. 12

Ogni carisma ha bisogno del dono dell’altro

Riprendendo nuovamente la metafora della Chiesa come giardino,una ulteriore legge metodologica per la comprensione profonda di un carisma viene così formulata: non fermarsi a guardare soltanto il proprio fiore, ma guardare piuttosto tutti gli altri fiori.

Per il fatto che il mistero di Cristo è inesauribile e inesauribile la ricchezza della sua parola, ogni carisma ha bisogno del dono dell’altro, della luce dell’altro, per capire in profondità se stesso. Senza la piena comunione fra tutti i carismi difficilmente si può raggiungere il senso vero di ciascuno di essi.

Si può ora comprendere meglio l’apporto specifico della spiritualità dell’unità alle altre spiritualità nella Chiesa. Nessuna concorrenza o dicotomia. La spiritualità dell’unità aiuta piuttosto a vivere l’amore reciproco in tutta la sua autenticità, con la misura espressa da Gesù croci-fisso e abbandonato, anche tra benedettini e domenicani, tra gesuiti e francescani, tra verbiti e lazzaristi, introducendo nella pienezza della vita evangelica. Grazie a questa co-munione dei doni tra persone di differenti ordini e istituti Gesù si rende nuovamente presente tra di loro e lui, il Signore Risorto, torna a spiegare le Scritture – il carisma di ciascuno –, proprio come aveva fatto quando si era reso presente tra i due discepoli di Emmaus.

“Noi – spiega Chiara riguardo al proprio contributo alle altre vocazioni nella Chiesa – dobbiamo soltanto far circolare fra i diversi Ordini l’Amore. Si devono comprendere, capire, amare come si amano [tra di loro] le Persone della Trinità. Fra essi c’è come rapporto lo Spirito Santo che li lega perché ognuno è espressione di Dio, di Spirito Santo”. 13

Forse perché la sua è “Opera di Maria”, “si comprende come lei [Maria], madre di tutti i fedeli e della Chiesa, possa aver suscitato un Movimento ecclesiale che raduni tutte le vo-cazioni della Chiesa. E, perché colma di tutti i carismi di Dio, non abbia escluso i religiosi che ama senz’altro di un amore particolarissimo. Essa vuole, anche attraverso questa sua opera, dar una mano a tali figli prediletti”. 14

Il focolare: una originale forma di vita consacrata

Vi è infine un terzo motivo per cui consegniamo a Chiara Lubich il dottorato, ed è fondamentale. Lo accenno soltanto preferendo lasciare a lei stessa, come la più competente, di illustrarcelo. Chiara non soltanto ha elaborato una dottrina nuova sulla vita consacrata e una metodo-logia ermeneutica per la sua comprensione e il suo rinnovamento. Ha fatto molto di più: ha creato una nuova originalissima forma di vita consacrata, il focolare.

J.M.R. Tillard ci ha ricordato che i grandi fondatori posti dallo Spirito all’origine di nuove organiche riletture evangeliche, capaci quindi di dare vita a nuove spiritualità – ed è questo il ca-so di Chiara Lubich – “piuttosto che innestare il loro carisma nell’istituzione religiosa che li precede, la modificano per adattarla al loro progetto e porla al loro servizio, dandole così un nuovo volto”. 15 Essi suscitano nuove forme di vita consacrata. E nuova è la forma del focolare e, attorno ad esso, della grande e complessa architettura dell’Opera di Maria, che abbraccia ormai tutte le vocazioni presenti nella Chiesa e che va oltre, nella comunione con le altre Chiese, con i membri delle altre religioni, con le persone di convinzioni non religiose, attuazione dei quattro grandi dialoghi sui quali il Concilio Vaticano II ha aperto tutta la Chiesa.

Un’audace Opera della Chiesa

Ricordo che in queste aule, spiegando a noi studenti il perché del dottorato a Teresa d’Avila, Jean Leclercq ci diceva che esso non riguardava soltanto il suo magistero nell’ambito della dottrina spirituale ma, grazie alla regola da lei scritta, anche in quello canonico. Chiara Lubich ha visto approvato dalla Chiesa uno Statuto accompagnato finora da ben 18 regolamenti per al-trettante diramazioni e branche. Il nostro dottorato è il riconoscimento dell’audacia della sua istituzione.

La comunità è composta da vergini e sposati, membri a pieno titolo del focolare, e questo obbliga a ripensare l’idea stessa di consacrazione. Il governo, sempre presieduto, per Statuto, da una donna, è lo spazio che consente a “Gesù in mezzo” di guidare il Movimento secondo il di-segno di Dio. La finalità apostolica travalica luoghi e settori specifici per abbracciare gli oriz-zonti stessi del Figlio di Dio: “Che tutti siano uno”; tutti, senza alcuna esclusione di ambiti e di persone. La molteplicità delle vocazioni ecclesiali che vivono nel suo seno, delinea, in bozzetto, come ha avuto occasione di sottolineare Giovanni Paolo II 16, una Chiesa interamente ordinata dalla reciprocità dell’amore, secondo il modello trinitario. L’accoglienza di membri di altre Chiese e religioni, insieme a persone di buona volontà, dilata i confini della Chiesa su quelli infiniti di Cristo e della sua redenzione. In definitiva è apparsa nella Chiesa, ed è vita della Chiesa, una realtà nuova che è destinata a fermentarla tutta, dal di dentro.

Chiara Lubich ha disegnato un immenso affresco che rimarrà segno emblematico della grande stagione carismatica vissuta dalla Chiesa tra i due millenni.

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1 Diario, 30 agosto 1980, inedito, riportato in C. Lubich, Cristo dispiegato nei secoli. Testi scelti, Città Nuova, Roma 1994, p. 68.
2 Diario, 21 maggio 1963, Diario 1964/65, Città Nuova, Roma 19852, p. 61.
3 Cf. Ibid., p. 63.
4 Scritti spirituali/2, Città Nuova, Roma 19843, p. 223.
5 [La Chiesa], 1959, inedito. Questo,m come si successivi testi inediti sono stati riportati in F. Ciardi, I carismi parole di Dio vive, “Nuova umanità”, 19 (1997) 387-407.
6 Ibid.
7 Ibid. Sembra qui riecheggiata l’esperienza di san Paolo, che è poi quella di ogni carismatico: “E Dio che disse: Rifulga la luce dalle tenebre, rifulse nei nostri cuori, per far risplendere la conoscenza della gloria divina che rifulge sul volto di Cristo” (2 Cor  4,6). Giovanni Paolo II nell’Esortazione apostolica Vita consecrata scrive che “nell’unità della vita cristiana le varie vocazioni sono come raggi dell’unica luce di Cristo “riflessa sul volto della Chiesa”” (n. 16).
8 Scritti Spirituali/1, p. 87.
9 [La Chiesa], 1950, inedito.
10 Ibid.
11 In uno dei suoi scritti così esprime tale rapporto tra Gesù abbandonato e le spiritualità degli istituti religiosi: “Se per i francescani è importante la povertà, di cui Francesco è il carisma incarnato, chi più “Ma-donna povertà” di Gesù, il quale nell’abbandono ha perduto Dio? Se i gesuiti mettono in rilievo l’obbedienza, chi più obbediente di Gesù che, orbato del senso della presenza del Padre, a Lui si abbandona? Gesù abbandonato è il modello dei benedettini, “ora et labora”, perché il suo grido è la più straziante preghiera e frutta l’opera più favolosa. Gesù abbandonato è il modello dei domenicani, perché è lì che esprime, che dà tutta la Verità. (…) La spiritualità di Gesù abbandonato può penetrare tutte le altre riportandole, qualora ne avessero bisogno, al loro vero significato, al carisma riposto dal Cielo nel cuore del fondatore, e illuminando i discepoli onde capire ciascun loro maestro e quanto, nelle loro regole di vita, ha loro lasciato”(Citato da A. Balbo, Gesù abbandonato nella vita religiosa, in AA.VV., Il sacerdote oggi, il religioso oggi, o.c., p. 29). Rivolgendosi poi ai religiosi Chiara Lubich così si scriveva: Maria, attraverso la sua Opera (l’Opera di Maria) “concorre anch’essa, con una sua spiritualità, a far sì che queste aiuole [delle famiglie religiose] siano sempre più fiorenti agli occhi di Dio e del mondo. La Vergine opera questo, facendo splendere su molti religiosi quel sole radioso della carità che genera vita; mentre li invita a contemplare le particolari parole, che lo Spirito ha insegnato loro ad incarnare, in Colui nel quale ogni virtù ha raggiunto il culmine, ha toccato il vertice: Gesù crocifisso e abbandonato. Chi saprà mai cantare la sua povertà, affrontare la sua obbedienza, misurare la sua sapienza, raggiungere la sua umiltà? Chi conosce la sua forza? Chi può immaginare la sua fiducia? Chi scrutare l’abisso del-la sua misericordia o imitare la sua magnanimità? Chi bruciare del suo amore? È alla sua luce che molti religiosi riscoprono alla radice il carisma della proria famiglia religiosa” (Messaggio rivolto al Congresso, in AA.VV., Il sacerdote oggi, il religioso oggi, Città del Vaticano, 30 aprile 1982, p. 11). Giovanni Paolo II nell’Esortazione apostolica Vita consacrata scrive in proposito: “Nella contemplazione di Cristo crocifisso tro-vano ispirazione tutte le vocazioni; da essa traggono origine, con il dono fondamentale dello Spirito, tutti i doni e in particolare il dono della vita consacrata” (n. 23).
12 Andare a Gesù abbandonato vuol dire scoprire la fonte ultima della propria vocazione e, insieme, ciò che costantemente può alimentarla. Chi punta “l’occhio del cuore su di Lui”, spiega ancora Chiara Lubich, trova “non una spiritualità ma la Spiritualità (che è l’Unità); non trova un Ordine, ma l’Ordine; non regole ma la Regola, cioè il Vangelo puro” (1950 [?], inedito).
13 [La Chiesa] 1959, inedito. “Il carisma dell’unità – spiega ad alcuni religiosi – mette in moto i figli dei Fondatori, e fa che si conoscano e li uniscano tra di loro. Siccome la carità è illuminante, ognuno viene il-luminato sulla propria vocazione, che sente dentro di sé, perché, se quel dato religioso è figlio di un Santo, ha naturalmente una grazia di figliolanza dentro di sé” (29 settembre 1974, inedito). La carità fa rifiorire la grazia carismatica che lo Spirito ha deposto nel cuore di ciascuno chiamandolo in quella determinata famiglia religiosa.
14 Inedito, citato da J. Castellano, Un carisma a servizio dell’unità tra i religiosi, in F. Ciardi (ed.), Il coraggio della comunione. Vie nuove per la vita religiosa, Città Nuova, Roma 1993, p. 94.
15 Le dynamisme des vocations, “Vocations” (1881), n. 295, p. 22-24.
16 Cf. Discorso al Movimento dei Focolari, Rocca di Papa, 19 agosto 1984; “L’Osservatore Romano”, 20/21.8.1984, p. 5.

 

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