Sono nata nei Paesi Baschi, nel nord della Spagna, vicino alla frontiera francese. Appartengo ad una etnia stabilitasi in quella terra da millenni, con cultura, tradizioni e lingua proprie, che sono state conservate intatte, tramandate dai genitori ai figli.
Dopo la guerra civile spagnola sono emerse varie tendenze separatiste nei confronti dello Stato spagnolo. Alcuni gruppi politici, poi, incrementavano le tensioni e le divisioni e incitavano i baschi alla ribellione.
Verso gli anni ’70 la situazione è peggiorata: la nostra cultura e la nostra identità non solo non venivano riconosciute dal governo spagnolo, ma ci era persino proibito parlare la nostra lingua.
Nonostante questo, nella mia famiglia siamo sempre stati educati alla pace, anche quando intorno a noi il clima di ostilità dilagava.
Tanti nostri amici si sono rifugiati nella clandestinità, alcuni sono stati arrestati, altri sono morti. Noi pure abbiamo provato il dolore di avere un familiare in carcere, la mia casa è stata schedata e siamo stati messi sotto il controllo della polizia.
Sentivo che dovevo fare qualcosa per manifestare il rifiuto di queste forme di repressione. Ho cominciato a frequentare ambienti che organizzavano manifestazioni clandestine per la libertà e in favore dei giovani detenuti. Ma questo modo di lottare mi schiacciava sempre più.
Proprio in quel tempo ho conosciuto la storia di Chiara Lubich e delle sue prime compagne. La loro grande scoperta, che Dio è amore, è diventata la mia: per me è stata una folgorazione! Mi sono sentita avvolta dalle braccia del Padre e quel senso di vuoto, di orfanezza vissuto sino a quel momento, è diventato una luminosa pienezza. Ho trovato la mia identità.
Ho coinvolto subito la mia famiglia e le mie amiche, e mettendoci ad amare siamo usciti dal nostro mondo angoscioso.
Ricordo la gioia incontenibile quando, spinta dalla frase del Vangelo: “Se tuo fratello ha qualcosa contro di te, lascia la tua offerta all’altare e vai a riconciliarti con lui” , ho voluto fermarmi a parlare con una persona da cui ero divisa da tempo per motivi politici.
L’amore ha minato anche la grande paura che avevo dei poliziotti. Un giorno stavo in macchina con due amiche e ci siamo trovate in mezzo ad una manifestazione. Nella fretta di allontanarmi, sono andata a finire proprio tra i poliziotti che sparavano pallottole di gomma. Mi sono ricordata: “Amate i vostri nemici” , e sono scesa dall’auto con una grande pace, diretta verso di loro. Ho spiegato quello che mi era successo e sono rimasta di stucco: il capo della polizia ha fermato il traffico e mi ha fatto uscire contro mano dalla zona pericolosa. Dietro la divisa che tanto temevo ho trovato dei fratelli. È stata la conferma che quando si ama con l’amore che viene da Dio si trascinano anche gli altri ad amare nello stesso modo.
Nel liceo basco in cui lavoravo come segretaria mi era stato ordinato di non ricevere nessuno che non parlasse la lingua basca. Era un modo per far pressione sul governo con lo scopo di ottenere maggior rispetto per la nostra cultura, ma a me sembrava un’imposizione inaccettabile. “Qualunque cosa avrete fatto al più piccolo…, l’avrete fatta a me”: non potevo chiudere la porta in faccia a Gesù perché non parlava basco!
Ho iniziato a ricevere tutti senza distinzioni, facendo da tramite per evitare incontri diretti con la direzione della scuola. All’inizio è andato tutto liscio, ma poi sono stata scoperta. Eppure, nessuno ha avuto il coraggio di rimproverarmi, anzi ho saputo che i miei superiori approvavano il mio modo di agire.
Non mi bastava però rimanere nella sfera privata: ero convinta che questa vita evangelica avrebbe avuto un impatto sociale. Nel ’96 Chiara Lubich ci invitava a reagire contro tutto quello che non è pace. Era un’autentica rivoluzione.
Superando ogni timore, con i miei amici ho aderito ad un’iniziativa per manifestare pubblicamente contro la violenza terrorista dell’ETA, che vìola continuamente la volontà del popolo basco. Così, ogni lunedì, alle otto di sera, in più di cento punti del paese, esprimiamo nelle piazze e nei quartieri, con quindici minuti di silenzio, il nostro disaccordo, contro ogni tipo di violenza.
Gli estremisti contestano queste manifestazioni pacifiche e fanno di tutto perché desistiamo dal nostro impegno: spesso cercano di spaventarci con insulti e atteggiamenti ostili, ci tirano oggetti e ci fotografano per schedarci nella lista nera. Conosciamo alcuni di loro, vicini di casa, colleghi di lavoro, e viviamo autentiche lacerazioni.
Ma la certezza che per costruire l’unità bisogna essere pronti a dare la vita come ha fatto Gesù ci appare sempre più come l’unica via. La cerchia delle persone che vogliono costruire la pace si allarga: mamme, bambini, giovani. “Oggi ho scoperto che c’è una generazione nuova – ci ha detto un giorno un uomo in una piazza –, e mi è nata nel cuore la speranza per il futuro”.

Maria U.(Paesi Baschi)

 

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