Siamo tutti collegati come membra di un unico corpo. Se uno è più debole, subentra l’altro. È questa la semplice, ma sconvolgente logica evangelica che ci presenta Chiara Lubich nel seguente scritto, oggi più attuale che mai.

Ho visto un uomo in una corsia d’ospedale, ingessato. Aveva bloccato il torace e un braccio, il braccio destro. Col sinistro s’arrangiava a far tutto … come poteva. Il gesso era una tortura, ma il braccio sinistro, anche se più stanco alla sera, si irrobustiva lavorando per due.

Noi siamo membra l’uno dell’altro e il servizio reciproco è nostro dovere. Gesù non ce l’ha solo consigliato, ce l’ha comandato.

Quando serviamo qualcuno, per la carità, non crediamoci santi. Se il prossimo è impotente, dobbiamo aiutarlo e aiutarlo come si aiuterebbe, potendolo, lui stesso. Altrimenti che cristiani siamo?

Se poi, venuta la nostra ora, abbiamo bisogno della carità del fratello, non sentiamoci umiliati.

Al giudizio finale udiremo ripetere da Gesù: “Ero … ammalato … e mi avete visitato, … ero carcerato, ero ignudo, ero affamato”[1] …, dove Gesù ama nascondersi proprio sotto il sofferente e il bisognoso.

Sentiamo perciò anche allora alla nostra dignità e ringraziamo di gran cuore chi ci aiuta, ma riserviamo il più profondo ringraziamento per Dio che ha creato il cuore umano caritatevole, per Cristo che, bandendo col suo sangue la Buona Novella, soprattutto il “suo” comando, ha spinto un numero sterminato di cuori a muoversi in aiuto reciproco.

Chiara Lubich

 

Tratto da: Chiara Lubich, Ero ammalato, in: Chiara Lubich, L’attrattiva del tempo moderno. Scritti spirituali /1, Ed. Città nuova, Roma 31991, p. 59.

[1] Mt 25,35-36.

3 Comments

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *