«In una prospettiva storica, Sarajevo e tutta la Bosnia ed Erzegovina, se consolideranno nella pace il loro assetto istituzionale, potranno divenire alla fine di questo secolo un esempio di convivenza nella diversità per tante nazioni che sperimentano questa difficoltà, in Europa e nel mondo», aveva augurato Giovanni Paolo II durante la sua visita in Bosnia nel 1997. E’ la forza di ricominciare dopo le ferite della guerra.

Il Movimento dei Focolari era arrivato in Bosnia-Erzegovina nel 1975  quando queste due regioni  facevano parte della Jugoslavia.  Alcuni giovani  avevano partecipato alla Mariapoli, incontro estivo del Movimento, a Zagabria in Croazia. Gli anni seguenti, i continui viaggi delle e dei  focolarini  rinsaldano i rapporti con loro e ne intessono di nuovi.

Nel 1992 lo scoppio della guerra: innumerevoli perdite, distruzioni, morti, profughi. Moltissimi scappano nelle diverse nazioni europee. Dai paesi vicini le persone del Movimento cercano di sostenere in tutti i modi quelle rimaste sul posto. Poiché le strade sono chiuse, si arriva con qualche lettera o pacchi d’alimenti. Queste diventano, a loro volta,  punto di riferimento per altri che si trovano in necessità, a qualsiasi etnia o fede religiosa appartengano. Così con i beni, uniti all’appoggio generoso e al sostegno a tutto campo, si  trasmette  la speranza che il mondo unito è possibile.

La scintilla dell’ideale dell’unità ricevuta tanti anni prima e custodita nel cuore, si è pienamente accesa per tanti proprio nella guerra, come loro stessi affermano. Così molti altri  musulmani e cristiani, che avevano sperimentato la concretezza dell’amore, tornando in Bosnia, diverranno portatori e testimoni di questa nuova vita.

Appena diventa possibile, nel 1996, durante la Settimana mondo unito, un gruppo di giovani della Croazia e della Germania va a Sarajevo, città che ha molto sofferto durante la guerra, per incontrare i giovani del posto. La città distrutta e fin allora isolata, si collega con tutto il mondo attraverso una conferenza telefonica mondiale. Le emozioni sono fortissime,  si ha la certezza che l’amore ha vinto! Nel 1997  a Sarajevo, il complesso internazionale “Gen Rosso” si esibisce in un concerto e  alcune delle circa mille persone che vi partecipano  desiderano  rimanere in contatto.

Oggi in Bosnia c’è una piccola comunità variopinta  formata  da persone di popoli e culture diverse, di varie fedi religiose: cattolici, ortodossi, musulmani. Tutti sono feriti dalla guerra, ma hanno avuto la forza di perdonare. S’intravede in loro un segno profetico di quell’unità desiderata da Giovanni Paolo II in occasione della sua visita a Sarajevo nel 1997, quando ha augurato che questa città diventi, dopo la tragedia della guerra, il modello di convivenza per il III millennio.