“Beati gli afflitti, perché saranno consolati”. Come forse ricorderai, un giorno, Gesù, nel discorso della montagna, rivoluzionando il modo di pensare umano, ha chiamato “beate” persone che, a prima vista, sembrano tutt’altro che felici: i poveri, i perseguitati, i miti, quelli che si dedicano a rappacificare gli animi… Con la parola, poi, che egli propone oggi alla tua attenzione, sembra addirittura affermare l’assurdo: sono beati quelli che proprio non lo sono: gli afflitti, i desolati, quelli che piangono. Ti chiederai: come si può spiegare questa affermazione?

«Beati gli afflitti, perché saranno consolati».

Il Messia è venuto per realizzare la profezia di Isaia, che annuncia l’ora in cui avranno consolazione coloro che sono nel dolore: “Tutti gli afflitti saranno consolati” (cf Is 61, 2-3). Egli infatti sa che chi soffre è fortunato, è beato perché è più pronto ad accogliere la sua parola e quindi ad entrare nel suo Regno, e sa come lo stato di afflizione, in cui si trova il mondo, può trasformarsi per lui in vita di gioia. Rivolgendosi agli afflitti, Gesù non ha in mente una categoria particolare di sofferenti, ma pensa a chiunque pena, sia adulto o bambino, uomo o donna, di qualsiasi razza o latitudine, per qualsiasi causa: una disgrazia, una calamità, una malattia, la perdita di una persona cara o di beni materiali o della stima; pensa a delusioni, ad angosce mute del cuore… Gesù pensa a tutti questi ed anche a te, se in questo momento soffri.

«Beati gli afflitti, perché saranno consolati».

“Saranno consolati”. Certamente, usando il verbo al futuro, Gesù allude a quel tempo in cui a coloro che hanno sofferto, e sofferto bene, Dio stesso “tergerà ogni lacrima dai loro occhi; non ci sarà più la morte, né lutto, né lamento, né affanno” (Ap 21,4). Tutto questo, che avverrà quando il suo Regno sarà instaurato, suscita già nel cuore la speranza che dimezza il dolore. Ma Gesù, con queste sue parole, non vuole portare chi è infelice alla semplice rassegnazione promettendo una compensazione futura. Egli pensa anche al presente. Il suo Regno infatti, anche se in maniera non definitiva, è già qui. Esso è presente in Gesù che, risorgendo da una morte sofferta nella più grande afflizione, ha vinto la morte. Ed è presente anche in noi, nel nostro cuore di cristiani: Dio è in noi. La Trinità vi ha preso dimora. E allora la beatitudine annunziata da Gesù può verificarsi sin d’ora.

«Beati gli afflitti, perché saranno consolati».

Nel Regno portato da Gesù, la consolazione può essere quindi una tua esperienza quotidiana. Naturalmente, occorre una condizione! Che tu viva da figlio di questo Regno e imposti la tua vita secondo le sue leggi, secondo le esigenze di Gesù. Egli ha detto che le sofferenze che ci sovrastano vanno accettate così come le ha accolte lui. Vuole che tu “prenda” la tua croce, non che la odi, non che la ripudi, non vuole che tu la respinga, che la trascini. Occorre che tu l’ami. Vuole che la sistemi bene sulle tue spalle, anzi: che la brandisca come una fiaccola, come una bandiera. Allora, ecco il miracolo del Regno: Dio te la rende leggera; senti che la puoi portare ed arrivi, persino, a sorridere in mezzo alle lacrime. C’è una forza in te che non è da te: viene da lui. E comprendi perché egli parli di “giogo leggero e soave”. Le sofferenze possono permanere, ma c’è un nuovo vigore che ci aiuta a portare le prove della vita e ad aiutare gli altri nelle loro pene, a superarle, a vederle, come Lui le ha viste, e accoglierle, quale mezzo di redenzione.

Chiara Lubich

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