I difficili inizi

Era il febbraio del 2001. Venni trasferito in una parrocchia eretta giuridicamente da poco, con la chiesa e la casa ancora in costruzione.

Tante le circostanze avverse: la chiesa non ancora in funzione, il mio trasferimento che poteva sembrare una “retrocessione”, il non avere per sette mesi un posto per celebrare Messa, neppure di domenica, avrebbero potuto farmi rinchiudere in me stesso. Ma quante volte avevo sperimentato che Dio è Amore, anche quando ti mette in circostanze apparentemente negative. Da tempo avevo incontrato il Movimento dei Focolari, e avevo scoperto il culmine del Suo amore proprio quando Gesù sulla croce grida l’abbandono del Padre. Avevo scelto di riconoscerlo e amarlo in ogni dolore. Mi fu di luce la frase di un amico sacerdote: “Non analizzare, perché Gesù va amato per se stesso e subito, uscendo da se stessi per servire gli altri”.

Il vescovo mi aveva presentato la parrocchia come molto difficile, con tutti i problemi tipici delle periferie: quel quartiere era tristemente famoso sulle pagine dei giornali locali. Mi aveva fatto una consegna significativa: “Ti dono la croce che il Papa ha dato a me”.

L’inaugurazione della chiesa

Nell’ottobre del 2001 si inaugura la chiesa, anche se ancora incompleta. Mi sono chiesto come impostare l’attività pastorale. Mi sentivo sotto esame. Tra gli abitanti del quartiere si respirava una certa diffidenza. Come costruire una comunità? Ho cominciato, accogliendo tutti quelli che mi avvicinavano, mettendoli a loro agio e ascoltando con attenzione i loro consigli e le loro richieste.

Ho poi visitato le famiglie. Iniziavo ogni giornata mettendomi d’accordo con Gesù: volevo vedere Lui in ogni persona e amarla senza riserve. Anche quando facevano apprezzamenti… sgradevoli nei riguardi dei preti e della Chiesa. Quella croce che mi era stata consegnata mi ricordava la misura dell’amore: dare la vita. 
Non ho mai sentito in vita mia tante confidenze, né mai conosciuto situazioni familiari e personali così varie e dolorose. Ad un certo punto la gente si passava la voce. La mia visita era desiderata, visto che da venti anni nessun prete aveva visitato e benedetto le loro case e le loro famiglie.

Qualcuno poi prese coraggio: “Io non vengo alla Messa solo per ascoltarla, che tanto è uguale dappertutto, io vengo per sentire quello tu dici”. Ascoltavano le prediche soprattutto quando partecipavano ai funerali: unica occasione in cui ancora tutti qui vanno a Messa. Ho incontrato il loro favore perché cercavo che le prediche fossero più un colloquio aperto che un discorso di cattedra, ed evitavo ammonizioni e rimproveri.

Nasce la comunità

Iniziano alcune ragazze, che formano un piccolo coro: si incontrano per preparare i canti e cominciano a conoscersi. Cresce la stima reciproca e ben presto ci troviamo a riflettere sulla Parola di Dio. Qualcuna chiede un colloquio personale, col desiderio di conoscere di più Gesù e di impegnarsi di più in parrocchia.

Ho cercato di far sì che la Messa fosse sempre più un incontro di famiglia, di fratelli uniti intorno al Padre. Avvicinandosi il Natale, al termine della Messa, un giorno dissi: “Oggi vi chiedo un favore: salutate tutti quelli che non conoscete e non salutate nessuno di quelli che già conoscete”. La reazione: gioia e soddisfazione di poter rivolgere la parola a chi era seduto vicino gomito a gomito, ma con cui non si aveva il coraggio di rompere il ghiaccio per un saluto, un augurio che non fosse quello liturgico molto formale.

In parrocchia c’è ormai un gruppo di persone impegnate nel vivere la Parola di Dio. Si riunisce periodicamente per approfondirla e per scambiarsi  le esperienze. Ho invitato questi nostri amici a scoprire la sorgente di quella vita che li aveva attratti: il carisma del Focolare. Crescevano in loro l’interesse e la partecipazione.

Segni di cambiamento

Una signora che lavora nella Polizia scopre la possibilità di vivere il Vangelo. Facciamo un lungo colloquio e, dopo aver parlato della difficoltà di vivere secondo lo spirito evangelico nel suo lavoro, le suggerisco di leggere la rivista Città Nuova, che in quei giorni riportava un articolo interessante su come un poliziotto riusciva a permeare il suo ambiente di lavoro ispirandosi proprio al Vangelo.

Torna qualche giorno dopo, ancora incredula che possa essere vero il contenuto dell’articolo. Le suggerisco che il segreto è agire a corpo e le parlo di nuovi modelli di santità nella Chiesa: anche oggi si può vivere il Vangelo pienamente, ma solo se lo si fa insieme.

Lei ci prova e coinvolge il marito, le figlie, qualche amico, fa esperienza anche nelle difficoltà, si scoraggia, si riprende. Ora lei, il marito e le figlie vivono lo spirito del Movimento dei Focolari.

Ricevo un biglietto di auguri natalizi da parte di un uomo maturo negli anni, che ha partecipato fin dall’inizio agli incontri della Parola di vita: “Ebbene, da quando ho cominciato a comprendere ciò che vuoi trasmetterci, il mio modo di vivere è completamente cambiato sia in famiglia che con gli altri. Ora finalmente so qual è il fine della vita: portare dentro di me, ovunque e a chiunque, questo fuoco che tu mi hai acceso. Grazie!”.

Un bambino capita per caso nel corso di catechismo di terza elementare; i genitori sono separati; prima non partecipava mai a Messa, poi sentendosi bene accolto, comincia a frequentarla, facendosi accompagnare ogni volta dalla madre; poi una sorpresa: si presenta un giorno con il padre che mi dice: “Mio figlio non fa che dirmi: – vieni a messa con me…”. E non basta, la domenica successiva lo trovo in sagrestia pronto con gli altri bambini per servire la messa. Mi chiama e mi dice: «Oggi ho portato Marco che non è mai venuto a Messa, perché va sempre alla partita di calcio; oggi ce l’ho portato io».
 
Ma c’è un segreto

Dal dicembre 2002 nella casa parrocchiale sono arrivati due sacerdoti: don F., da poco nominato parroco di un’altra parrocchia in città e, come ospite, don N., sacerdote di 86 anni che, lasciato il servizio pastorale, non sapeva dove andare. Non finiremo mai di ringraziare Dio per la possibilità di vivere insieme nell’amore reciproco, con quella ‘presenza’ che Gesù ha promesso a quelli che sono uniti nel Suo nome. La libertà, la sapienza, la luce, la gioia non hanno prezzo. Senza di Lui tutto è vuoto. Con Lui tra noi sperimentiamo la pienezza.

La presenza di don N., poi, ha fatto capire a tutti che il nostro parlare di Vangelo e di amore è una cosa concreta.
La nostra casa è aperta ad altri sacerdoti, di altre nazionalità, ospiti di passaggio, a seminaristi, per vacanze o per qualche giorno di riposo. Questa ospitalità è stata contagiosa, ha aperto il cuore e le tasche dei fedeli. Le offerte spontanee sono la voce più alta del nostro bilancio.

Siamo tuttora testimoni anche di una sorprendente esperienza della provvidenza. La nostra vita comune va avanti ormai da più di tre anni e matematicamente tutti i giorni – e in alcuni giorni con sovrabbondanza – non manca un dono in cibo, vestiario, denaro, aiuto…
Una sera, alle nove di sera, un bambino ha posto sul tavolo della sagrestia una porzione di crostata con questo biglietto: «Don N., è per te; io ho finito di cenare, ho pensato a te e te ne ho portato un pezzo!».

 

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