Mentre ancora increduli assistevamo, davanti al televisore, al precipitare degli avvenimenti a Baghdad, un fax giunto dalla zona calda confermava i fatti. “Ieri eravamo sbalorditi davanti a quello che stava succedendo! Non sapevamo cosa pensare, cosa dire. Abbiamo aspettato che passasse la notte – si temeva qualche brutta sorpresa –, ma stamattina le notizie sono buone a conferma del fatto accaduto ieri: “La caduta del regime Saddam”. Le reazioni sono contrastanti: gioia, delusione, paure… È certo però che poteva andare molto peggio, con vittime e drammi maggiori. Sono le preghiere del papa e di tanti che con lui hanno pregato, che hanno fatto evitare il peggio, salvare la chiesa, i nostri amici e forse molto di più… Con profonda gratitudine e preghiera intensa rimaniamo in Dio solo, Dio amore, Signore della storia, e continuiamo ad affidare a lui e a Maria la sorte di questo popolo e di tutti i popoli”.

Erano i nostri amici di Baghdad che volevano tranquillizzarci dando notizie di sé. Un fax che Chiara Lubich stessa chiedeva di diffondere con un suo breve commento: “Se non si può dire proprio che la guerra è finita, certo che – a quanto sembra – siamo a buon punto. E, come sapete, si fanno strada le più varie spiegazioni di questo fatto. La nostra, certissima, è che qui ha vinto la preghiera del Santo Padre, la nostra elevata da tutto il mondo e quella di quanti compongono il “popolo della pace”. Con la gioia in cuore, chiediamo ancora a Dio che non ci siano strascichi dolorosi”.

Crollato il regime, resta ancora da compiere quello che per molti, noi compresi, è il lavoro più difficile. Era prevedibile che una schiacciante superiorità tecnologica e il dominio incontrastato dei cieli portassero ad una rapida conclusione delle battaglie campali. Molto meno facile, come stiamo vedendo, è gestire la fase attuale caratterizzata da attacchi di kamikaze, da faide personali, scontri interetnici, disordini e saccheggi come quelli che subito si sono verificati. Gli strascichi penosi di tutte le guerre, insomma.

Si prospetta una difficile pace “da vincere”, la cui fase critica – non c’è da farsi illusioni – durerà assai più della guerra.
I grandi dubbi, ma potremmo anche dire le grandi certezze che ci rendevano risoluti oppositori della soluzione di forza adottata, sono ancora intatti davanti a noi: il conflitto non ha fatto che accentuare i problemi sul tappeto, in particolare l’incomprensione tra popoli e culture e il persistere delle ingiustizie economiche planetarie. E siamo più che mai convinti che, se ci sarà il coraggio di riflettere, proprio la coscienza degli errori compiuti sia la miglior ricetta per gestire questa nuova fase.

Pesano terribilmente sulla bilancia i morti e i danni che ci sono stati, anche se ora più che recriminare, serve ormai contenere questi danni. Ciò non esime dal giudizio, ma lo accantona per agevolare i soccorsi. Lenire le ferite, quelle dei corpi straziati e quelle degli animi, è il primo imperativo. Certo, è difficile parlare di normalità, anche solo immaginarla, ma si deve lavorare per quella. E la prima condizione è ritrovare la concordia fra chi vuole e può portare aiuto. Per cui è essenziale rientrare quanto prima nell’alveo dell’Onu, avendo deposto ogni pregiudiziale che potrebbe portare impedimento al soccorso.

Alle motivazioni che sottolineano la nostra distanza dall’ideologia cui sembra essersi ispirato Bush per giustificare l’intervento armato, dedichiamo un approfondimento nello “speciale” che segue. Come pure all’importanza del dialogo interreligioso, indispensabile per la pacificazione dei cuori. Mentre non cessiamo di testimoniare che la nostra prima certezza, fondamento di questo stesso dialogo, è nell’efficacia della preghiera al Padre comune che, anche sotto le bombe, ha viste affollate per giorni e notti moschee e chiese, senza dimenticare le sinagoghe.

Un sentire comune, questo, suffragato da centinaia di lettere con migliaia di firme che continuano ad arrivarci da ogni parte del mondo, a testimoniare una mobilitazione davvero planetaria di intercessione a Dio per la pace. Ad essa ora si aggiunge una preghiera di ringraziamento per la fondata speranza che, cessata la guerra, si possa finalmente avviare la fase della pacificazione e della ricostruzione.

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