In ospedale un ritmo di lavoro senza tregua, pesantezza spirituale, poi un’ondata di luce, sgorgata dalla testimonianza dell’Amore evangelico che si fa vita con radicalità. Sr. V. riscopre l’amore di Dio, la sua vocazione. Nuovo slancio nel mantenere vivo giorno per giorno l’amore scambievole nella sua comunità. Cambiamento che non passa inosservato da parte di medici, infermieri, in un ambiente prevalentemente ateo. La vita attorno rifiorisce. Poi gli anni della guerra, la resistenza pacifica del convento: dall’unità una forza di pace che si irradiava all’esterno più forte delle persecuzioni e violenze.

Quando molti anni fa ho conosciuto questo Ideale dell’unità, nella mia vita è entrata una nuova luce. Sono stata toccata dall’Amore che subito si traduceva in vita, mi sono sentita amata personalmente da Dio e profondamente grata perché mi aveva chiamata a seguirlo come religiosa.
Potevo ricambiare questo amore cominciando da chi mi stava più vicino, nella mia comunità, e poi portarlo a chiunque avrei incontrato nel lavoro…
Noi religiose eravamo oberate dal lavoro negli ospedali statali con turni molto impegnativi; io lavoravo giorno e notte e questo non facilitava il vivere tra di noi una vera vita comunitaria. I ritiri, ad esempio, non si tenevano con regolarità; così pure non approfondivamo la conoscenza della nostra fondatrice o delle nostre regole e costituzioni: questo portava ad una pesantezza spirituale.
Con questa nuova luce del carisma dell’unità, che aveva preso me e altre consorelle, abbiamo cominciato a vivere l’amore scambievole, sperimentando la presenza di Gesù promessa a chi vive nell’amore: «Dove due o tre sono uniti nel mio nome, io sono in mezzo ad essi». Questo ci dava ogni volta la forza e la gioia per ripartire a testimoniare il suo amore anche nel lavoro e con chiunque ci capitava di incontrare in un ambiente ateo. Dopo un po’, nell’ospedale, infermieri e medici mi hanno chiesto quale fosse la radice di questa mia felicità; ho potuto comunicare loro come cercavo di mettere in pratica il Vangelo insieme a molte altre persone e che questo mi aiutava anche nei momenti più difficili.

Col tempo ci siamo trovati in molti: cattolici, ortodossi, luterani, persone indifferenti, non credenti… non solo a leggere insieme la Parola di vita, ma anche a scambiarci le esperienze, a condividere le difficoltà scoprendo nell’amore il movente di ogni azione. Questa esperienza andava oltre l’ospedale e coinvolgeva parenti, amici, conoscenti. Ogni volta rimanevo sbalordita di fronte a ciò che Dio operava nelle persone che incontravamo. Ricordo a esempio il cambiamento radicale di una personalità importante nel campo politico.
Sono trascorsi gli anni e, per la situazione difficile che si è venuta a creare a causa della guerra, molte persone di altre nazionalità hanno dovuto lasciare il Paese. Anche le religiose di diversi ordini, per motivi di sicurezza, hanno dovuto abbandonare le case abitate da decenni e quelle che rimanevano si dovevano riunire formando nuove comunità.
Proprio in questo momento mi è stato chiesto di prendere la responsabilità di un nuovo convento. Non mi era facile lasciare la realtà costruita per anni, a volte con fatica, ma ho sentito che dovevo dire il mio «sì» fino in fondo alla nuova volontà di Dio ed obbedire ai superiori, credendo nella forza dell’unità. L’impatto è stato duro; mi sono trovata in un nuovo convento dove mi sembrava non si riuscisse a creare una vera armonia: ognuna aveva abitudini diverse, ognuna viveva come era abituata precedentemente. Mi mancavano quei momenti di scambio fraterno in cui ci si accordava sui programmi da fare, ci si consigliava o ci si comunicavano i frutti di un’esperienza.
Mi sono chiesta come poter fare. Ho iniziato a pregare e pian piano a parlare personalmente con l’una e con l’altra, ma i risultati erano scarsi.
Lì mi sono ricordata di Gesù abbandonato ed ho capito che il mio amore doveva avere la misura del suo: «Amatevi… come io ho amato voi» (Gv 13,34). L’ho riscelto con nuovo impegno. Ho capito che dovevo accettare le altre consorelle così come erano, senza volerle cambiare, ma amando io per prima.
A poco a poco il clima mutava, vedevo come l’amore ritornava, si costruivano tra noi rapporti profondi, altri si consolidavano. Abbiamo iniziato ad aiutarci concretamente, ad essere più aperte tra noi, a vedere il positivo in ognuna.
Un giorno, una consorella spontaneamente ha chiesto in prestito una macchina per accompagnarmi ad un incontro, un’altra l’ha sostituita nel suo compito, e in questa atmosfera di amore scambievole tutte eravamo più felici e la diversità era diventata contributo all’unità.
Uno dei momenti più belli è quando ci incontriamo con le religiose di altri ordini. Nonostante le difficoltà a muoverci a causa dei molti impegni che ognuna ha, è sempre una festa il ritrovarci insieme. L’unità che si costruisce acquista una dimensione ancora più profonda e scopriamo la bellezza di ogni Famiglia Religiosa come fiori diversi di un unico giardino della Chiesa. Sperimentiamo che le esperienze delle altre sono un prezioso arricchimento, che ciascuna porta poi alle proprie comunità. E tutto diventa più vivo. Troviamo la forza di superare le inevitabili difficoltà anche in un ambiente come il nostro, che si trova in piena diaspora.

Ricordo l’estate del ’95, quando nel Paese del Sud-est europeo in cui eravamo, sono iniziati ad arrivare migliaia di profughi e la situazione è diventata molto tesa poiché le forze estremiste volevano occupare con la violenza le case e i conventi cattolici. Di giorno in giorno le notizie erano sempre più allarmanti. Alcune religiose di vari istituti volevano fuggire ed eravamo in un incubo continuo. Ci siamo messe in contatto col focolare e lì, con Gesù fra noi, abbiamo ritrovato vigore. E’ nata in noi una nuova certezza: solo l’amore può vincere le situazioni più assurde. Abbiamo comunicato questa certezza anche alle suore degli altri conventi e insieme abbiamo riversato questa nuova forza sui laici e su chiunque incontravamo.
Ora le condizioni di vita sono più tranquille, ma ringraziamo Dio per ciò che abbiamo vissuto e per averci dato la possibilità di sperimentare che la fraternità, l’unità, è l’avventura più bella che si possa vivere, avventura che si costruisce solo con l’amore esclusivo a Gesù abbandonato, unico Ideale della nostra vita.
Sr. V. M.

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