Vengo da una provincia del sud, una regione di contadini, con una forte cultura individualista, dove ognuno fa il possibile per uscire dalla povertà. La famiglia ha poco valore, si sta bene solo con quei pochi che chiamiamo amici. Dio è lontano.

Anche per me l’unica preoccupazione era il benessere. Immerso in quest’ambiente sono entrato nel commercio della droga: prima nella coltivazione e poi nella distribuzione su piccola scala. Per quelli che vogliono guadagnare tanti soldi facilmente, questo è il lavoro giusto.
La mia coscienza però lentamente si è ribellata: di notte leggevo una Bibbia chiesta in prestito e mi accorgevo che quanto facevo era in pieno contrasto con quelle parole. E’ in questa fase della mia vita che dei cugini mi hanno invitato ad un incontro di giovani. Ho trovato in loro qualcosa di speciale: volevano vivere il Vangelo. Tornato al lavoro ho deciso di provarci anch’io: ho iniziato a cambiare alcuni atteggiamenti. Cercavo insomma di auto-educarmi, ma il punto era che io in quell’ambiente non ci potevo stare, se volevo essere coerente: guadagnavo bene, ma la droga uccide. Quelli che la compravano da me dicevano che era per fare medicine e che Dio non c’entra perché ci ha fatti liberi e noi dobbiamo guadagnarci il pane.
Ho maturato allora la convinzione che l’unica alternativa per uscire dal giro era andarmene. Una scelta incomprensibile ai più, non solo perché lasciavo “l’affare migliore”, ma anche perché questa era una scelta piena di pericoli, sfidavo la legge del più forte. Ma l’ho fatto.

Ho cominciato ad occuparmi degli altri, lavorando in organizzazioni comunali. Ho pensato di contattare quei giovani che volevano vivere il Vangelo, per fare qualcosa di buono per il nostro Paese. Ho raccontato loro del mio desiderio di cambiar vita, e mi hanno parlato del progetto dell’Economia di comunione. Prima pensavo che per dare bisognasse esser ricchi, ma ho capito che si può dare anche il poco che si ha. Ho formato così un gruppo per aiutare tanti altri come me, e abbiamo iniziato varie attività: una palestra, una squadra di calcio, giornate di lavoro a servizio di chi ha più bisogno, cercando di cogliere ogni occasione per superare il profondo individualismo in cui viviamo.

Per esempio, ad un vicino si è incendiata la casa. Abbiamo chiesto come poter essere utili e ci ha detto che gli serviva del cemento per costruire il serbatoio per l’acqua. Abbiamo lavorato per trovare i soldi, siamo andati in paese per pagare il cemento e gli abbiamo dato la fattura perché andasse a ritirarlo. Un signore con sette figli ha deciso di costruire la sua casa, ma per via del lavoro non aveva mai tempo per finirla. Ci ha chiesto di andare a prendere il legname in un posto distante 4 km. su un difficile sentiero di montagna. Abbiamo impiegato otto ore, quasi senza riposarci, ma lui era infinitamente grato. Andiamo anche in una casa di anziani, portando loro alcuni prodotti del campo.

Si è messa in moto così nel paese una catena di condivisione che ci fa sentire molto più uniti e che ci ha permesso di superare antichi odi e divisioni, facendoci sperimentare il senso del vivere da fratelli.

(J. S. – Colombia)

Comments are disabled.