Il racconto di una vita insieme passa con naturalezza dalle parole di Anna a quelle di Claudio, quasi fossero diventati, dopo tanti anni di matrimonio, una sola persona. «Quando ci siamo sposati ci univa l’entusiasmo – comincia lei – e la gioia di veder nascere la nostra famiglia. Nella cittadina del nord Italia, dove ci siamo trasferiti per il lavoro, non conoscevamo nessuno. Io mi occupavo delle faccende di casa, e aspettavo che lui tornasse, la sera. Eravamo felici, ma… ci mancava qualcosa. Una domenica ci siamo avvicinati a un sacerdote, fuori dalla chiesa. Lo abbiamo invitato a casa, e lui è arrivato portandoci una rivista, “Città Nuova”. Poi ci ha parlato della Parola di Vita. Ci è sembrato che anche noi potevamo impegnarci a vivere il Vangelo».

«Avevo un buon lavoro – spiega Claudio -, costruivamo macchine per lo sviluppo e la stampa di pellicole cinematografiche. Ma dopo la morte del titolare erano sorte difficoltà con gli eredi. A un certo punto mi arrivò una proposta molto appetibile. Un lavoro ben pagato ma, venni a sapere, dai contenuti eticamente inaccettabili. Fummo d’accordo, io e mia moglie, di non accettare. Poco dopo un’altra opportunità, questa volta con uno stipendio più basso. Intanto era nato il secondo figlio, e le esigenze della famiglia crescevano. Abbiamo accettato, fidandoci che non ci sarebbe mancato nulla.

Il lavoro era tanto e avevo bisogno di un collaboratore. L’ufficio del personale mi propose una persona con problemi caratteriali, che al primo contatto, infatti, rispose: “Se lei pensa di farmi lavorare si sbaglia di grosso”. Ero cosciente che avrei dovuto compensare le sue carenze, ma ci eravamo ripromessi di amare tutti, quindi non potevo tirarmi indietro. In seguito anche lui si è appassionato al lavoro, e a Natale, dentro un pacco avvolto di carta di giornale, mi ha portato in dono un trenino per mio figlio».

«Aspettavo il terzo bambino – riprende Anna – quando arrivò per Claudio una nuova opportunità di lavoro. Nella nuova città dove ci siamo trasferiti sono nati gli altri quattro figli. Una piccola “tribù”, che cresceva assaporando il nostro stile di vita e l’armonia che cercavamo di mantenere tra noi. Anch’io lavoravo, insegnavo tedesco alle superiori, e questo comportava molto impegno, ma i ragazzi collaboravano, aiutandosi nei compiti o preparando la cena. Una sera ero sul pullman, di ritorno da scuola, che distava circa 30 km. Diluviava, e già pensavo che mi sarei bagnata tutta. Non esistevano allora i cellulari. Alla fermata dell’autobus, trovai uno dei figli, ancora ragazzino, ad aspettarmi con l’ombrello.
Qualche anno dopo, quando già eravamo in nove (più una gatta), per il lavoro di mio marito si è prospettato ancora un altro trasferimento. Io ero molto titubante. Ma capivo che lui soffriva a vivere in albergo per cinque giorni la settimana. Per amor suo, ci siamo convinti a fare di nuovo i bagagli. Capivamo l’importanza di essere sempre uniti, e spesso pregavamo insieme nei momenti di difficoltà. Durante la giornata ero sola, ma sapevo che lui era con me. Certe volte, dopo cena, facevamo il giro dell’isolato, quattro passi insieme per ritrovarci da soli noi due».

«Ora i nostri figli sono tutti sposati – riprende Claudio -. Uno di loro si è separato dalla moglie, e per noi è stato un grande dolore. Durante un recente pellegrinaggio abbiamo affidato a Maria questa situazione. Dapprima abbiamo pregato perché si ricomponesse la sua famiglia. Dopo un po’ ci è sembrato che fosse più giusto chiedere, per loro, la conversione del cuore. Infine abbiamo capito. La grazia da chiedere era un’altra: la nostra conversione. Siamo partiti da lì col desiderio di essere attenti a quello che Dio ci avrebbe chiesto ancora. Perché vorremmo non smettere mai di essere strumenti del Suo amore. È l’amore l’unica cosa che in una famiglia non deve traslocare mai».

Chiara Favotti

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