Cercare l’amore e fuggire dal dolore: ecco un meccanismo quasi naturale dell’esistenza umana. Con il messaggio della croce il cristianesimo, invece, insegna che l’amore vero e profondo passa per il dolore. Chi capisce bene la croce – dice Chiara Lubich nel seguente testo – vi trova una chiava alla pienezza di vita.

«Prenda la sua croce…» (Mt 16,24).

Strane e uniche queste parole. E anche queste, come le altre parole di Gesù, hanno qualcosa di quella luce che il mondo non conosce. Sono così luminose che gli occhi spenti degli uomini, e anche dei cristiani languidi, restano abbagliati e quindi accecati. […]

E forse tutto l’errore sta qui: che nel mondo non è capito l‘amore.

Amore è la parola più bella, ma la più deformata, la più deturpata. […]

Forse attraverso l’amore materno qualcosa s’intende, perché l’amore di una madre non è solo carezze, baci; è soprattutto sacrificio.

Così Gesù: l’amore l’ha spinto alla croce, che da molti è ritenuta pazzia. Ma solo quella follia ha salvato l’umanità, ha plasmato i santi.

I santi infatti sono uomini capaci di capire la croce. Uomini che, seguendo Gesù, l’Uomo-Dio, hanno raccolto la croce di ogni giorno come la cosa più preziosa della terra, l’hanno alle volte brandita come un’arma diventando soldati di Dio; l’hanno amata tutta la loro vita e hanno conosciuto ed esperimentato che la croce è la chiave, l’unica chiave che apre un tesoro, il tesoro. Apre piano piano le anime alla comunione con Dio. E così, attraverso l’uomo, Dio si riaffaccia sul mondo, e ripete – sia pur in modo infinitamente inferiore, ma simile – le azioni che fece un giorno Lui quando, uomo tra gli uomini, benediceva chi lo malediceva, perdonava chi lo insultava, salvava, guariva, predicava parole di Cielo, saziava affamati, fondava sull’amore una nuova società, mostrava la potenza di Colui che l’aveva mandato. Insomma la croce è quello strumento necessario per cui il divino penetra nell’umano e l’uomo partecipa con più pienezza alla vita di Dio, elevandosi dal regno di questo mondo al Regno dei Cieli.

Ma occorre «prendere la propria croce…» (Mt 16,24), svegliarsi al mattino in attesa di essa, sapendo che solo per suo mezzo arrivano a noi quei doni che il mondo non conosce, quella pace, quel gaudio, quella conoscenza di cose celesti, ignote ai più. […]

La croce, emblema del cristiano, che il mondo non vuole perché crede, fuggendola, di fuggire al dolore, e non sa che essa spalanca l’anima di chi l’ha capita sul regno della Luce e dell’Amore: quell’Amore che il mondo tanto cerca, ma non ha.

Chiara Lubich

Chiara Lubich, La dottrina Spirituale, Milano 2001, pag. 133

 

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