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Sono insegnante di biologia. Un giorno, entrando nella sala dei professori vengo a sapere che la settimana seguente ci  sarà  una riunione di insegnanti: tutti sono preoccupati per una classe in particolare. Le problematiche sono quelle di sempre: droga, alcool, abusi.

Poco dopo entro proprio in quella classe ed il panorama coincide perfettamente con quanto mi hanno detto. Pochi alunni, sparsi nell’aula, contro la parete di fondo. Alcuni stesi su due sedie, altri allungati sui banchi o appoggiati sulle braccia, come se dormissero. Saluto in un silenzio opprimente, nessuno risponde.  Provo una grande solitudine, il vuoto dei tavolini che mi separa da loro è simile al vuoto che sento dentro di me.

Mi vengono in mente i miei tanti anni di studio, le abilitazioni e gli sforzi. Noto con tristezza che non potranno aiutarmi in questo momento. Non mi lascio scoraggiare: non sarà la mia preparazione professionale a dare loro qualcosa, ma l’amore che potrò offrire. Li invito a sedersi più avanti, dato che siamo pochi, ma nessuno ha intenzione di abbandonare la sua posizione.

Vado allora alla cattedra e comincio a spingerla verso i banchi dei ragazzi. Il rumore  risveglia la curiosità di alcuni. Una ragazza mi chiede cosa intendo fare, le rispondo che siccome loro non si avvicinano, io vado verso di loro. Poi comincio a parlare della fatica di lavorare il venerdì pomeriggio. Anche io, come loro, sono stanca, ma, poiché abbiamo fatto lo sforzo di arrivare fino a scuola, conviene approfittarne e continuare il lavoro della lezione precedente.

Lentamente si mettono in moto. Ad un certo punto mi accorgo che tutti sono impegnati nel lavoro di biologia, anche quelli che non lo fanno mai. Alla fine dell’ora mi complimento con loro per lo sforzo fatto ed aggiungo che ne sono stata molto contenta.

Arriva il giorno della riunione dei professori. Ogni collega presenta il suo punto di vista. Non so cosa dire, perché mi accorgo che il mio intervento non coincide con quello degli altri. Ma dai commenti emerge che ai ragazzi piacciono le ore di biologia, perché la professoressa – dicono –mette la sua cattedra accanto ai banchi. Avendola vicina si sentono accompagnati e lavorano più sicuri e fiduciosi.

Alcuni colleghi commentano sottovoce che forse sarebbe una buona idea adottare anche loro questo metodo. Da allora, al mio arrivo in classe, spingo sempre la cattedra con l’aiuto di qualcuno. Adesso però non ho quasi più bisogno di farlo: i banchi davanti iniziano ad essere occupati.

(Bahia Blanca – Argentina)

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