20150524-01Nós nos preparamos para o casamento na certeza do nosso compromisso durante a vida inteira. Mas logo depois do nascimento da nossa filha ele começou a sair sozinho e eu, que me sentia cansada por causa do trabalho e dos cuidados maternos, além de estar apaixonada, no início não me dei conta de que existia algo errado.

Seguiram-se treze anos de enganos e litígios, alternados de falsos esclarecimentos os quais, inevitavelmente, terminavam em contínuas desilusões. Esgotada e no limite de um grave estresse (eu emagreci, chegando a pesar 36 kg), finalmente me rendi e concedi ao meu marido, outra vez, a sua liberdade.

Passados três anos reencontrei um colega de escola, ele também separado e com filhos. Inicialmente eu procurava resistir ao sentimento que tomava conta de mim porque, se por um lado, o fato de sentir-me amada me proporcionava uma grande felicidade, por outro, me colocava frente à questão da minha vida cristã. Eu vivi momentos muito difíceis. Mas depois as dúvidas dissiparam-se porque, eu dizia a mim mesma, é verdade que eu me casei convicta da fidelidade “todos os dias da minha vida”, mas se o amor não é mais correspondido, por que não poder continuar, com outra pessoa, na vocação à vida familiar que desde sempre me senti chamada?

Certos do nosso amor, nós decidimos unir as nossas duas vidas fragmentadas. Depois de cerca dois anos de convivência nasceu o nosso filho, ele foi batizado e procuramos educá-lo segundo o cristianismo.

Para o meu companheiro – uma pessoa muito correta e que não professa nenhum credo – não existe a questão da inserção na Igreja. Eu, ao contrário, continuei a participar da missa dominical e, mesmo sofrendo, me adéquo às disposições da Igreja abstendo-me dos sacramentos da Reconciliação e da Eucaristia. Eu poderia ir a uma igreja onde ninguém me conhece e receber estes sacramentos, mas, por obediência, eu nunca agi desta forma.

Passado certo tempo, porém, esta auto-exclusão começou a pesar muito e eu não participava mais da missa e da vida da comunidade. Eu sentia, de fato, um grande desconforto ao ver as pessoas se dirigirem ao altar e eu ter que permanecer no banco. Sentia-me abandonada, repudiada, culpada.

Depois de alguns anos, graças à proximidade do Focolare eu retomei o caminho da fé. “Deus a ama imensamente”, as pessoas me diziam. Junto a elas entendi que Jesus morreu e ressuscitou também por mim, que ele, no seu infinito amor já havia preenchido aquele abismo no qual eu me precipitara e que esperava somente que eu o seguisse pelo resto da minha vida.

Desta forma, eu descobri que, além da Eucaristia, existem outras fontes nas quais se pode encontrar Jesus. Ele está presente em cada próximo que eu encontro, ele me fala por meio do seu Evangelho e está presente na comunidade reunida no seu nome. Eu o encontro especialmente quando consigo transformar em amor o sofrimento que me causa não receber a Eucaristia.

Lembro-me de quando o nosso filho fez sua primeira comunhão e eu fui a única mãe que não acompanhou o próprio filho ao altar: um sofrimento difícil de ser descrito. Em compensação posso afirmar que foi exatamente quando a perdi que eu redescobri o grande dom que a Eucaristia é; exatamente como se compreende o valor da boa saúde quando a perdemos.

No dia em que chegar diante do Pai espero que, mais que aos meus fracassos, ele veja a minha pequena, mas cotidiana tentativa de amar o próximo como Jesus nos ensinou”.

10 Comments

  • Bellissima testimonianza, veramente toccante ed edificante. Da molta gioie e speranza sapere che papa Francesco insieme ai vescovi del Sinodo sulla famiglia stanno adoperandosi per “rimediare” a certe situazioni dolorose . Sara; una ulteriore dimostrazione della maternità della Chiesa , dispensatrice di amore e misericordia piuttosto che severa nutrice che si assicura che siano rispettate regole ! Preghiamo che sia cosi

  • Non riesco a capire qualcosa…il divorziato non può prender la comunione, il pedofilo, il ladro, l’assassino eccc. ecc. se la cava con qualche penitenza.Mi sembra che in questa etica sociale della Chiesa qualcosa mi sfugge!

    • Si chiama ‘peccato mortale’, cioè peccato grave (contro i 10 comandamenti) fatto con consapevolezza: chi in questo stato si comunica commette un sacrilegio e un ulteriore grave peccato. L’unica via è il pentimento e la confessione: cancellato il peccato mortale si torna in grazia di Dio. Per fare una confessione valida è fondamentale e NECESSARIO il pentimento. Chi è nella condizione di divorziato risposato ed è realmente pentito fa come dice Gesù (e S.Paolo): vive casto come fratello-sorella

      • Questo commento all’esperienza di Tiziana non fa una piega. Se si trattasse però di una situazione teorica. Ma qui siamo di fronte ad una persona concreta, che in un cammino faticoso e difficile ha fatto delle scelte, discutibili sotto il profilo etico, che ora vincolano la sua vita e quella di altre persone. Una di queste è il figlio, che ha il diritto di crescere accompagnato dai quei due genitori che l’hanno chiamato alla vita. Un diritto che per essi diventa un dovere etico.

      • Pentirsi non vuol dire trascurare i diritti altrui, né mancare ai propri doveri. Tiziana, secondo le indicazioni della Chiesa, non si comunica. E fa bene. Come ha ritenuto di far bene a continuare la convivenza con il nuovo partner per il bene del figlio minorenne. Vivere allora da fratello e sorella? Conosco coppie che per accostarsi alla comunione e sentirsi così in pace con Dio, lo fanno (o cercano di farlo). Ma l’esperienza di qualcuno non può essere l’esperienza di altri.

      • L’importante per noi è annunciare a tutti che Dio ci ama immensamente. Sarà Lui poi a manifestarsi loro, nei modi che Lui stesso riterrà. Sappiamo che tanti risposati si accostano alla comunione col beneplacito dei loro sacerdoti. Fra l’altro il concedere la comunione ai risposati è un’ipotesi avanzata anche da alcuni cardinali nella recente sede sinodale. Tiziana non lo fa: è il suo modo per vivere il “chi ascolta voi ascolta me”. Il giudizio non compete a noi, ma solo a Dio.

      • Grazie delle risposte. Non era mia intenzione giudicare Tiziana. Volevo solo chiarire una cosa: l’obiettivo del cristiano è dar gloria a Dio amandolo con ogni sforzo sopra ogni creatura, sopportando e soffrendo tutte le ‘croci’ per Lui, puntando quindi al massimo, alla santità, non al minimo del peccare poco quanto basta per salvarsi. Dunque un santo che per sfortuna (e colpa) si ritrovasse ad essere divorziato risposato, lascerebbe qualsiasi cosa per Gesù:….

      • ….lasciare dei piaceri carnali per Dio (nell’eucaristia) significa lasciare il nulla per il Tutto. La Chiesa mostra sempre la via della santità, senza false scorciatoie illusorie: questa via è il Calvario per chi ha un pensiero mondano e un paradiso anticipato per il cristiano che rinnega se stesso e ama Dio e il prossimo con tutta l’anima. La santità è per TUTTI, tutti siamo chiamati ad essa e per tutti è accessibile.

    • Quel qualcosa sfugge a molti di noi. Attendiamo il mese di Ottobre le decisioni del Sinodo.
      Nel frattemmpo teniamo bene in mente e nel cuore le parole di Papa Francesco ai giornalisti che gli chiedevano un parere sugli omosessuali: ” CHI SONO IO PER GIIDICARE?” Un mio parere da credente impegnato: la carità, l’amore è superiore a qualsiasi legge: sulla carirtà saremo giudicati. .. da Dio paziente e misericordioso.

Deixe um comentário

O seu endereço de email não será publicado. Campos obrigatórios marcados com *