Feb 9, 2013 | Focolare Worldwide, Focolari nel Mondo, Nuove Generazioni, Sociale, Spiritualità
“Sempre alla ricerca di qualcosa che mi rendesse veramente felice, provavo di tutto. Qui, ho capito che la felicità che bramavo nelle cose, non l’avrei mai trovata. Un’altra felicità, vera e profonda era tutta da scoprire.” Quando Daniele De Patre arriva al Pag-asa Social center, fa un’esperienza che gli cambia la vita profondamente. I volti di quella gente e la povertà di quegli ambienti, spesso visti in tv, diventano qualcosa di tangibile. A Tagaytay (60 Km circa da Manila) nelle Filippine, le case sono costituite da una sola stanza, col pavimento in terra battuta e senza acqua corrente. Le famiglie non hanno accesso ai servizi socio-sanitari e non hanno opportunità lavorative. In questa zona rurale e povera, molti bambini sono abbandonati a se stessi e spesso non hanno un’identità legale, per cui rimangono esclusi dai servizi sociali primari, quali l’educazione, la salute ed eventuali supporti economici. Restano in balia di lavori inumani e di attività criminose.
Il Centro, attraverso il sostegno a distanza di Azione per Famiglie Nuove, svolge numerose attività in campo sanitario educativo e della formazione professionale, con un accompagnamento per 400 minori. L’ambulatorio medico tratta pazienti con disabilità permanenti. È qui che, come fisioterapista volontario, Daniele comprende la necessità di un diverso approccio terapeutico, impostato su una continua interazione e un rapporto di scambio reciproco con i pazienti. Traducendo le letterine che i bambini sostenuti a distanza scrivono ai donatori, Daniele si sente coinvolto nel loro mondo. Percepisce le gioie, le difficoltà le speranze di quei ragazzini, che poi durante le visite nei barrios osserva e incontra di persona. La vita a Teramo, città di provenienza di Daniele, adesso è lontana, così come i suoi 26 anni, trascorsi tra lavoro e uscite con amici. “Vedere situazioni di povertà molto profonde e radicate – commenta – è stato difficile da accettare. Ma pian piano, ho anche scoperto una solidarietà ed una generosità tra le persone che mi ha fatto pensare che il vero paese ad essere in difficoltà era forse il mio, con l’indifferenza, l’isolamento e la chiusura d’animo…”. “Una volta – racconta – siamo giunti in un barrio così infangato che non era davvero possibile salire la collina con le infradito. Così io ed Heero abbiamo lasciato le ciabatte in fondo alla via. Di ritorno non c’erano più…, ma dopo due giorni le abbiamo ritrovate al Centro sociale”. “Non mi scorderò – continua – quel giorno in cui siamo andati a far visita ad un barrio, pioveva così tanto che ci eravamo praticamente persi, ma tre bambini ci hanno visto e raggiunto sotto la pioggia, e felicissimi ci hanno fatto da guida”. In quei mesi a Tagaytay Daniele ha trovato, in ogni atto di generosità, quello che cercava: “la vita è molto più di ciò che si può misurare”. Tutto ciò che nella sua vita agiata a Teramo era gratuito e scontato, qui andava sudato duramente: cibo, abiti, medicinali e qualsiasi altra cosa. “Voglio anch’io mettere un mattone – scrive – per la costruzione di un mondo in cui io e i miei fratelli possiamo mangiare allo stesso modo, avere entrambi la facoltà di studiare e istruirci, avere il modo di vestirci e di giocare senza elemosinare, avere un tetto ed un letto sul quale poggiare il capo la notte e sognare che, finalmente, un mondo più giusto non rimane soltanto un’utopia” . (altro…)
Feb 8, 2013 | Chiesa, Focolare Worldwide, Focolari nel Mondo, Spiritualità

Claudio, Antoanetta, Marinella, Giorgio
«Romania, 1996. Con Gheorghe, mio marito, e 3 figli, lasciamo il nostro Paese, come tanti altri connazionali, in cerca di lavoro e di un futuro migliore per i nostri figli. Siamo partiti alla cieca, senza neanche sapere dove avremmo dormito la notte arrivati a Torino. Una settimana ospiti da amici rumeni, poi una casa in affitto. Completamente vuota. Abbiamo dormito per una settimana per terra su un piumone, fortuna che era estate! La paura ci attanagliava. I nostri figli, che in Romania andavano bene a scuola, ora avrebbero potuto continuare a studiare? Avevamo fatto il passo giusto? Avremmo trovato lavoro? Dopo un po’ di tempo, l’alloggio dove abitiamo deve essere lasciato: il rischio per il padrone di casa di affittare a dei clandestini è troppo elevato. Altro momento difficile: dove andremo? 
Vallo dal Passo Croce
“Chiediamo a don Vincenzo”, dice una mia amica. È un sacerdote di una parrocchia fuori Torino: Vallo. La sua prima risposta è negativa, ma mentre ancora siamo lì a cercare una soluzione, squilla il telefono: è don Vincenzo che dice di aver trovato la soluzione abitativa giusta per noi. La gioia è incontenibile! E ancor più nei giorni successivi, quando questo sacerdote, senza attendere il nostro arrivo nella sua parrocchia, ci fa arrivare a casa i beni di prima necessità e questo si ripeterà settimanalmente. Finalmente lasciamo la casa di Torino e partiamo alla volta di Vallo. Sono passati 13 anni da allora, ma nella mia memoria resterà sempre impressa l’accoglienza di quei primi giorni. Eravamo una famiglia numerosa, all’epoca avevamo 3 figli, adesso 4, ma fin dai primi istanti ci siamo sentiti accolti e accettati amorevolmente, come se fossimo di famiglia. Quando siamo arrivati – con poche cose, 3-4 borse – una casa della parrocchia era già pronta per noi. C’era la cucina, con tutto il necessario, il salotto e le camere da letto con i letti già pronti. Vedere quella casa è stata una cosa meravigliosa. Inaspettatamente bella, i bambini, che erano piccoli, se ne sono subito innamorati e l’abbiamo sentita nostra. 
Don Vincenzo
Mi sentivo talmente a casa da chiedermi se fossi nata a Vallo o in Romania. Cosa avevo fatto per meritarmi tutto questo amore? Non deve essere stato facile per la comunità accogliere e, inizialmente, provvedere a tutti noi. Chi si interessava per i nostri permessi di soggiorno; chi ci portava la verdura dell’orto per farci risparmiare nella spesa o chi ci dava consigli; oppure chi ha accettato che i libri dei figli venissero pagati a rate. Ad un anno dalla nascita dell’ultima figlia, arriva finalmente per me la conferma di un lavoro fisso. Ma… a chi lasciare la bambina? Una persona ha dato la sua disponibilità ad occuparsene in mia assenza, senza chiedere nulla in cambio, e continua tutt’ora. Tutte queste cose, e molte altre che non ho detto, facevano nascere in me una domanda. Ma perché queste persone si comportano così? Con il tempo ho capito: avevano scoperto Dio Amore e a loro volta cercavano di rispondere al suo amore amando. Ho provato anche io. A questo Amore di Dio, che si è manifestato attraverso tanti della mia comunità, ora cerco di rispondere a mia volta, amando i fratelli che incontro ogni giorno». (altro…)
Feb 2, 2013 | Cultura, Focolare Worldwide, Focolari nel Mondo, Nuove Generazioni, Sociale, Spiritualità
Una giovane ventenne con un bellissimo sorriso, fresco e modesto, così si presenta Alejandra Giménez, studentessa del secondo anno di medicina ad Asunción, Paraguay, dove vive con i suoi genitori e un fratellino. Alejandra racconta con entusiasmo del suo impegno all’università, sia in campo scientifico, sia nelle associazioni studentesche. Impegni e attività che, naturalmente le portano via del tempo allo studio e per le quali deve sacrificare molte cose che le piacciono. Ma riesce a portare avanti tutti questi impegni e anche a studiare perché riserva sempre un tempo sufficiente per la sua formazione spirituale. È per questo che si raduna periodicamente con le altre giovani dei Focolari da cui si sente appoggiata. Ma lasciamola raccontare. “Sono stata ad un congresso di medicina dove si è parlato della morte celebrale e della donazione degli organi, da lì ho deciso di organizzare una campagna di sensibilizzazione su questo tema. Ho contattato la Società Scientifica degli Studenti di Medicina della mia Università: UNA (Universidad Nacional de Asunción) ed ho iniziato a farne parte come Direttrice del Dipartimento di Educazione Medica. Insieme a tre compagne di corso, Eliana Duarte, Aracy Do Nascimento e Lilian Carreras, abbiamo approfondito l’argomento con una ricerca scientifica sulla conoscenza e diffusione della donazione degli organi tra gli studenti di medicina che è stata, poi, selezionata per rappresentare la mia università ad un’importante giornata di studi a Curitiba in Brasile; e poi, nel settembre 2013, ad un congresso internazionale negli Emirati Arabi Uniti”.
Un’altra sua ricerca riguarda i “falsi risultati dell’alcoltest” sui conducenti d’auto. In questo studio si affrontano le “credenze” che circolano tra i giovani, ad esempio quella che indica che usare colluttorio per le gengive o sciroppo per la tosse rendono positivi al test e quindi alterare i risultati. Gli incidenti stradali sono la prima causa di morte per i giovani del Paraguay, quindi alcol, incidenti e donazione di organi sono temi tra loro strettamente correlati. Alejandra è stata successivamente eletta in altre associazioni scientifiche studentesche ed ha continuato ad organizzare attività di sensibilizzazione, tra cui una per la salute cardiovascolare, una sui tumori al seno ed un’altra sul diabete, inoltre ha in programma altre 24 proposte per questo nuovo anno.Per poter sostenere tutte queste iniziative Alejandra è diventata anche vicedirettrice del comitato de Auspicios del Congreso Científico Nacional de Estudiantes de Medicina, nel 2012, ed ora, è Direttrice del Comitato de Auspicios della prima Conferenza della formazione alla ricerca, per studenti di medicina.
“Certo – ammette -, sono molte le cose che faccio e probabilmente non potrò realizzarle tutte, ma preferisco propormi mete alte. Poi, se non riesco, altri compagni potranno raggiungerle”. Non si pente di aver scelto di spendere per gli altri la sua gioventù e il sorriso ne è la prova! Fonte: Ciudad Nueva Uruguay – Paraguay (Dicembre 2012) Traduzione nostra (altro…)
Feb 1, 2013 | Parola di Vita
«Noi sappiamo che siamo passati dalla morte alla vita, perché amiamo i fratelli» «Noi sappiamo…». L’apostolo fa riferimento ad una conoscenza che viene dall’esperienza. È come se dicesse: noi l’abbiamo provato, l’abbiamo toccato con mano. È l’esperienza che i cristiani da lui evangelizzati hanno fatto all’inizio della loro conversione; e cioè che, quando si mettono in pratica i comandamenti di Dio, in particolare il comandamento dell’amore verso i fratelli, si entra nella vita stessa di Dio. Ma i cristiani di oggi conoscono questa esperienza? Essi sanno certamente che i comandamenti del Signore hanno una finalità pratica. Continuamente Gesù insiste che non basta ascoltare, ma occorre mettere in pratica la Parola di Dio (cf Mt 5,19 – 7,21 – 7,26). Ciò che invece non è scontato per la maggior parte di essi – o perché non lo sanno, oppure perché ne hanno una conoscenza puramente teorica, cioè senza averne fatto l’esperienza – è quest’aspetto meraviglioso della vita cristiana messo in luce qui dall’apostolo e cioè che quando noi viviamo il comandamento dell’amore, Dio prende possesso di noi, e ne è un segno inconfondibile quella vita, quella pace, quella gioia che egli ci fa gustare fin da questa terra. Allora tutto si illumina, tutto diventa armonioso. Non c’è più distacco tra la fede e la vita. La fede diventa quella forza che compenetra e lega tra loro tutte le nostre azioni. «Noi sappiamo che siamo passati dalla morte alla vita, perché amiamo i fratelli» Questa Parola di vita ci dice che l’amore del prossimo è la strada regale che ci porta a Dio. Dato che tutti siamo figli suoi nulla sta più a cuore a lui quanto l’amore ai fratelli. Noi non gli possiamo dare una gioia più grande di quella che gli procuriamo quando amiamo i nostri fratelli. E l’amore fraterno perché ci procura l’unione con Dio è una sorgente inesauribile di luce interiore, è fonte di vita, di fecondità spirituale, di rinnovamento continuo. Impedisce il formarsi nel popolo cristiano delle cancrene, delle sclerosi, dei ristagnamenti; in una parola «ci fa passare dalla morte alla vita». Quando invece viene a mancare la carità, tutto avvizzisce e muore. E si comprendono allora certi sintomi così diffusi nel mondo in cui viviamo: la mancanza di entusiasmo, di ideali, la mediocrità, la noia, il desiderio di evasione, la perdita di valori, ecc. «Noi sappiamo che siamo passati dalla morte alla vita, perché amiamo i fratelli» I fratelli, di cui parla qui l’apostolo, sono soprattutto i membri delle comunità di cui facciamo parte. Se è vero che dobbiamo amare tutti gli uomini, è altrettanto vero che questo nostro amore deve cominciare da coloro che abitualmente vivono con noi, per estendersi poi a tutta l’umanità. Dobbiamo quindi pensare prima di tutto ai nostri familiari, ai nostri colleghi di lavoro, ai membri della parrocchia, dell’associazione o comunità religiosa a cui apparteniamo. L’amore ai fratelli non sarebbe autentico e bene ordinato se non partisse da qui. Dovunque veniamo a trovarci, siamo chiamati a costruire la famiglia dei figli di Dio. «Noi sappiamo che siamo passati dalla morte alla vita, perché amiamo i fratelli» Questa Parola di vita ci apre prospettive immense. Essa ci spinge nella divina avventura dell’amore cristiano dagli sbocchi imprevedibili. Innanzitutto ci ricorda che ad un mondo come il nostro, nel quale viene teorizzata la lotta, la legge del più forte, del più astuto, del più spregiudicato e dove a volte tutto sembra paralizzato dal materialismo e dall’egoismo, la risposta da dare è l’amore del prossimo. È questa la medicina che lo può risanare. Quando viviamo il comandamento dell’amore, infatti, non solo la nostra vita ne viene tonificata, ma tutto attorno a noi ne risente; è come un’ondata di calore divino, che si irradia e si propaga, penetrando i rapporti tra persona e persona, tra gruppo e gruppo e trasformando a poco a poco la società. Decidiamoci allora. Fratelli da amare in nome di Gesù ne abbiamo tutti, ne abbiamo sempre. Stiamo fedeli a questo amore. Aiutiamo molti altri ad esserlo. Conosceremo nella nostra anima cosa significa unione con Dio. La fede si ravviverà, i dubbi spariranno, non sapremo più cos’è la noia. La vita sarà piena, piena.
Chiara Lubich
Pubblicata in Città Nuova, 1985/8, p.10.