Giu 6, 2013 | Cultura, Focolare Worldwide, Focolari nel Mondo, Spiritualità
«Insegno lingua italiana nella periferia nord di Parigi, una zona sfavorita dal punto di vista socio-economico, con una popolazione scolastica multiculturale. Alto è il traffico di droga. Normalmente qui arrivano insegnanti all’inizio della carriera, poi, acquisito punteggio, chiedono il trasferimento in scuole meno impegnative. Avrei potuto fare così, ma ho deciso di restare – sono qui da dodici anni – per dare ai ragazzi la stessa qualità di insegnamento delle migliori scuole di Parigi. All’inizio è stata dura. Sono stata insultata dagli studenti e, una volta mi hanno demolito l’auto a calci. Non sapendo come comportarmi, mi mettevo sulla difensiva…Poi pian piano ho imparato ad accogliere i miei alunni, anche attraverso il dialogo con le famiglie, nella certezza che la scuola è anche il luogo per vivere esperienze positive che aiutino la formazione umana. Molti colleghi arrivano impreparati in questa realtà: alcuni crollano psicologicamente, altri mandano continuamente gli studenti davanti al consiglio di disciplina. Cerco di sostenerli. Importante è aiutare i ragazzi a superare l’aggressività e a ritrovare una certa serenità in classe. Ci vuole tempo per comunicare in modo adeguato, far sentire loro che li rispetto e nello stesso tempo, porre dei limiti, ponendo sempre un’attenzione particolare a chi, attraverso un comportamento indisciplinato, manifesta difficoltà. Penso a S. che ha cinque fratelli dei quali uno portatore di handicap. Poiché la mamma lavora tutto il giorno se ne deve occupare lui. A scuola è demotivato. Sa che gli sono vicina perché riesca a superare il suo dolore, incoraggiandolo a dare il meglio di sé Valorizzare la partecipazione di tutti è una delle mie finalità. All’inizio dell’anno pongo delle regole. Per es.: nessuno ha il diritto di prendere in giro gli altri. Gradualmente si instaura un’atmosfera di rispetto, in cui ciascuno è libero di esprimersi. Costruire una buona lezione dipende da me, ma anche da loro se si impegnano a partecipare attivamente. Dal punto di vista didattico fondamentali sono i progetti culturali interdisciplinari che si concludono ogni anno con una gita scolastica finanziata, oltre che dagli enti preposti (Comune, Conseil général, banche), da piccole attività di autofinanziamento. Per i ragazzi uscire dal loro ambiente che li condiziona, li giudica e li emargina è un’esperienza bella, di fraternità; diventano quasi altre persone ed emerge il loro potenziale positivo. Y. ad esempio in classe è passivo, amorfo. Parlando con lui ho scoperto che gli insegnanti e il padre gli hanno detto per anni che era un buono a nulla e lui ha finito per crederci. In classe detesta la storia ma in Sicilia si è dimostrato sensibile alla bellezza artistica: è stato affascinato dal teatro greco di Taormina e dall’acquedotto romano di Siracusa. Non so se quello che faccio avrà un risultato positivo. Ho imparato a non aspettarmi subito i risultati. Anche quando un ragazzo non cambia, l’importante è continuare a credere in lui, non fermandomi su quello che non va, ma cogliere tutto il positivo che c’è in lui valorizzandolo e gratificandolo. Con molti colleghi poi, ho un buon rapporto. È importante ascoltare, parlare, condividere esperienze. Così per l’orientamento. Ad un alunno che voleva diventare cuoco ho detto: “ Hai la fortuna di avere le idee chiare. È raro. Sii ambizioso, punta ad avere un’ottima formazione”. È stato accettato in una delle migliori scuole di cucina di Parigi. Dandomi la notizia ha aggiunto: “Creerò delle ricette e una sarà un tiramisù dedicato a te”». (Maria Amata – Francia) (altro…)
Giu 2, 2013 | Cultura, Focolare Worldwide, Focolari nel Mondo, Spiritualità
Sono cresciuto in Italia. Non frequentavo la chiesa: la religione mi sembrava lontana dalla vita di tutti i giorni. Gli studi, la carriera, gli amici, il divertimento erano le mie priorità. Eppure, vedevo poche persone veramente realizzate. Più spesso incontravo gente delusa, triste e mi chiedevo come si potesse essere davvero felici nella vita. Nel 1999, all’età di 21 anni, mentre frequentavo la facoltà di Lettere ho conosciuto un compagno di studi che apparteneva ai Focolari. Sono stato toccato dal modo in cui lui e i suoi amici mi trattavano: mi sono sentito accettato così come ero. Mi ha anche colpito il fatto che, per loro, il cristianesimo non era una teoria. Condividevano il modo in cui cercavano di vivere le parole del Vangelo nel quotidiano e come sperimentavano l’amore di Dio. Era questo che li rendeva felici. Una frase mi colpì: “Ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me” (Mt 25,40). Anch’io potevo amare Dio presente in ogni prossimo! In famiglia ho cercato di ascoltare di più, di essere più paziente, in particolare con mio padre con cui spesso avevo avuto degli scontri. Passavo più tempo con mia madre, spesso sola in casa, aiutandola nei lavori domestici. Tutti hanno notato il mio cambiamento. Il nostro rapporto è cambiato ed è cresciuta la fiducia: mia madre mi chiedeva consigli, si confidava con me, anche se io sono il più giovane della famiglia. Una notte, sono rimasto con la mia sorella maggiore a parlare a lungo; abbiamo ricordato episodi del passato che non avevamo mai risolto. Per la prima volta ci siamo perdonati a vicenda dal profondo del nostro cuore e ci siamo abbracciati, sperimentando una grande gioia. Il mondo intorno a me ha iniziato a cambiare, perché io stavo cambiando. Ho, poi, sentito la chiamata a donare la mia vita interamente a Dio. Al lavoro le occasioni per vivere le parole del Vangelo erano molte. Una volta, nella scuola dove insegnavo, una studentessa straniera aveva preso dei voti molto bassi. Parlando con i miei colleghi capivamo che forse non era il corso più adatto per lei e gliene abbiamo consigliato un altro più consono alle sue capacità. Ma suo padre ha giudicato il nostro agire come un gesto discriminatorio e, infuriato, se l’è presa con me con l’atteggiamento di aggredirmi anche fisicamente. Io ero sereno, ormai sapevo che l’amore vince tutto. L’ho ascoltato fino in fondo, gli ho spiegato nel migliore dei modi il nostro pensiero, finché ha capito che ci muoveva solo il bene per la sua figlia. A quel punto ha detto: “Sono un immigrato, tu sei uno dei pochi che mi ha trattato con rispetto”. Abbiamo concluso il discorso prendendo un caffè insieme, anche con la figlia. Qualche mese fa mi sono trasferito nel focolare di Tokyo ed ho cominciato a studiare la lingua giapponese. Cerco di amare il Giappone come il mio Paese, di scoprirne la cultura, la storia e i costumi. Naturalmente, ho sempre la mia “identità” d’italiano, ma che si arricchisce ogni giorno nel rapporto con questo popolo. Ad esempio, qui le persone si esprimono soprattutto col silenzio o con gesti concreti. È, perciò, una sfida sempre nuova, cercare di costruire dei rapporti di fraternità più attraverso le azioni che con le parole. Fonte: New City Philippines, Aprile/Maggio 2013. (altro…)
Giu 1, 2013 | Cultura, Focolare Worldwide, Focolari nel Mondo, Sociale
A Colinas de Guacamaya, quartiere degradato di Valencia, importante città industriale del Venezuela, tanti genitori non hanno dove lasciare i loro bambini durante il lavoro, come succede da tante altre parti. Già da diversi anni Ofelia, una volontaria del Movimento dei Focolari, ha fondato un asilo, Arcoiris, costruendone la sede nel giardino della sua casa. Qui i bambini vengono seguiti con grande attenzione e vengono loro insegnate le nozioni fondamentali per poter frequentare con profitto le elementari. I bambini che frequentano l’asilo sono attualmente 40 dai quattro anni fino… ai quattordici. Infatti, poichè ci sono tanti bambini che non frequentano la scuola regolare per diversi motivi indipendenti dalla loro volontà, si è deciso di offrire loro la possibilità di continuare in qualche modo l’istruzione nelle strutture dell’asilo. Qualche tempo fa c’è stata una sparatoria tra la polizia e la malavita organizzata che controlla il quartiere. Non era la prima volta, tanto che già erano morte 6 persone. Ma in questo caso è accaduto proprio vicino all’asilo. Ofelia racconta: “Per evitare che i bambini si spaventassero li abbiamo fatti cantare. Poi, quando le mamme disperate sono arrivate per riprendere i loro figli, ho parlato con ognuna, cercando di calmarle, spiegando che dovevamo controllarsi per il bene dei figli. Le ho invitate, poi, a pregare insieme perché la violenza cessi”.
“Il giorno dopo — continua Ofelia — con i bambini abbiamo lanciato il ‘dado dell’amore’. Quando è uscito ‘amare tutti’ , alle loro domande: ‘Ma anche i banditi?’; e poi, ‘Ma anche i poliziotti?’; noi maestre abbiamo risposto: ‘Si! E sapete come facciamo? Possiamo pregare per loro!’. Abbiamo, allora, invitato i bambini a formulare delle preghiere spontanee che sono state bellissime nella loro innocenza. Una bambina di quattro anni ha chiesto che non ci siano più pistole nel mondo, e un altro bimbo che Dio lo aiuti ad amare di più e che cambi il cuore dei banditi”. Un altro fronte che l’asilo Arcoiris porta avanti è il rapporto con i genitori. È un aspetto molto importante, perché i bambini rimangono all’asilo solo alcuni anni e quindi l’esperienza che vi fanno, anche bella e ricca di valori, è temporanea; mentre con i loro genitori rimarranno il tempo necessario alla loro formazione come persone. Il tema affrontato quest’anno è stato: “Come comunicare con i nostri bambini”. Le varie attività previste dal workshop sono state svolte dalle stesse maestre, le quali avevano accettato generosamente di dedicare un’intera domenica ai genitori, coscienti di fare un vero e proprio investimento per il futuro dei loro piccoli alunni. Asilo Arcoiris, un piccolo seme di speranza nella violenta periferia venezuelana. (altro…)
Mag 31, 2013 | Parola di Vita
«Se, facendo il bene, sopporterete con pazienza la sofferenza, ciò sarà grazia davanti a Dio» A queste persone l’apostolo raccomanda di non cedere alla reazione istintiva, che potrebbe sorgere in queste situazioni, ma di imitare il comportamento tenuto da Gesù. Li esorta anzi a rispondere con l’amore, vedendo anche in queste difficoltà ed incomprensioni una grazia, cioè una occasione permessa da Dio per dare prova del vero spirito cristiano. In questo modo, oltre tutto, potranno portare a Cristo con l’amore anche l’altro che non li comprende. «Se, facendo il bene, sopporterete con pazienza la sofferenza, ciò sarà grazia davanti a Dio» Certuni, partendo da queste parole o da altre simili, vorrebbero accusare il cristianesimo di favorire una eccessiva remissività, la quale addormenterebbe le coscienze, rendendole meno attive nella lotta contro le ingiustizie. Ma non è così. Se Gesù ci chiede di amare anche chi non ci capisce e ci maltratta, non è già perché voglia renderci insensibili alle ingiustizie, anzi! E’ perché vuole insegnarci come costruire una società veramente giusta. Lo si può fare diffondendo lo spirito del vero amore, cominciando noi ad amare per primi. «Se, facendo il bene, sopporterete con pazienza la sofferenza, ciò sarà grazia davanti a Dio» Come vivere, allora, la Parola di vita di questo mese? I modi, con cui pure noi oggi possiamo essere incompresi e maltrattati, sono tanti. Essi vanno dalle indelicatezze e sgarbi ai giudizi malevoli, alle ingratitudini, alle offese, alle vere e proprie ingiustizie. Ebbene: anche in tutte queste occasioni noi dobbiamo testimoniare l’amore, che Gesù ha portato sulla terra verso tutti e, quindi, anche verso chi ci tratta male. La Parola di questo mese vuole che, pur nella difesa legittima della giustizia e della verità, non ci dimentichiamo mai che il primo nostro dovere, come cristiani, è di amare l’altro, cioè di avere verso di lui quell’atteggiamento nuovo, fatto di comprensione, di accoglienza e di misericordia che Gesù ha avuto verso di noi. In tal modo anche nel difendere le nostre ragioni, non spezzeremo mai il rapporto, non cederemo mai alla tentazione del risentimento o della vendetta. E, così facendo, quali strumenti dell’amore di Gesù, saremo in grado anche noi di portare a Dio il nostro prossimo.
Chiara Lubich