Giu 20, 2020 | Testimonianze di Vita
“Gesù è stato la manifestazione dell’amore pienamente accogliente del Padre celeste verso ciascuno di noi – scriveva Chiara Lubich – e dell’amore che, di conseguenza, noi dovremmo avere gli uni verso gli altri. (…) L’accoglienza dell’altro, del diverso da noi, sta alla base dell’amore cristiano. È il punto di partenza, il primo gradino per la costruzione di quella civiltà dell’amore, di quella cultura di comunione, alla quale Gesù ci chiama soprattutto oggi”[1]. Lavoro di ricerca Stavo lavorando ad una ricerca per la quale c’era una scadenza, quando ha bussato la vicina: mi chiedeva di far compagnia al marito, molto malato, mentre lei andava a fare la spesa. Conoscevo la situazione e non ho potuto dirle di no. Lui ha cominciato a parlarmi del suo passato, degli anni di insegnamento… Mentre ascoltavo, veniva di tanto in tanto a distrarmi il pensiero del lavoro interrotto. Finché mi sono ricordato del consiglio di un amico: riuscire ad ascoltare un prossimo per amore è un’arte che esige il vuoto di sé. Ho provato a fare questo esercizio essendo interamente presente all’altro. A un certo punto il malato si è interessato a sua volta a me, chiedendomi del mio lavoro. Saputo di cosa mi stavo occupando, mi ha suggerito di cercare nella libreria un suo quaderno di appunti presi a una conferenza proprio sul tema che stavo trattando. L’ho trovato e abbiamo cominciato a discutere sull’argomento. In breve, ho acquisito nuovi elementi per vedere più chiaramente come concludere la mia ricerca. E pensare che avevo temuto di perdere tempo! (Z. I. – Francia) Prepararsi a… vivere Quando il medico mi annunciò che ormai non c’era più niente da fare, fu come se si chiudesse ogni fonte di luce e restassi al buio. Tornando verso casa, presi la strada della chiesa. Lì sostai in silenzio, mentre i pensieri mi turbinavano nella testa. Poi, come una voce, si formò nella mente un pensiero: “Non devi prepararti alla morte, ma alla vita!”. Da quel momento provai a fare ogni cosa bene, ad essere gentile con tutti, senza farmi distrarre dal mio dolore ma pronto ad accogliere gli altri. Iniziarono giorni pieni. Non so quanto tempo mi resta, ma l’annuncio della morte è stato come svegliarmi da un sonno. E sto vivendo con insperata serenità. (J. P. – Slovacchia) Trasfusione diretta Sono infermiera. Per caso vengo a sapere di una ricoverata in condizioni disperate. Per tentare di salvarla occorre sangue di un gruppo che da vari giorni sembra introvabile. Mi metto all’opera fra le varie amicizie e conoscenze per poi continuare la ricerca nell’ambiente di lavoro. Niente da fare. Sto per cedere le armi. Nasce allora una richiesta a Gesù. “Tu lo sai che ho cercato di fare la mia parte, ma se vuoi, tu puoi tutto”. Finito l’orario di servizio del mio reparto, il medico che coadiuvo è appena andato via quando si presenta una giovane donna per farsi visitare. Non posso lasciarla andar via, chissà da dove viene. Mi precipito a chiamare il sanitario, che a differenza di altre volte trovo disposto a ritornare in ambulatorio. Comincio a intestare la ricetta e, chiesto un documento di riconoscimento, mi vedo porgere dalla signora un tesserino dell’Associazione dei volontari donatori di sangue. Col fiato sospeso, ho in mente una domanda: e se avesse quel gruppo sanguigno? Se fosse disponibile? È proprio così e, poche ore dopo, la donna è al capezzale della malata per la trasfusione diretta. (A. – Italia)
a cura di Stefania Tanesini
(tratto da Il Vangelo del Giorno, Città Nuova, anno VI, n.3, maggio-giugno 2020) [1] Cf. C. Lubich, Parola di Vita dicembre 1992, in eadem, Parole di Vita, a cura di Fabio Ciardi (Opere di Chiara Lubich 5; Città Nuova, Roma 2017) pp. 513-514. (altro…)
Mag 20, 2020 | Testimonianze di Vita
La Parola vissuta ci fa uscire da noi stessi per incontrare con amore i fratelli, cominciando da quelli più vicini: nelle nostre città, in famiglia, in ogni ambiente di vita. È un’amicizia che si fa rete di rapporti positivi, puntando alla realizzazione del comandamento dell’amore reciproco, che costruisce la fraternità. Cercare le parole giuste I miei bambini di sette e cinque anni giocavano incuranti di ogni pericolo. Non feci in tempo a raggiungerli, dopo l’esplosione della granata, che giacevano tutti e due sanguinanti. Li raccogliemmo e via all’impazzata, verso l’ospedale. Dentro di me un accavallarsi di sentimenti: sgomento, paura, dolore… ma dovevo occuparmi dei bambini e trasmettere loro pace. Lui aveva delle schegge nel capo e fu operato d’urgenza, lei era meno grave. Di notte, vegliavo al loro capezzale. Ogni tanto si lamentavano, assaliti da incubi: “Perché ci hanno fatto questo?”. Cercavo le parole giuste per far capire che chi aveva sparato era certamente qualcuno che aveva molto sofferto, forse non aveva i genitori, forse voleva soltanto distruggere i cannoni che stavano dalla nostra parte… Quando i bambini si assopirono cominciai a pregare, ad affidarli a Dio e chiedere che non rimanesse in loro odio. Oggi, dopo decenni, a proposito di quell’episodio doloroso, mio figlio lo considera un incentivo a dare il suo contributo per la pace nel mondo. (R. S. – Libano) Cambio di appartamento Quando alla proprietaria dell’appartamento in cui eravamo alloggiati abbiamo chiesto il permesso di fare, a spese nostre, delle ristrutturazioni, lei non ci ha detto che aveva intenzione di venderlo: ovvio che dopo aver effettuato quei lavori, saputa la sua decisione, siamo rimasti male e ci siamo sentiti traditi. Per di più il nuovo proprietario ha avanzato richieste altissime qualora avessimo voluto rimanere. Così, da un giorno all’altro, ci siamo trovati per strada. Ci siamo però fidati della provvidenza, certi che Dio non ci avrebbe abbandonati. Infatti, non molto tempo dopo, si è presentata una possibilità che rispondeva ancora meglio alle esigenze della nostra famiglia. Ma la cosa più importante è stato mantenere con l’ex padrona di casa rapporti cordiali e non di rivalsa. Anche se lei non lo ha dichiarato espressamente, ci ha fatto avvertire il suo pentimento. L’amicizia ritrovata ha coperto ogni incrinatura. (E.V. – Turchia) Disordine Sono iscritto alla Facoltà di Psicologia e alloggio con altri colleghi in uno studentato dove possiamo usufruire di una cucina comune quando non ci rechiamo a mensa. Uno di noi, oltre ad essere disordinato per quel che lo riguarda, è solito lasciarla sporca dopo l’uso. Stamattina ero passato appunto in cucina per prepararmi un caffè ed ho trovato tutto sottosopra perché lui aveva ricevuto ospiti e lasciato le cose come stavano. Non sono stato l’unico a notare quel caos; qualcuno, indignato, ha suggerito di non toccare nulla, finché il colpevole non se ne sarebbe reso conto. Poco dopo però, nella mia camera, accingendomi a studiare, non ero in pace; il pensiero tornava sempre a quel disordine in cucina… Che fare? Dare una lezione all’altro o fargli un gesto di carità? Senza indugiare, sono tornato in cucina, mi sono messo a lavare bicchieri e piatti, ho portato fuori l’immondizia… In camera poi mi è sembrato di comprendere meglio quello che leggevo. La vita con gli altri è una forma di educazione che completa le lezioni che ascolto all’università. (G. T. – Francia)
a cura di Stefania Tanesini
(tratto da Il Vangelo del Giorno, Città Nuova, anno VI, n.3, aprile-maggio 2020) (altro…)
Apr 20, 2020 | Chiara Lubich
Il seguente scritto di Chiara Lubich tocca un argomento che anche l’attuale pandemia ha messo tanto in evidenza: quello del dolore. Ci aiuta a cogliere in esso una misteriosa presenza di Dio al cui amore nulla sfugge. Questo sguardo genuinamente cristiano infonde speranza e ci sprona a fare nostro ogni dolore, quello che ci tocca direttamente come pure il dolore di quanti ci circondano. (…) La sofferenza! Quella che investe totalmente a volte le nostre persone o quella che ci sfiora e mescola l’amaro con il dolce nelle nostre giornate. La sofferenza: una malattia, una disgrazia, una prova, una circostanza dolorosa… La sofferenza! Come vedere questo fatto, (…) che è sempre pronto ad apparire in ogni esistenza? Come definirlo, come identificarlo? Che nome dargli? Di chi è la voce? Se guardiamo con occhio umano la sofferenza, siamo tentati di cercarne la causa o in noi, o fuori di noi, nella cattiveria umana ad esempio, o nella natura, o in altro (…) E tutto ciò può essere anche vero, ma, se pensiamo solo in tal modo, dimentichiamo il più. Ci scordiamo che dietro la trama della nostra vita sta Dio con il suo amore, che tutto vuole o permette per un motivo superiore, che è il nostro bene. Per questo i santi prendono ogni avvenimento doloroso, che li colpisce, direttamente dalla mano di Dio. È impressionante come non si sbaglino mai in ciò. Per loro il dolore è voce di Dio e null’altro. Essi, immersi come sono nella Scrittura, comprendono cos’è e cosa deve essere per il cristiano la sofferenza; colgono la trasformazione che Gesù vi ha operato, vedono come egli l’ha tramutata da elemento negativo in elemento positivo. Gesù stesso è la spiegazione del loro patire: Gesù crocifisso. Per questo è persino amabile, è addirittura cosa buona. Per questo non lo maledicono, ma lo sopportano, lo accettano, lo abbracciano. Apriamo del resto anche noi il Nuovo Testamento e ne avremo la conferma. Non dice san Giacomo nella sua lettera: «Considerate perfetta letizia, miei fratelli, quando subite ogni sorta di prove»[1]? Il patire dunque è addirittura motivo di gioia. Gesù, dopo averci invitati a prendere la nostra croce per seguirlo, non afferma forse: Perché «chi avrà perduto la sua vita» (e questo è il colmo del patire) «la troverà»[2]? Il dolore è quindi speranza di salvezza. Per Paolo poi il patire è addirittura un vanto, anzi l’unico vanto: «Quanto a me invece non ci sia altro vanto che nella croce del Signore nostro Gesù Cristo»[3]. Sì, il patire, per chi lo considera nell’ottica cristiana, è una grande cosa; è addirittura la possibilità di completare in noi la passione di Cristo per la nostra purificazione e per la redenzione di molti. Che dire, allora, oggi, ai nostri che si dibattono nella sofferenza? Che augurio far loro? Come comportarci nei loro riguardi? Avviciniamoli anzitutto con sommo rispetto: anche se ancora forse non lo pensano, essi sono in questo momento visitati da Dio. (…) Assicuriamoli anche del nostro continuo ricordo e della nostra preghiera, perché sappiano prendere direttamente dalle mani di Dio quanto li angustia e li fa soffrire e lo possano unire alla passione di Gesù, onde sia potenziato al massimo. Aiutiamoli poi ad avere sempre presente il valore della sofferenza. E ricordiamo loro quel meraviglioso principio cristiano della nostra spiritualità, per il quale un dolore amato come volto di Gesù crocifisso e abbandonato si può tramutare in gioia.
Chiara Lubich
(in una conferenza telefonica, Rocca di Papa, 25 dicembre 1986) Tratto da: “Natale con chi soffre”, in: Chiara Lubich, Conversazioni in collegamento telefonico, pag. 265. Città Nuova Ed., Roma 2019. [1] Gc 1, 2. [2] Mt 10, 39. [3] Gal 6, 14. (altro…)