Movimento dei Focolari
Emirati Arabi: quando il lavoro diventa sviluppo umano

Emirati Arabi: quando il lavoro diventa sviluppo umano

Nell’anno speciale rivolto all’approfondimento dei principi dell’enciclica Laudato si’, incontriamo Abdullah Al Atrash, giovane imprenditore italo-siriano negli Emirati Arabi Uniti. Come non credente, aderisce all’Economia di Comunione dei focolari. Nell’azienda che dirige, dà lavoro a migranti perlopiù asiatici e africani, garantendo un salario e misure di sostegno sociale, oltre che la massima sicurezza per i dipendenti e l’ambiente, anche in questo momento di pandemia. Sono pakistani, indiani, nepalesi, filippini e ancora nigeriani, camerunensi, senegalesi. In comune hanno un passato di grande povertà, che li ha costretti a lasciare patria e famiglia e ad emigrare, e un presente che cerca di allontanarli da sfruttamento e nuovi disagi. Si tratta di molti dei 212 dipendenti della Mas Paints, fabbrica di vernici per legno e pareti nata nel 1989 in Italia e dal 2000 presente a Dubai, negli Emirati Arabi Uniti, Paese in cui – a fronte di circa 10 milioni di abitanti – 9 persone su 10 sono di origine straniera. A raccontare a Vatican News di questi “colleghi e amici della ditta” è Abdullah Al Atrash, il direttore generale dell’azienda, fondata da suo padre e suo zio. Nel sentir parlare questo giovane imprenditore italo-siriano, 42 anni, una laurea in economia e commercio all’Università di Ancona e un master all’Istituto Adriano Olivetti del capoluogo marchigiano, torna alla mente la riflessione sul lavoro contenuta nell’enciclica Laudato si’ di Papa Francesco, che porta il Pontefice a evidenziare come esso sia “una necessità”, una “parte del senso della vita su questa terra, via di maturazione, di sviluppo umano e di realizzazione personale”. L’altro da sé “Qualsiasi forma di lavoro – mette ancora in luce il Papa – presuppone un’idea sulla relazione che l’essere umano può o deve stabilire con l’altro da sé”. Arrivando nel 2005 a Dubai, Abdullah ha osservato, studiato e in un certo senso fatto proprio il mondo dei lavoratori migranti. “Per me è stato un trauma vedere come vivano queste persone. Tutti coloro che dai Paesi poveri vanno a lavorare in altri Stati, qualsiasi essi siano, devono poi mandare a casa molto denaro per sostenere un numero davvero alto di parenti, perché hanno tutti un sistema allargato di famiglia, nel senso che aiutano anche genitori, fratelli, cugini. Ho fatto allora un calcolo secondo cui – spiega – in media ognuno di loro deve mantenere 10 persone e questo non solo per esempio dal punto di vista dei soldi che servono per fare la spesa, ma del denaro che fa realmente la differenza tra la vita e la morte, perché in tanti di quei Paesi non vi è uno Stato sociale, per diversi motivi: grande povertà, guerra, instabilità politiche, tensioni etniche o religiose. Questa gente in genere lavora tantissime ore, con impieghi faticosi, con paghe veramente basse. Ho visto casi di persone che lavorano nell’edilizia e guadagnano una cifra che arriva a 130-150 euro al mese, privandosi di tutto pur di mandare soldi a casa”. Una cultura della reciprocità Il Pontefice nella Lettera enciclica del 2015 puntualizza come “aiutare i poveri con il denaro” possa essere un “rimedio provvisorio per fare fronte a delle emergenze”: il “vero obiettivo” – chiarisce – dovrebbe sempre essere di consentire loro “una vita degna mediante il lavoro”. Ateo, sposato con una donna cattolica e padre di due figli, Abdullah condivide con la moglie Manuela l’esperienza del Movimento dei Focolari e le iniziative dell’Economia di Comunione, avviate nel 1991 da Chiara Lubich per promuovere una cultura economica improntata alla reciprocità, proponendo e vivendo uno stile di vita alternativo a quello dominante nel sistema capitalistico. Un percorso di vita, quello dell’imprenditore italo-siriano, che lo ha portato a “tener presenti i costi della vita e il mondo in cui vivono” questi migranti, adottando misure concrete per i lavoratori della sua azienda. Non è stato facile, confessa, ma “ho moltiplicato per 5 uno stipendio base, perché potessero avere una vita assolutamente dignitosa. E ho deciso di pagare loro, non solo al dipendente ma a tutta la famiglia ‘allargata’, le spese mediche di qualsiasi genere e quelle per l’educazione dei figli – perché senza educazione difficilmente troverebbero lavoro – sostenendoli nei loro studi fino all’università”. Un bene comune Il valore predominante sembra essere, dunque, quel capitale sociale che è l’insieme di relazioni di fiducia, di affidabilità, di rispetto delle regole indispensabili ad ogni convivenza civile, come sottolinea Francesco nell’enciclica, citando la Caritas in veritate di Benedetto XVI. Abdullah racconta di aver “creato un fondo, che viene preso dagli utili”, per andare ulteriormente in aiuto dei lavoratori. “L’utile aziendale – ci tiene a sottolineare – deve secondo me essere impiegato sia per investire nell’azienda affinché possa crescere, sia ovviamente per le necessità dei titolari, ma deve anche andare in egual misura ai dipendenti dell’azienda. Di fatto è un bene comune: un’azienda è di tutti, perché vi lavorano tutti e deve servire tutti”. “Ad un certo punto – prosegue – mi sono accorto che tra i dipendenti, oltre a queste necessità, c’era anche il problema della casa in patria. L’ho capito parlando con le persone, ho voluto instaurare con loro un rapporto umano e non solo lavorativo, parlando di me e di loro, delle nostre vite. Questa è comunità. E ciò mi ha fatto capire che, per costruirsi una casa nei Paesi d’origine, loro avevano due modi: cercare di prendere soldi dalle banche, ma le banche non prestano soldi ai poveri, o – e per me è stato doloroso saperlo – rivolgersi agli usurai, perché l’usura è molto diffusa in quei Paesi, facendo poi sacrifici enormi per restituire i soldi e impiegando anni. Quindi ho cercato di capire da quante persone fosse composta la famiglia, dove queste persone volessero costruire la casa e, calcolando la somma necessaria, abbiamo provveduto ad un prestito, da restituire liberamente nel tempo e secondo le possibilità. La somma prestata è a tasso zero, anche se il tasso zero in effetti non esiste perché c’è sempre l’inflazione, soprattutto in certi Paesi”. Una produzione che rispetti l’ambiente Nel corso dell’anno speciale indetto da Papa Francesco fino al 24 maggio 2021 per riflettere sull’enciclica Laudato si’, ad Abdullah chiediamo come la propria azienda riesca a rispondere alla sfida urgente di proteggere la “casa comune”. “Produciamo alcune vernici che sono assolutamente non tossiche, quindi non nocive e non inquinanti. Ci sono poi altre gamme di prodotti che invece necessariamente lo sono, pensiamo per esempio ai solventi, molto utilizzati anche nel campo farmaceutico. La cosa importante è che non vadano a danneggiare l’ambiente, perché l’ambiente siamo noi: il Papa lo ricorda continuamente. Io, da ateo, capisco che l’ambiente è tutto ciò che vive”. “Quindi in azienda – va avanti – puntiamo alla protezione dei lavoratori, in modo che la loro salute sia tutelata al 100%, investendo moltissimo in sicurezza, in maschere, impianti d’areazione e macchinari che non fanno fuoriuscire sostanze come i solventi. Per quanto riguarda i rifiuti, abbiamo puntato tanto su macchinari che separano i rifiuti solidi, liquidi e gassosi. Successivamente società pubbliche, del governo, vengono a prenderli e li trasferiscono in luoghi appositi e adatti allo smaltimento, per evitare che vadano ad inquinare l’ambiente. Perché sotto di noi c’è il mare: quando scaviamo un po’ sotto la fabbrica troviamo il mare!”. La pandemia Nell’emergenza mondiale da coronavirus, le preoccupazioni per le condizioni dei lavoratori sono cresciute. “L’ondata che è arrivata qui – ricorda Abdullah – è stata fortissima, ha colpito l’Iran, il Kuwait, l’Arabia Saudita, tutti i Paesi intorno a noi. Il periodo più duro, con la chiusura totale, è stato tra marzo e aprile. Quando si sono avute le prime notizie del virus, abbiamo predisposto delle misure, come l’adozione di barriere di vetro per i dipendenti, in uno spazio simile ad uno sportello bancario, l’uso di mascherine chirurgiche, la misurazione della temperatura corporea, il rispetto della distanza di sicurezza di due metri, i tamponi a tutti i dipendenti, il coordinamento quotidiano con il ministero della Salute locale. E inoltre ho affittato una trentina di monolocali per osservare le quarantene in sicurezza”. Un incontro di convivenza A colpire è la parola “convivenza” che ritorna più volte nel colloquio con Abdullah, anche quando ricorda di aver partecipato, ad inizio 2019, alla Messa del Papa ad Abu Dhabi, in occasione del viaggio di Francesco negli Emirati Arabi Uniti, già all’insegna di quella fraternità e amicizia sociale di cui il Pontefice oggi parla nella Fratelli tutti. “Un’esperienza magnifica, sono andato con alcuni dei colleghi e con gli amici del Movimento dei Focolari. C’era tantissima gente, tant’è vero che io ero fuori lo stadio, sul prato, da dove si poteva seguire l’evento attraverso dei maxischermi. Ho notato che la grande maggioranza dei presenti era cattolica, ma c’erano pure 5 mila musulmani, oltre a qualche gruppo di buddisti, indù e sikh. Trasmettevano le immagini del sentito abbraccio col Grande Imam di Al-Azhar Ahamad al-Tayyib. È stato un momento liberatorio, di incontro tra mondo islamico e mondo occidentale, con il Papa venuto qui con grandissima umiltà: ha ringraziato il Paese, le autorità, il popolo, nello spirito della convivenza, della pace, della tolleranza. Ci ha voluto dire che stare tutti insieme è possibile”.

Giada Aquilino per Vatican News

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Facciamo il punto sulla fratellanza

Facciamo il punto sulla fratellanza

Roberto Catalano del Centro per il Dialogo Interreligioso dei Focolari ci offre una lettura del contesto, del percorso storico e geo-politico che ha accompagnato la stesura del documento sulla Fratellanza umana per la pace e la convivenza comune, co-firmato da Papa Francesco e dall’Imam di al-Azhar, Ahamad al-Tayyib ad Abu Dhabi, il 4 febbraio scorso. La fraternità universale è ancora un obiettivo primario per l’umanità? Quale valore ha in questo tempo dominato da bolle digitali, confini personali e collettivi sempre più stagliati, nuovi protezionismi economici e via dicendo? La dichiarazione di Abu Dhabi firmata da Papa Francesco e dall’Imam di al-Azhar riporta la fraternità al centro dello scacchiere geopolitico e anche mediatico:  il tono chiaro e concreto del documento-dichiarazione  ripropone la fraternità come obiettivo per l’intera famiglia umana e non solo per le due religioni cristiana e musulmana. Roberto Catalano ci spiega contesto e percorsi di questa che è una tappa fondativa del dialogo per la pace mondiale. Qual è il valore della dichiarazione firmata da Papa Francesco e dall’Imam al-Tayyib ad Abu Dhabi il 4 febbraio scorso? Il documento sulla fratellanza rappresenta una pietra miliare e propone un testo che resterà paradigma di riferimento. Impossibile non riconoscerne la valenza profondamente innovativa. Ancora una volta ci troviamo di fronte ad una ‘prima assoluta’ di Papa Bergoglio. Mai prima nella storia della Chiesa era avvenuto che un papa sottoscrivesse un documento comune con un leader di un’altra religione. La firma è avvenuta in un contesto preciso, caratterizzato da abbracci, discorsi, cammini mano nella mano dei leaders della Chiesa Cattolica e di al-Azhar. Il testo condiviso interpella non solo addetti ai lavori e leader religiosi, ma tutti i credenti e gli abitanti del mondo. Roberto CatalanoGli Emirati Arabi sono un po’ uno spaccato di questo mondo globalizzato: la penisola arabica è il cuore dell’Islam, ma conta anche una crescente presenza di lavoratori provenienti da altri Paesi e culture… Abu Dhabi, capitale degli Emirati Arabi Uniti e luogo della firma del documento è l’ultima propaggine della penisola arabica. Tutti questi stati hanno un significato importante sia sullo scacchiere dell’economia che su quello della geopolitica. In pochi decenni il possesso del petrolio ha permesso un progresso da capogiro anche grazie ad una manodopera proveniente da Paesi come le Filippine, l’India, il Pakistan, il Bangladesh. La penisola arabica è il cuore dell’Islam, ma presenta un vero mosaico musulmano. Dominante è la presenza del Regno Saudita, immagine dell’Islam sunnita che s’identifica con il wahabismo, che, anche livello internazionale, appoggia il salafismo. A fronte di tutto questo, sta un fenomeno nuovo di comunità cristiana. Infatti, mentre le Chiese cristiane tradizionali e apostoliche del Medio Oriente vivono momenti drammatici che spesso costringono i cristiani a fuggire, la zona degli Emirati si sta popolando di una nuova cristianità,un vero spaccato della cristianità odierna. La maggioranza dei cattolici sono filippini e indiani, ma anche del Medio Oriente.Siamo nel periodo della globalizzazione e la Chiesa negli Emirati ne è una delle espressioni più caratteristiche. Anche nel recente viaggio di Papa Francesco in Marocco si sono ricordati gli 800 anni dell’incontro fra Francesco d’Assisi ed il Sultano Malik al-Kamil. Questo papa sembra aver intrapreso una sorta di “pellegrinaggio di pace”… Proprio così. Anche Abu Dhabi si inserisce in questo anniversario, come segno del desiderio di essere «fratello che cerca la pace con i fratelli» per «essere strumenti di pace». La Dichiarazione Conciliare Nostra Aetate afferma che nel «corso dei secoli, non pochi dissensi e inimicizie sono sorte tra cristiani e musulmani» e quindi, il Concilio ha provveduto ad esortare «tutti a dimenticare il passato e a esercitare sinceramente la mutua comprensione, nonché a difendere e promuovere insieme per tutti gli uomini la giustizia sociale, i valori morali, la pace e la libertà». A Ratisbona nel 2006 una citazione di Benedetto XVI causò un doloroso e complesso contenzioso con il mondo musulmano. Molti avvertirono la frase citata da Ratzinger come un’offesa nei confronti del Corano, anche se si riferiva al rapporto fra fede e ragione e tra religione e violenza. Si aprì una stagione piuttosto burrascosa, all’interno della quale l’università di al-Azhar interruppe i contatti con il Vaticano. Negli anni successivi, con grande pazienza diplomatica, si sono riannodati i rapporti, ispirandosi alla Evangelii Gaudium, che, dopo aver definito il dialogo interreligioso come un «dovere per i cristiani, come per le altre comunità religiose» (EG 250), aveva affermato la rilevanza del rapporto fra cristiani e musulmani. Finalmente, nel maggio del 2016 l’Imam al-Tayiib è in Vaticano. Significativo il suo commento a caldo: «Riprendiamo il cammino di dialogo e auspichiamo che sia migliore di quanto era prima». La risposta al gesto di accoglienza di Francesco non si è fatta attendere. Nel 2017, l’imam ha accolto papa Francesco al Cairo, invitandolo ad una Conferenza Internazionale per la Pace. In quell’occasione, il Papa, dopo aver affermato con forza, «solo la pace è santa e nessuna violenza può essere perpetrata in nome di Dio, perché profanerebbe il suo Nome», ha suggerito tre orientamenti che, «possono aiutare il dialogo: il dovere dell’identità, il coraggio dell’alterità e la sincerità delle intenzioni». Progressivamente è nata una profonda intesa spirituale fra i due leaders religiosi.

A cura di Stefania Tanesini

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