Feb 15, 2018 | Famiglie, Focolari nel Mondo, Spiritualità
Si è da poco concluso a Castel Gandolfo (Roma) il corso internazionale per fidanzati organizzato da Famiglie Nuove dei Focolari cui hanno partecipato 65 coppie. Oltre a parlare della scelta della persona e su come identificare e superare le crisi relazionali con ampi excursus su comunicazione, affettività e spiritualità e oltre ai momenti di condivisione, ciò che ha fatto gran presa sono state le storie di vita vissuta. Una fra tutte? Massimo e Francesca di Roma, sposati da 17 anni, rispettivamente manager in una società di telecomunicazioni e insegnante di italiano a stranieri. Francesca: Secondo i medici non avremmo né potuto né dovuto avere figli e se pure ci fosse stata una gravidanza, era certo che non sarebbe andata a buon fine. Una condanna senza appello. Allo sconforto dei primi momenti subentra una rassicurante convinzione: la fecondità non è solo nella capacità biologica ma nel saper generare amore intorno a sé. Così continuiamo a portare avanti con immutato entusiasmo le iniziative che avevano accompagnato le nostre scelte giovanili verso gli altri. E aperti alla vita, nonostante lo spauracchio di seriali e traumatici aborti. Non trascorrono due anni che scopriamo di aspettare un bambino.
Come previsto è una gravidanza difficile, fattasi largo nonostante i verdetti dei medici i quali non mancano di ricordarci i gravi rischi e le molte attenzioni che dobbiamo prendere. Nei tanti momenti difficili ci appelliamo a Dio, l’autore della vita, che ci fa ancora più consapevoli della preziosità di quel fagottino che vuole crescere dentro di me nonostante il severo parere dei medici. La tenerezza dell’uno verso l’altra si intensifica, scacciando le paure e dando senso al nostro dolore. Alessandro nasce a termine, sanissimo ed anch’io sto bene, lasciando i medici nello stupore. Massimo: Rimaniamo ancora aperti alla vita e dopo un paio d’anni si affaccia una nuova gravidanza, seguita da una nuova ondata di incredulità, scetticismo e raccomandazioni dei medici. A gravidanza avanzata c’è il sospetto della sindrome di Down, da accertare con l’amniocentesi. Ancora una volta, nonostante il trauma di questa notizia, sentiamo che è più forte la certezza dell’amore di Dio per noi e per nostro figlio, cui vogliamo dare un’accoglienza incondizionata. Così rinunciamo al test e ai rischi che esso comporta e ci portiamo il dubbio fino alla nascita. Sono mesi di paure e di sconforto che superiamo puntando di nuovo a non voler restare invischiati nel dolore ma di viverli come occasioni di amore fra noi e con tutti. Matteo, ci dicono alla nascita, non ha la sindrome di Down, ma una malformazione cardiaca che richiede il ricovero fino all’intervento che avverrà a soli 4 mesi di vita.
Francesca: Quattro mesi durante i quali la stanchezza e soprattutto l’impotenza di fronte al dolore innocente ci portano a momenti di incomprensione. Quella tensione a volersi bene a volte sembra svanire, anche perché io devo rimanere in ospedale con Matteo e Massimo a casa con Alessandro o al lavoro; ci si vede solo nel reparto e spesso basta una frase sbagliata per accendere i toni. Massimo: Una sera, dopo essere stato da loro in ospedale, nel salutarci in corridoio avvertiamo tutti e due l’esigenza di un dialogo sincero, benefico, cuore a cuore. Capiamo che tra le tante preoccupazioni l’unica che deve trovare spazio è quella di volerci bene. E anche adesso, quando le inevitabili tensioni del quotidiano sembrano avere il sopravvento, torniamo al ricordo di quei momenti di luce nei quali anche come famiglia il dolore ci ha rigenerati all’amore più vero. (altro…)
Mar 3, 2017 | Dialogo Interreligioso, Ecumenismo, Famiglie, Focolari nel Mondo, Spiritualità
Sette anni sono passati dalla primavera araba e e dall’indimenticabile piazza Tahrir, simbolo di tutte le piazze d’Egitto, Tunisia, Libia, Yemen, affollate di donne, uomini e moltissimi giovani che invocavano con forza la caduta dei regimi autocratici, il rispetto dei diritti umani, trasparenza, libertà di informazione, giustizia sociale. Sette lunghi anni che in Egitto, punto di riferimento storico e culturale del mondo arabo, sono stati segnati da una crisi politica senza uguali. Una forte instabilità interna, causata da sporadici atti di terrorismo, hanno avuto come effetto il crollo del turismo e degli investimenti stranieri. E, nonostante gli sforzi del governo per investire nelle infrastrutture (come l’inaugurazione del nuovo canale di Suez) e per risanare i rapporti internazionali, la crisi economica si fa sentire sui 90 milioni di abitanti del Paese, che vivono per lo più nelle grandi aree urbane lungo le rive del Nilo (il 5 per cento del territorio). 10 milioni (12 di giorno) nella sola capitale, Il Cairo, la seconda città africana più popolosa.
Immerse in questa metropoli, le famiglie che vivono la spiritualità dei focolari, Focolari provengono da ogni livello sociale e appartengono a diverse chiese cristiane. Sperimentano le difficoltà di tutti: la disoccupazione crescente, la crisi del ruolo dei genitori in una società sempre più lontana dai valori religiosi e civili e che abbaglia le nuove generazioni con le sirene del consumismo. Famiglie che, però, cercano di andare “contro corrente”, aiutandosi reciprocamente e tirandosi su le maniche al servizio di scuole, chiese, istituzioni. Il 27 gennaio scorso, con il titolo “Fonte di speranza e di gioia”, si è svolto un convegno sulla famiglia, cui hanno partecipato circa 300 persone. Una festa con canzoni, momenti di scambio, danze, riflessioni sui temi del dialogo tra marito e moglie, del rapporto tra genitori e figli, e poi sul dolore, la malattia, le divisioni e le difficoltà delle famiglie. Molte le testimonianze tangibili di amore che sana le sofferenze, come quella di Wagih e di sua moglie, colpita da un ictus e in carrozzella; o di una coppia che attraverso il dialogo ha rimesso insieme i cocci di una famiglia quasi spezzata; o di un’altra che ha compreso che i bambini hanno bisogno sì di essere amati, ma soprattutto di avere dei genitori che si amano fra loro.
«Le famiglie del focolare – scrivono dal Cairo –danno un grande contributo anche attraverso l’Istituto San Giuseppe per la Famiglia e Pro Vita, nato nel marzo del 1994, incarnando il Vangelo nella vita famigliare e nel seno della società. L’Istituto s’adopera per la preparazione al matrimonio di giovani coppie e come consultorio familiare, con filiali in diverse diocesi. Esse danno forza e coraggio, in mezzo alle tante difficoltà, anche nel mondo musulmano. In questi anni il numero dei casi di annullamento del matrimonio si è ridotto al minimo, malgrado il gran numero di coppie con problemi che vi si recano. L’Istituto dà il suo contributo nei vari avvenimenti sul tema della famiglia, rappresentando la Santa Sede nei congressi internazionali del mondo musulmano». Dal 2007, agisce la Fondazione Koz Kazah, nella comunità di Shubra, uno dei quartieri più popolosi del Cairo. Lo scorso 25 febbraio si è inaugurata una nuova sede a Fagala. Lo scopo è quello di portare avanti, in collaborazione con AMU, progetti sociali, programmi di formazione per bambini a rischio, azioni per risvegliare il senso di appartenenza alla propria città (pulizia delle strade, murales, conferenze, spettacoli). In una società, non solo quella egiziana, che sembra aver smarrito le ragioni della speranza e della gioia, queste azioni costruttive sembrano emanare il profumo di un’altra primavera. AMU: Progetto CHANCE FOR TOMORROW (altro…)