Movimento dei Focolari

Il sogno dell’Europa unita di Giordani sin dagli anni Venti

Gli scritti qui riportati sono pubblicati in “Parte Guelfa” – rivista fondata da Giordani nel corso della sua intensa attività giornalistica – e su “Il Quotidiano”, allora da lui diretto. Gli Stati Uniti d’Europa non saranno sino a quando l’Europa rimarrà solcata da nazionalismi. Stati uniti europei e nazionalismo sono due termini che si escludono reciprocamente”. (Parte Guelfa, 1925) “L’unità sarà effetto della ineluttabilità delle condizioni economiche per le quali nessun paese più basta a sé stesso e la vita di ciascuno è intimamente legata a quella degli altri; sarà effetto del bisogno di pace universalmente sentito; si concreterà come una realizzazione del cristianesimo, i cui valori rifioriscono col manifestarsi della loro necessità”. (Parte Guelfa,1925) “L’amore al proprio paese non implica l’odio a quello altrui: l’amore alla propria famiglia è stolto se si risolve nell’odio alle famiglie coabitanti in uno stesso casamento”. (Parte Guelfa,1925) “L’Europa si salverà dal fallimento economico, dalla minaccia di nuove guerre (…) solo se, sentendosi organicamente, continentalmente, una, unita, aduni le sue risorse tutte per fronteggiare i pericoli comuni anziché inabissarsi nel logoramento interiore”. (Parte Guelfa,1925) “Questo straripamento, tutta questa molteplice espansione di là dalle staccionate nazionali, risponde a un bisogno di liberazione; nelle sue espressioni migliori, è arricchimento di vita; dove avviene razionalmente, è cristianesimo che si fa. (…) Il cristianesimo dall’inizio educa i cristiani alla cattolicità: cioè all’universalità. La società universale della Chiesa non vede che anime, di là dai tratti somatici; e propugna quella fraternità universale la quale non è favorita, ma interrotta, e spesso vivisezionata, con incisioni sanguinolenti, dalle divisioni territoriali, linguistiche, nazionali e classiste”. (Il Quotidiano, 1945) (altro…)

Un comunicatore a servizio di un grande ideale

Pubblichiamo alcuni stralci di un intervento di Nedo Pozzi sulla figura di “Giordani comunicatore”,  tenuto il 18 aprile,  giorno del 29° anniversario della nascita al Cielo di “Foco”, nel corso del recente convegno di NetOne Italia. Ventinove anni fa Igino Giordani, da Chiara e da tutti noi chiamato Foco, lasciava questa terra. Per Giordani, una delle figure più rappresentative del Novecento italiano, al culmine della fama e di una frenetica attività, avviene l’evento che avvia la sua vita verso un’esperienza spirituale nuova e totalmente coinvolgente. E’ l’incontro con Chiara Lubich, nel settembre 1948. Con lei inizia un sodalizio spirituale singolare per umiltà, trasparenza, unità. Dirà più tardi: “Tutti i miei studi, i miei ideali, le vicende stesse della mia vita mi apparivano diretti a questa meta… Potrei dire che prima avevo cercato; ora ho trovato”. E fu proprio da quell’incontro tra Chiara e Giordani del 1948 che iniziò a fiorire un rinnovamento radicale del vivere, del pensare, dell’interagire sociale in tutti i sensi, anche in quello politico, anche in quello mediatico. Giordani è un personaggio estremamente poliedrico, ma oggi lo guardiamo soprattutto come comunicatore a servizio di un grande ideale: l’umanità come famiglia. Il suo impegno come uomo dei media è impressionante: 4000 articoli su 49 organi di stampa italiani e di altri paesi, fondatore di varie testate, direttore di due quotidiani e di 10 periodici, autore di oltre 100 libri (una media di quasi due all’anno) per un totale di  26000 pagine, tradotte nelle principali lingue, senza contare i saggi, gli opuscoli, le lettere, i discorsi. Per un trentennio è rimasto nel vivo del fermento politico e culturale, nazionale e internazionale, accendendo luci profetiche sugli avvenimenti spesso drammatici del XX secolo. Oltre alla penna, di scrittore di razza, la sua dote mediatica più coinvolgente era la parola, il dono di una conversazione che attraverso la bellezza e la proprietà dell’eloquio e una sottile ironia veicolava idee controcorrente, di insolita altezza. Ed ecco qualche pensiero di questo artista della parola, questo politico “ingenuo” e “troppo cristiano”. Qualche perla scelta dai suoi scritti sulla comunicazione: Se per l’uomo essere è pensare, vivere è comunicare.” “Il comunicatore è chiamato ad illuminare,  non oscurare. …Dovrebbe rinnovarsi ogni giorno, rifornirsi d’idee ogni momento. … Il comunicatore può non avere un soldo in tasca, ma se ha un’idea in testa, una fiamma in cuore, vale sul mercato più d’un finanziatore.” “L’amore è tutto; senza l’amore tutto è niente: la comunicazione può e deve alimentare questa verità che è il solo cemento sociale durevole, prima che la paura, madre dell’atomica, abbia il sopravvento.” “Il comunicatore è il più diretto costruttore di una città nuova.” “L’umanità si svena sempre per le stesse ragioni… Per esempio dice: ‘Si vis pacem, para bellum’. Ma per noi la verità è altra. Se vuoi la pace prepara la pace. Se prepari la guerra, i fucili ad un certo momento spareranno da soli… Se vogliamo arrivare alla pace, dobbiamo cominciare a costruirla tra di noi… perché la pace comincia veramente da ciascuno di noi.” E queste stesse parole le ha pronunciate in parlamento il 21 dicembre 1950. E per finire, cosa direbbe oggi Giordani se gli chiedessimo cosa dobbiamo praticamente fare? “Aprire il cuore come una conchiglia a raccogliere la voce dell’umanità e mettere a circolare l’amore e la ricchezza – il bene e i beni – sopprimendo gli sbarramenti di razza e di classe, le dogane dello spirito, i pedaggi della felicità… Vedere nell’uomo, chiunque esso sia, un fratello…” E’ una proposta ed un invito che risale al 1961 ma che sento sempre attualissimo, e che mi interroga ogni mattina, ogni volta che incontro qualcuno o che mi siedo al computer per fare il mio… e il suo mestiere. Nedo Pozzi (altro…)

Natale è l’arrivo della Redenzione:  gioia, vita, deificazione

Natale è l’arrivo della Redenzione: gioia, vita, deificazione

Se uno non vuol credere, è libero di farlo: Dio ha impresso il sigillo della sua grandezza sull’uomo facendolo libero. Solo che Egli insegna a usare la libertà come libertà dal male e non come libertà dal bene. L’uomo in Dio, è libero di amare : cioè di vivere ; contro Dio, è libero di fare il male, cioè di morire. Chi cerca trova. Chi cerca Dio, lo trova. Chi lo ascolta, lo sente. La sua voce insegna a capovolgere di continuo le opinioni correnti, per stabilire uomini e cose nel disegno divino, che è l’immortalità nella bellezza. La malattia tormenta: chi l’accetta con lo spirito del Crocifisso ne fa una chimica di purificazione di sé, e un contributo alla Passione di Cristo. Quell’uomo è ingrato, è odioso: ricontemplandolo con gli occhi del comune Padre diventa il fratello, che ha bisogno d’aiuto. Quelle parole ci offendono: se le esaminiamo nella luce del Padre esse ci consentono di patire e di perdonare, e cioè di compiere un balzo nell’ascesa che ordinariamente richiederebbe forse anni di riflessione. Il Signore mostra l’altra faccia delle cose: quella da cui Egli le vede. Il male si volta in bene, il dolore in amore, la solitudine umana in colloquio con gli angeli e i beati, con Maria e con la Trinità. La prigione si trasfigura in libertà sui piani del Paradiso; la fame in olocausto a Dio. La povertà si fa ricchezza, l’ignominia diventa gloria; la tenebra ricolma di luce. Ci si accorge che i cattivi, i quali parevano sopraffarci, diventano nostri collaboratori: agenti involontari della nostra santità. La bruttezza così diviene bellezza, la disgrazia un’apertura alla grazia. La storia macina come un mulino fragoroso e pulverulento, da cui esce la farina, con la quale si fa il pane. È un motore, che, coi materiali terreni, guerra, lotte, epidemie, odi, e anche con grano e acqua e metalli ed energie terrestri, allestisce l’avvicinamento allo spirito. E si vede che tutta la creazione – come apparve a san Paolo – anela a convergere in Cristo, dove avviene l’innesto definitivo tra umano e divino, tra terra e cielo, tra materia e spirito. Chi guarda solo l’aspetto terreno, caduco, negativo – quello di qua, verso la sfera umana – rinunzia alla zona più estesa della vita; diventa solo oggetto di morte, della quale uomini ed eventi si fanno artefici. S’avvicina Natale. Per uno monocolo, s’avvicina il freddo, il buio, la fame. Per chi vede in Dio, con l’occhio umano e l’occhio divino, s’avvicina la Redenzione, che è gioia, vita, deificazione. Il Natale, immagine del paradosso che è per gli uomini la Redenzione. Esso scopre i modi d’agire del Padre celeste, il quale d’una stalla fa la stanza dell’Eterno, l’incontro della purezza e della bellezza. Egli può far nascere l’Uomo-Dio nella dimora glabra, logora, che è la persona d’un vecchio: persona che è tempio dello Spirito Santo, se vuole, e dunque ritrovo di angeli che cantano la gloria a Dio e la pace agli uomini ben disposti. Da Diario di Fuoco, Città Nuova, Roma 200510 (altro…)

Il giovane Giordani: controcorrente senza mezze misure

A prima vista, chi volesse immaginare Igino Giordani scorrendone la biografia potrebbe ricorrere a diverse rappresentazioni: la compassata figura di parlamentare che compie discorsi importanti sulla pace nel mondo e sul disarmo totale durante la Guerra Fredda, oppure il calmo ed erudito scrittore che dalle pareti della Biblioteca Vaticana traduce, commenta e divulga i Padri della Chiesa, o ancora l’ispirato confondatore che al fianco di Chiara Lubich sostiene l’edificazione del nascente Movimento dei Focolari. Chissà com’era da ragazzino, uno così! Forse uno scolaro deamicisiano alla Derossi? Nient’affatto. È più vicino alla realtà immaginarlo – ancora bambino – con la cazzuola in mano, accanto al padre, nel costruire muri. O ancora vederlo sguazzare in modo selvaggio nelle acque dell’Aniene, nonostante le raccomandazioni di mamma e papà. O sfidare i ragazzini del rione storicamente avverso al suo, sul ponte che delimitava il confine. La giovinezza di Igino è stata tumultuosa e vivace. Igino, se li è conquistati gli studi, in senso letterale. Mentre lavorava come muratore, ancora dodicenne, invece di fischiettare qualche motivetto si metteva a far prediche in un latino che non conosceva, e che aveva appreso nei canti durante le funzioni religiose, in quei primi anni del Novecento. Questo gioco innocente era spiato dal Sor Facchini, – un facoltoso tiburtino datore di lavoro del papà di Igino – il quale comprese che questo ragazzino, esile e rosso di capelli, era fatto per gli studi e non per l’edilizia. Gli pagò la retta per il seminario, e Igino cominciò a studiare. Da scavezzacollo qual era stato, cresceva e maturava negli studi. Fu premiato per i suoi traguardi intellettuali, era ben voluto dai professori, al punto che qualcuno lo ammetteva in classe più come collaboratore che come alunno. Arriviamo all’anno 1914: il diploma di Igino coincide con l’ingresso del mondo in guerra. La sua indole temeraria e la sua profonda convinzione cristiana portano Igino a sfidare i facinorosi che, durante i comizi guerrafondai, straparlano di potenza, di morte e di vittoria militare. Viene invitato a calmarsi, se non vuole essere picchiato. Ma tant’è… il pacifismo del giovane Igino rimane inesorabilmente coerente nella scuola militare dove viene addestrato alla tattica di guerra: sul manuale che gli danno da studiare scriverà «qui si studia la scienza dell’imbellicità». Eh sì che ci voleva poco, a quei tempi, ad essere accusati di tradimento! Ma Igino vive controcorrente, sempre, con radicalità, avendo scelto di vivere secondo l’insegnamento cristiano: perfino in trincea, dove non spara mai un sol colpo contro il nemico, per non uccidere un altro figlio di Dio. Perfino quando, chiamato – proprio in virtù della sua giovanissima età – a far brillare un reticolato nemico, resterà gravemente ferito, e nelle corsie dell’ospedale di Milano troverà sollievo nel Crocifisso appeso al muro. Scanzonato e ironico, durante la lunga degenza all’ospedale militare, fra operazioni chirurgiche che ne mettono in pericolo la vita, ha il tempo per laurearsi con una tesi sul comico nella Divina Commedia, e intanto prende lezioni di violino. Controcorrente e radicale: la gioventù di Igino lascia intravedere il solco che tanti altri giovani nel Ventesimo secolo, ispirati all’ideale dell’unità, intraprenderanno. di Alberto Lo Presti – pubblicato su “Fuoco vivo. Igino Giordani oggi” del 25 novembre 2008 (altro…)

“Le ragioni del dialogo: attualità di Igino Giordani”

Non posso iniziare senza raccogliere l’emozione che avverto – e avvertiamo in tanti, immagino – ritrovandomi qui, a questo tavolo, a distanza di sette anni dal 15 dicembre 2000, quando i presidenti del Senato e della Camera di allora, Nicola Mancino e Luciano Violante, hanno accolto Chiara Lubich in questa sala. Vorrei riprendere una frase del suo intervento di quel giorno, in cui si rivolgeva ad un pubblico simile a quello di stasera: politici di diversi livelli istituzionali, dirigenti e funzionari delle amministrazioni, studiosi, diplomatici e cittadini. Una frase che ha avuto un seguito: il Movimento politico per l’unità “vorrebbe proporre a tutti quanti agiscono in politica di impegnarsi a vivere formulando quasi un patto di fraternità per l’Italia, che metta il bene del paese al di sopra di ogni interesse parziale: sia esso individuale, di gruppo, di classe o di partito” –  “…uno stile di vita che permetta alla politica di raggiungere nel miglior modo il suo fine: il bene comune nell’unità del corpo sociale.“ Il mio compito, introducendo la serata di oggi, è quello di presentare proprio il Movimento politico per l’unità che ha promosso questo incontro. Esso è stato definito da Chiara Lubich: “un laboratorio internazionale di lavoro politico comune, tra cittadini, funzionari, studiosi, politici impegnati a vari livelli, di ispirazioni e partiti diversi, che mettono la fraternità a base della loro vita politica”. E’ diffuso oggi soprattutto in Europa e in altre nazioni in Sud America: in Brasile, Argentina, Uruguay e Paraguay. Ma non solo. Un mese fa, abbiamo celebrato nel Parlamento di Seoul la costituzione del Movimento politico per l’unità in Corea del Sud, avvenuta tre anni fa. Inoltre, esso si avvia a costituirsi in Colombia e in Cile, negli USA, nelle Filippine e, in Africa, nel Camerun. Quale la sua specifica area di azione? Non si tratta di una generica prossimità alla politica fatta di benevolenza amicale, distaccata o peggio ancora interessata alle sorti di questo o di quel politico… Le nostre radici sono dentro l’ispirazione carismatica di Chiara Lubich: concorrere all’unità della famiglia umana. La politica, dentro questa scelta di vita, diventa l’arte indispensabile per comporre in unità le comunità, le città, le nazioni, i popoli. Conseguenza naturale di questo impegno quotidiano a farsi soggetti e non oggetti della storia, è quello di “riprendersi” la politica riscoprendone la funzione essenziale, irrinunciabile, per coniugare valori comuni nelle risposte che oggi la società attende. Se c’è un tratto che sintetizza le ampie problematiche che attraversano la nostra attualità, e che è possibile ritrovare sia alla base delle fratture della società come delle gravi insufficienze dell’azione politica, è quello della notte, e in particolare ciò che un filosofo francese, Paul Ricoeur, ha genialmente definito la “notte del noi”: l’incapacità di pensarci come partecipi di un disegno comune; le sempre più evidenti relazioni di interdipendenza che ci legano di fatto ad ogni altro – di cui tutti siamo coscienti -, sfumano però rapidamente di fronte all’affermazione di una solitaria e pretesa centralità delle nostre ragioni individuali o di quelle del nostro gruppo particolare. Mi pare di poter affermare che questa “notte del noi” raggiunge forse la sua massima espressione proprio dentro la politica: i partiti, ciascuno singolarmente, si percepisce come detentore della verità, non come parte di un gioco collettivo che includa necessariamente tutti per costruire il bene comune; ogni città, ogni popolo rincorre il suo parziale bene, come un’entità distinta e separata, mentre oggi più che mai lo spazio dei problemi, e quindi delle possibili soluzioni, è la dimensione planetaria. Di fronte a tutto ciò, esistono però dei punti da cui ricominciare. Come non ricordare, il 12 maggio scorso, l’assemblea internazionale di Stoccarda intorno alla costruzione dell’Europa e il Family Day in Piazza San Giovanni? E più recentemente, i cinque milioni di lavoratori e pensionati che hanno risposto al quesito referendario riguardo all’accordo sul welfare? Tre milioni e mezzo approfittano della angusta finestra che il palazzo della politica apre per partecipare alla costruzione di un nuovo partito; quasi ogni giorno scende in piazza un numero variabile, ma sempre incredibilmente alto, di persone che chiedono di partecipare alle decisioni politiche. Ma anche dentro il palazzo, quante persone incontriamo ogni giorno che, quando si attiva una rete di relazioni continuative e disinteressate, rivolte alla ricerca dei valori che precedono e danno significato alle appartenenze, sono capaci di novità! Una conferma di quel lavoro più che mai necessario che stiamo conducendo lungo tre direzioni principali. La prima: offrire luoghi in cui si possano consolidare relazioni di reciprocità tra i diversi soggetti delle dinamiche democratiche. Se fondamento della politica è un nuovo concetto di partecipare, prendere parte alla scrittura del destino comune – come sta emergendo con maggiore chiarezza nel dibattito politico internazionale come nelle buone pratiche che nascono tra la gente a partire anzitutto dal livello locale -, condizione indispensabile è anzitutto quella di essere parte, di sentirsi parte laddove ciascuno si trova a vivere e ad operare. Il Mppu lavora perché ciascuno – e qui intendo dai cittadini come me, ai segretari di partito, dagli imprenditori ai giornalisti, dagli educatori alle casalinghe – riscopra fino in fondo la sua responsabilità civica e la coniughi dentro le diverse arene del bene comune. Dove si fonda questa opzione pregiudiziale per il dialogo? E qual è l’identità che è radice e insieme dà prospettiva a questa scelta? La fraternità universale, legame costitutivo che spiega l’umanità, scelto come categoria capace di ispirare dall’interno metodo, contenuto e fine della politica. Scegliere la fraternità universale vuol dire avere il coraggio di andare alla radice. Chi ha riferimenti religiosi la vede come espressione dell’esperienza dello scoprirsi tutti figli di Dio e quindi fratelli fra noi. Molti la trovano nelle radici profonde di ogni essere umano. Oggi le scienze biologiche e mediche del resto ci dicono che non ci sono tante razze, ma un’unica razza, quella umana, legata da caratteristiche appartenenti a tutti. Qualcuno potrebbe chiedersi se non sarebbe più semplice continuare a parlare di solidarietà senza ricorrere al concetto di fraternità, termine molto meno conosciuto ed utilizzato in politica; la solidarietà ha già una sua storia e una sua coniugazione politica specifica. Bruno Mattéi, filosofo francese di Lille, sostiene: “Al contrario della solidarietà (gestionale e umanitaria), la fraternità è attenzione incondizionata all’altro e presuppone che la mia libertà non si possa realizzare senza la libertà dell’altro e che, a questo titolo, io ne sono responsabile.” Mattéi parla della fraternità come principio originario, più “solido” in relazione alla costruzione di una politica adeguata, che affronti la totalità dei problemi. E Gúrutz Jáuregui, docente di Diritto Costituzionale all’Università del Paese Basco, porta il discorso ancora più avanti, sostenendo che solo dalla fraternità possono nascere risposte adeguate alle sfide di oggi, per  es. per un diritto che sappia accogliere la diversità che convive ormai dentro i nostri paesi, superando, senza distruggerli, il principio di nazione, di confine, di cittadinanza… Probabilmente la fraternità ci potrà ispirare per scrivere i cosiddetti diritti di quarta generazione oggi all’agenda della politica. In questa prospettiva acquistano nuovi significati anche gli altri capisaldi del progetto politico della modernità, la libertà e l’uguaglianza: perché la libertà sia, per tutti, il fondamentale diritto a potersi scoprire unico e irripetibile; perché l’uguaglianza sia davvero riconoscimento e garanzia ad ognuno di pari accesso alle risorse e alle opportunità. Lasciarsi illuminare dalla fraternità è un’esperienza dinamica molto profonda, che si fa ricerca laboriosa di dialogo, mediazione competente, progetto politico che produce azioni ispirate ai valori dell’uomo. Scegliere la fraternità vuol dire sentire la posizione dell’altro come necessaria alla costruzione della comunità, ascoltare l’altro come portatore di una posizione interessante, mettere gli interessi della propria parte dopo l’interesse della comunità. Il risultato aumenta la nostra capacità di capire le domande dei cittadini e di saper dare risposte più vere. E veniamo alla seconda direzione, la dimensione internazionale, la mondialità. Oggi è necessario partire dal dato di fatto che la storia dell’umanità è caratterizzata da un rapporto di interdipendenza reciproca. Le esemplificazioni sono evidenti: la ricerca della pace, la difesa dell’ambiente, lo sviluppo della scienza, le comunicazioni e l’uso dei media… sono sfide a cui è possibile dare una risposta efficace, una parola forte, solo con sforzi creativi proporzionati alle sfide, solo se partiamo dal riconoscimento del legame universale della fraternità. Quindi la sfida è quella di abituarsi a ragionare in politica tenendo conto che la comunità politica fondamentale è l’umanità, e abbandonare così, come chiave di lettura e di progettazione politica, la stretta visuale del proprio angolo di mondo, per riconoscere e assumere che, se ogni uomo è mio fratello, allora il suo progetto di vita è il mio, la sua aspettativa di vita è la mia, gli ostacoli che frenano il suo sviluppo e quello del suo popolo sono miei. Allora il bilancio del mio comune, del mio Stato si struttura e si relativizza sulla sua condizione. La terza direzione: l’individuazione di azioni comuni. Occorre trovare il modo di interagire, di impegnarsi insieme in azioni positive che vedano i soggetti della politica, ognuno forte della sua responsabilità e autonomia, assieme capaci di studio e mobilitazione per il bene comune. Un’esperienza in corso, che si conferma un motore di speranza politica, è la rete internazionale delle scuole di formazione sociale e politica del Mppu che ha preso avvio alcuni anni fa e che oggi sta rivelando, contrariamente a quanto viene divulgato, l’interesse dei giovani quando la politica diventa scelta d’amore per la comunità di cui ci si fa responsabili. Un altro esempio: Il Mppu in Brasile, nelle ultime settimane ha dato avvio ad una importante azione a livello nazionale, come risposta alle crisi sul piano della legalità che si stanno susseguendo e che vedono implicati partiti e istituzioni ad ampio raggio. Un’azione che vede coinvolti parlamentari federali e dei diversi parlamenti statali, organizzazioni della società civile laiche e cattoliche, tanti cittadini, e, tra tutti questi, tanti giovani, e che ha individuato uno dei punti su cui è necessario legiferare per poter sostenere le buone volontà che stanno riprendendo coraggio. Si tratta della proposta di una modifica costituzionale che punta all’introduzione di modifiche intorno alla legge di Bilancio, nella Costituzione del Brasile. La campagna di raccolta dei milioni di firme necessarie all’accoglimento della modifica si sviluppa lungo tre direttrici: consolidamento della regola democratica e delle sue procedure, moltiplicazione dei luoghi del dibattito pubblico dove il bilancio della nazione possa diventare questione di popolo, rafforzamento delle scelte etiche attraverso un rafforzamento della legalità. Altra iniziativa che caratterizza il lavoro del Mppu da circa due anni e che quest’anno, nel prossimo mese di novembre, vedrà un momento congressuale conclusivo, è una ricerca approfondita sul tema della partecipazione, che la scelta della fraternità universale arricchisce di caratteri specifici, dentro l’orizzonte di una democrazia di qualità sempre più radicata su valori umani universali. Le sfide che sono davanti a noi sono ardite e spesso passano proprio da questi Palazzi. Ed è qui che emerge Igino Giordani, che aggiunge a questa strada un contributo creativo e insostituibile. Quest’anno la proposta è quella di entrare nel vivo della vita politica del Paese guardando alla sua figura, una delle grandi voci del XX secolo italiano, membro della Costituente e deputato alla Camera fino al 1953, testimone di dialogo aperto e costruttivo fra forze politiche di culture contrapposte. Affronteremo in ognuno del 4 momenti previsti una caratteristica della sua azione politica e del suo pensiero: il dialogo, la pace, l’Europa, la famiglia. Concludo: i testi di Igino Giordani mi accompagnano da tempo, ma in questi giorni ho avuto modo di rileggere a fondo alcuni scritti, per preparare questi incontri. Una delle espressioni di Igino Giordani che mi ha colpito e che vorrei richiamare qui, descrive, per così dire, la strategia di diffusione adottata dai cristiani entro i confini dell’impero romano: “…Questo principio (quello dell’amore) penetrò nello scheletro della società antica come un’anima nuova e le diede un’altra vita.” (da “La carità, principio sociale” del ’55). Lui parlava dei cristiani, ma ha fotografato se stesso e ciò che lo ha caratterizzato nella sua vita: questo vogliamo anche noi ripetere: non sfasciare gli istituti della vita civile e politica quanto dare ad essi uno spirito nuovo. (altro…)