La terza fase di Genfest 2024, svoltasi ad Aparecida (Brasile), ha incluso laboratori organizzati dalle cosiddette United World Communities, luoghi di incontro in cui i giovani possono condividere i loro talenti e le loro passioni. Queste communities offrono l’opportunità di scoprire persone di talento, forme concrete di impegno e di avviare azioni e progetti finalizzati alla costruzione di un mondo più unito, che mirano a rispondere alle sfide locali e globali del mondo di oggi; ad attivare processi di cambiamento personale e collettivo; a far crescere la fratellanza e la reciprocità in tutte le dimensioni della vita umana. Una caratteristica importante di queste communities è che sono il frutto del lavoro tra persone di diverse generazioni.
Proseguendo le esperienze delle precedenti fasi del Genfest, in questa terza fase i giovani hanno potuto partecipare a laboratori in diversi ambiti, la cui metodologia era basata sulla fraternità e sul dialogo, come una prova per progetti e azioni che ora possono essere sviluppati nella sfera “glocale” (progetti locali con una prospettiva globale). Le attività si sono svolte nei settori dell’economia e del lavoro, dell’interculturalità e del dialogo, della spiritualità e dei diritti umani, della salute e dell’ecologia, dell’arte e dell’impegno sociale, dell’istruzione e della ricerca, della comunicazione e dei media, della cittadinanza attiva e della politica. Le équipe responsabili della gestione dei laboratori erano composte da giovani e professionisti che hanno lavorato intensamente per mesi per organizzare queste attività.
D’ora in poi, le Comunità avranno un metodo di lavoro che consiste in tre fasi: Imparare, Agire e Condividere. La prima (Imparare) è un’esplorazione e un’analisi approfondita dei temi e delle questioni più attuali in ogni community, con l’obiettivo di identificare problemi e presentare soluzioni. La fase successiva (Agire) consiste nella realizzazione di azioni con un impatto principalmente locale, ma con una prospettiva globale. Infine, nella terza fase (Condividere), si propone alla comunità di promuovere spazi di scambio e dialogo continuo tra le iniziative, con l’obiettivo di rafforzare la rete di collaborazione globale. È stata creata un’applicazione – la WebApp United World Communities, – che è uno strumento per la condivisione di idee, esperienze e notizie, oltre che per la promozione di progetti di collaborazione.
“Dio ha visitato il cuore di tutti”
Al termine della terza fase del Genfest, le Communities hanno presentato in modo creativo le loro impressioni e alcuni dei risultati delle attività svolte nei giorni precedenti. Da questo lavoro è nato il documento “The United World Community: One Family, One Common Home”, che sarà il contributo dei partecipanti del Genfest 2024 al “Summit of the Future” delle Nazioni Unite del prossimo settembre. Secondo i giovani che hanno presentato il testo, esso non è un documento conclusivo, ma vuole essere un “programma di vita e di lavoro” per le varie United World Communities, oltre che una testimonianza da presentare al “Summit of the Future”.
“Con le nostre communities non vogliamo fare richieste, formulare slogan o lamentarci con i leader politici”, hanno detto i giovani. “Cerchiamo invece di dare un nome ai nostri sogni comuni, sogni di un mondo unito. Sogni personali e comunitari, che ci guideranno nelle attività che svolgeremo nei prossimi anni”. E hanno concluso: “Speriamo che vivendoli, ‘insieme’ e passo dopo passo, diventino segni di speranza per altri”.
Alla conclusione del Genfest 2024 sono intervenuti anche Margaret Karram e Jesús Morán, Presidente e Copresidente del Movimento dei Focolari. Jesús Morán ha affermato che, sebbene l’esperienza della cura sia stata la più vissuta nella storia dell’umanità, non quella sulla quale più si è riflettuto.
Questa situazione ha iniziato a cambiare, come ha dimostrato il Genfest, nel quale è emersa la cura come una risposta al bisogno di dignità umana. In questo senso, ha concluso, è importante che i giovani rimangano connessi a questa rete globale di comunità generative. Margaret Karram, da parte sua, ha detto di aver visto nel corso dell’esperienza del Genfest che i giovani hanno dato una testimonianza tangibile della loro fede e che sono già in azione per costruire un mondo unito. Per quanto riguarda in particolare la Fase 3, ha sottolineato la ricchezza di questa esperienza per la sua creatività, l’impronta intergenerazionale e interculturale e il fatto che, attraverso le communities, c’è la possibilità concreta di vivere la stessa esperienza del Genfest nella propria vita quotidiana. La Karram ha invitato i giovani a sentirsi protagonisti di queste comunità, il cui fondamento è l’unità. “Vi prego di non perdere questa opportunità unica che stiamo vivendo qui: Dio ha visitato il cuore di ognuno di noi e ora chiama tutti a essere protagonisti e portatori di unità nei vari ambiti in cui sono coinvolti”, ha concluso.
Luís Henrique Marques
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Si arriva a Juruti, nello Stato del Parà, da Santarém, dopo sette ore di motonave, il mezzo più veloce. Con fierezza, i suoi abitanti dicono che questa zona è il cuore della bassa Amazzonia brasiliana, dove l’unica “strada” di collegamento è il Rio delle Amazzoni, il “fiume-mare”, come lo chiamano i nativi. È infatti il primo fiume al mondo per portata d’acqua e il secondo per lunghezza. È lui a scandire il tempo, la vita sociale, il commercio e le relazioni tra i circa 23 milioni di abitanti di questa vastissima regione, dove vive il 55,9% della popolazione indigena brasiliana. Oltre ad essere uno degli ecosistemi più preziosi del pianeta, gli interessi politici ed economici sono causa di conflitti e violenze che continuano a moltiplicarsi quotidianamente. Qui la dirompente bellezza della natura è direttamente proporzionale ai problemi di qualità della vita e sopravvivenza.
Cura, la parola-chiave per l’Amazzonia
“Osservare e ascoltare è la prima cosa che possiamo imparare in Amazzonia” spiega Mons. Bernardo Bahlmann O.F.M., Vescovo di Óbidos, a Margaret Karram e Jesús Morán, Presidente e Copresidente dei Focolari, arrivati per conoscere e vivere alcuni giorni con le comunità dei Focolari della regione. Li accompagnano Marvia Vieira e Aurélio Martins de Oliveira Júnior, co-responsabili nazionali del Movimento, insieme a Bernadette Ngabo e Ángel Bartol del Centro Internazionale del Movimento.
Il Vescovo parla della cultura differenziata di questa terra, dove caratteristiche native convivono con aspetti del mondo occidentale. La convivenza sociale presenta molte sfide: povertà, mancanza di rispetto dei diritti umani, sfruttamento della donna, distruzione del patrimonio forestale. “Tutto questo domanda di ripensare cosa significhi prendersi cura delle ricchezze di questa terra, delle sue tradizioni originarie, del creato, dell’unicità di ogni persona, per trovare, insieme, una strada nuova verso una cultura più integrata”.
Santarém, dove la Chiesa è laica
Un compito impossibile senza il coinvolgimento dei laici, spiega Mons. Ireneu Roman, Vescovo dell’Arcidiocesi di Santarém: “sono loro la vera forza della Chiesa amazzonica”. Nelle sue comunità parrocchiali i catechisti sono circa un migliaio e supportano la formazione cristiana, la liturgia della Parola e i progetti sociali. Mons. Roman domanda alla comunità dei Focolari in Amazzonia di portare il suo contributo specifico: “l’unità nelle strutture ecclesiali e nella società, perché ciò che serve di più a questa terra è ri-imparare la comunione”.
La presenza dei Focolari e il Progetto Amazzonia
La prima comunità maschile del Focolare è arrivata stabilmente a Óbidos nel 2020 su richiesta di Mons. Bahlmann e sei mesi fa si è aperta quella femminile a Juruti. Oggi in Amazzonia ci sono sette focolarini, tra cui un medico, due sacerdoti, una psicologa e un economista.
“Siamo in Amazzonia per supportare il grande lavoro missionario che la Chiesa svolge con i popoli indigeni”, spiegano Marvia Vieira e Aurélio Martins de Oliveira Júnior. “Nel 2003, una delle linee guida della Conferenza Episcopale Brasiliana era incrementare la presenza della Chiesa in questa regione amazzonica, perché la vastità del territorio e la mancanza di sacerdoti rendevano difficile un’adeguata assistenza spirituale e umana”.
Nasce così, 20 anni fa, il “Progetto Amazzonia” dove membri del Movimento dei Focolari provenienti da tutto il Brasile si recano per un periodo in luoghi scelti di comune accordo con le Diocesi, per realizzare azioni di evangelizzazione, corsi di formazione per famiglie, giovani, adolescenti e bambini, visite mediche e psicologiche, cure odontoiatriche e altro.
“Forse non riusciremo a risolvere i tanti problemi di questa gente – dice Edson Gallego, focolarino sacerdote del focolare di Óbidos e parroco – ma possiamo essere loro vicini, condividere gioie e dolori. È quello che cerchiamo di fare da quando siamo arrivati, in comunione con le diverse realtà ecclesiali della città.”
Le focolarine spiegano che non è sempre facile perdere le proprie categorie mentali: “Spesso ci illudiamo di dare risposte, ma siamo noi che usciamo arricchite da ogni incontro, dalla forte presenza di Dio che emerge ovunque: nella natura, ma soprattutto nelle persone”.
Costruire la persona e la società
A Juruti le focolarine collaborano con le realtà della Chiesa che svolgono azioni di promozione umana e sociale. Il “casulo” “Bom Pastor” è una delle 24 scuole materne della città, con una specifica linea pedagogica che forma i bambini alla consapevolezza della propria cultura e tradizioni, al senso comunitario, alla coscienza di sé e dell’altro. Una scelta importante per una formazione integrale e integrata. Mentre l’Ospedale “9 de Abril na Providência de Deus” è gestito dalla Fraternità “São Francisco de Assis na Província de Deus”. Serve la popolazione della città (51.000 abitanti circa), le località vicine e le comunità fluviali, con una particolare attenzione a chi non può permettersi di pagare le cure. Le Apostole del Sacro Cuore di Gesù, invece, animano il Centro di convivenza “Madre Clelia” dove accolgono un centinaio di giovani l’anno, creando alternative di formazione professionale e contribuendo allo sviluppo personale, in particolare dei giovani a rischio.
Anche la comunità del Focolare da anni opera in sinergia con le parrocchie e le organizzazioni ecclesiali. Incontrandola, insieme ad altre comunità venute da lontano, Margaret Karram ringrazia per la generosità, concretezza evangelica e accoglienza: “Avete rinforzato in tutti noi il senso di essere un’unica famiglia mondiale e anche se viviamo distanti, siamo uniti dallo stesso dono e missione: portare la fraternità dove viviamo e in tutto il mondo”.
Promuovere la dignità umana
Attraverso un reticolo di canali che si snodano dentro la foresta amazzonica, a un’ora di barca da Óbidos, si arriva al Mocambo Quilombo Pauxi, una comunità indigena di un migliaio di persone afro-discendenti. È seguita dalla parrocchia di Edson, che cerca di andare almeno una volta al mese per celebrare la Messa e, insieme ai focolarini, condividere, ascoltare, giocare con i bambini. La comunità è composta da circa un migliaio di persone che, pur immerse in una natura paradisiaca, vivono in condizioni particolarmente svantaggiate. Isolamento, lotta per la sopravvivenza, violenza, mancanza di pari diritti, di accesso all’istruzione e alle cure mediche di base, sono le sfide quotidiane che queste comunità fluviali affrontano. Anche qui, da due anni, la diocesi di Óbidos ha attivato il progetto “Força para as mulheres e crianças da Amazônia”. È indirizzato alle donne e all’infanzia e promuove una formazione integrale della persona in ambito spirituale, sanitario, educativo, psicologico, di sostentamento economico. Una giovane madre racconta con fierezza i suoi progressi nel corso di economia domestica: “Ho imparato molto e ho scoperto di avere capacità e idee”.
Certamente si tratta di una goccia nel grande mare delle necessità di questi popoli, “ed è vero – riflette Jesús Morán – che, da soli, noi non risolveremo mai i tanti problemi sociali. La nostra missione, anche qui in Amazzonia, è cambiare i cuori e portare l’unità nella Chiesa e nella società. Ha senso quel che facciamo se le persone orientano la loro vita al bene. È questo il cambiamento”.
Accogliere, condividere, imparare: è questa la “dinamica evangelica” che emerge, ascoltando i focolarini in Amazzonia, dove ciascuna e ciascuno si sente chiamato personalmente da Dio ad essere suo strumento per “ascoltare il grido dell’Amazzonia” (47-52) – come scrive Papa Francesco nella straordinaria esortazione post-sinodale Querida Amazonia – e per contribuire a far crescere una “cultura dell’incontro verso una ‘pluriforme armonia’” (61).
Queste le ultime parole con le quali Papa Francesco ha salutato i giovani e tutti i partecipanti alla S. Messa conclusiva della GMG 2023.
È difficile descrivere ciò che abbiamo vissuto in questi indimenticabili giorni di grazia. So bene che è un luogo comune dire, in questi casi, che bisogna viverlo per capirlo. Ma è vero! È certamente vero in questa occasione. Ho partecipato a quattro GMG, le prime due e le ultime due, e posso testimoniare che c’è qualcosa che circonda questi giorni che non si può spiegare. Un noto personaggio pubblico portoghese, agnostico e amante del cinema, ha scritto in un articolo di giornale che quello che ha contemplato per le strade di Lisbona in questa rovente estate è stato il più bel film che abbia mai visto. Era impossibile non essere contagiati dall’allegria e dalla vivacità che i giovani giunti nella “città della luce” – e che l’hanno riempita con l’altra luce che portavano dentro di sé – riversavano a torrenti: nei quartieri, nei centri commerciali, nella metropolitana, sugli autobus, nei bar, nelle aree verdi o sul cemento, in piccoli gruppi o in grandi piene umane multicolori, sonore, loquaci, multi-carismatiche, con una simpatia che scaldava il cuore.
Camminando in mezzo a loro, vedevo gli abitanti della città, tra il perplesso e il curioso. Se Lisbona, con la sua magica e indescrivibile bellezza, è stata un dono per questi giovani, essi non sono stati di meno per questa città, che sarà orgogliosa di aver visto un milione e mezzo di giovani riunirsi per celebrare la fede in Cristo, cosa assolutamente inedita.
Straordinario il lavoro fatto dalla Chiesa portoghese così come dal Dicastero per i Laici, la Famiglia e la Vita, organizzatore dell’evento”. Così come la città, appunto, e le sue autorità civili. Ma non c’è dubbio che la corona d’alloro sia andata ai giovani. Ma chi avrebbe potuto immaginarlo dopo tre anni di grave pandemia e nel bel mezzo di una crisi istituzionale, come quella che sta attraversando la Chiesa cattolica a causa degli abusi di vario genere! Se oggi la stampa spagnola ha dato risalto al caso di una ragazza con il 5% di capacità visiva che sostiene di aver recuperato la vista nei giorni scorsi, per me il vero miracolo è stata la fede viva di questi giovani, espressa con il loro tipico linguaggio e con un’infinità di gesti audaci e sconcertanti. Infatti, se da un lato hanno mostrato un entusiasmo straripante cantando e ballando, il momento più emblematico – tra l’altro il vero centro di questa giornata – è stata ancora una volta l’adorazione eucaristica della veglia: più di un milione di persone si sono inginocchiate senza che nessuno lo abbia indicato per adorare in un silenzio “assordante” Colui che considerano il “cuore del mondo”!
Era impossibile non commuoversi. E in quel momento, il fado regalatoci dalla cantante Carminho ci ha fatto venire la pelle d’oca: “Tu sei la stella che guida il mio cuore/ Tu sei la stella che ha illuminato il mio cammino/ Tu sei il segno che io guido il destino/ Tu sei la stella e io sono il pellegrino”. E ci si chiede: ma quale forza di attrazione può esercitare un piccolo pezzo di ostia su una così grande folla di giovani sparsi su un campo di oltre 3 km di lunghezza (100 campi di calcio).
Si potrebbe pensare che i giovani che si sono riuniti a Lisbona siano brave persone, con una vita in ordine, giovani educati, che non si sporcano con i problemi degli altri. Niente di più sbagliato. Un gruppo internazionale di loro ha faticato per anni per elaborare un quadro artistico di straordinaria bellezza ed efficacia visiva, attraverso un palcoscenico monumentale, una sorta di impalcatura gigante su cui hanno sfilato quali mimi eterei, lasciandosi cadere legati a delle corde e portando la croce da una parte all’altra, su e giù. La sensazione di vertigine era continua, e la scelta di questo gesto non era casuale: in ogni stazione, con poche note di riflessione orale e molta visualità, veniva espressa con crudezza la vertigine che informa la vita dei giovani d’oggi: dipendenze, mancanza di senso, futuro incerto, disprezzo per la vita, relazioni tossiche. Tutti motivi che la croce portava, o meglio, il crocifisso portava sulle spalle, per essere poi trasfigurati in nuova vita.
Certamente i momenti chiave di questa GMG, come delle precedenti, sono stati gli incontri con il Papa. Un altro elemento sconcertante e tipico di questo evento: perché i giovani amano così tanto i papi, indipendentemente dal loro carattere (dei papi), sia esso tradizionale, intellettuale o riformista?
Ma al di là di questi punti salienti, il programma di questi giorni è stato costellato da molti altri eventi, minori ma non per questo meno significativi, come i concerti musicali nei centri nevralgici della città, gli incontri per nazionalità, la condivisione con persone impegnate nella Chiesa a livello parrocchiale o associativo, e soprattutto le varie catechesi guidate dai giovani stessi e che hanno avuto come relatori principali i Vescovi di diverse parti del mondo. Tutte occasioni per approfondire il motto della GMG: Rise up.
“Non abbiate paura, fatevi coraggio! Papa Francesco sembrava rivolgersi con queste parole a tutta la Chiesa. Perché non c’è dubbio che ci sia bisogno di coraggio. E in questo i giovani sono chiamati a essere protagonisti.
Sono il presente e il futuro di una Chiesa rinnovata dallo Spirito. Una Chiesa che, come Francesco ha ripetuto più volte, vuole essere una casa per tutti, senza esclusioni, e recuperare l’impulso profetico che la impregna. Una Chiesa che cammina con nuova fiducia, quella che trova in se stessa e oltre se stessa: in Gesù Cristo. Una Chiesa che vuole dare ospitalità a tutta l’umanità nell’umanità risorta di Gesù di Nazareth, come dice un noto teologo.
Forse sono un po’ ottimista, ma in questi giorni ho visto una Chiesa giovane che è un po’ al di là della prova, o almeno è fiduciosa di superarla. Me lo hanno insegnato le migliaia e migliaia di giovani che ho incontrato a Lisbona. Non problematizzano, non si fossilizzano nella critica, anzi, qualcosa (la loro purezza, forse, affinata nel dolore e nell’incertezza) li porta a concentrarsi sul centro della fede con il cuore dei semplici. E, come dice il Maestro, di loro è il Regno dei Cieli (cf. Mt 5, 1-12).
Riassumo in tre immagini tutto ciò che ho voluto esprimere in questo articolo: giovani che camminano, che camminano per tutta Lisbona (simbolo del mondo), a volte stremati dal caldo e dalla fatica accumulata dopo notti di poco sonno. Giovani con la vertigine della croce sulle spalle, su cui sono scritte tutte le loro sofferenze. Giovani inginocchiati in adorazione, consapevoli che in un pezzo di pane c’è tutta la vita, una vita che non passa. La Chiesa viva, quella di sempre, quella di oggi, quella del futuro.
I giovani attendono i prossimi appuntamenti con il Papa a cui si sono preparati da tempo e, in queste prime giornate a Lisbona (Portogallo), hanno partecipato agli incontri “Rise Up”. Scopriamo cosa sono.
Mentre scriviamo, la XXXVIII Giornata Mondiale della Gioventù ha appena fatto il suo giro di boa e le prime 4 intensissime giornate sono ormai parte della vita di oltre mezzo milione di giovani che il 3 agosto 2023 ha accolto Papa Francesco nel cuore di Lisbona (Portogallo), al Parque Eduardo VII, ribattezzato “Collina dell’incontro”, ad indicare la dimensione fondante di questa GMG: la relazione con Dio, con sé stessi e poi con gli altri, per costruire un mondo in pace, sostenibile e fraterno.
Al grido di “Dio ama tutti”, in una Chiesa in cui c’è spazio per tutti, Francesco ha inaugurato ufficialmente la GMG portoghese la cui cronaca quotidiana possiamo leggere nei media. Ciò che invece rischia di passare in secondo piano è il grande lavoro di attualizzazione che la Chiesa, nel senso più universale del termine – fatta dai giovani insieme ai loro educatori, ai sacerdoti e ai Vescovi, alle varie realtà ecclesiali – ha fatto, affinché questa Giornata Mondiale fosse un luogo in cui i ragazzi “si ritrovassero” nelle loro domande, nella ricerca consapevole o meno di Dio per averlo come compagno di vita; nella realizzazione di spazi di condivisione, ispirazione ed ascolto reciproco.
“Rise Up” Meetings: spazi per pensare, condividere, farsi ispirare
Senz’altro una delle novità più grosse di questa edizione sono gli incontri “Rise Up”, il nuovo modello di catechesi della Gmg che invita i giovani a riflettere sui grandi temi affrontati durante il pontificato di Papa Francesco: l’ecologia integrale, l’amicizia sociale e la fratellanza universale, la misericordia.Sono 270 incontri svolti in 30 lingue che si ricollegano tutti al tema generale della GMG: ““Maria si alzò e andò in fretta” (Lc 1,39).
Anche il Movimento dei Focolari è stato coinvolto negli incontri Rise Up – 3 appuntamenti di mezza giornata l’uno – per i pellegrini di lingua inglese, incontrando in media 5000 giovani al giorno. “Mi sono sentita fin da subito protagonista – racconta Eunice, una gen del team organizzatore – e il tema di questa GMG mi ispira molto: anch’io mi sento spinta ad alzarmi ed andare in fretta, come Maria; sento una forte motivazione a dare di più, a superare limiti, stanchezza e difficoltà, come ha fatto lei quando è andata da Elisabetta. Non si è fermata, ma ha amato”. Agli incontri hanno preso la parola Margaret Karram e Jesús Morán, Presidente e Copresidente dei Focolari, insieme al Card. Patrick O’Malley di Boston (Usa), all’Arcivescovo Anthony Fisher di Sydney (Australia) e al Vescovo Robert Barron di Winona-Rochester nel Minnesota (Usa).
I ragazzi della GMG di Lisbona
Fare esperienza dell’amore di Dio e portarlo ovunque ci si trova o ci si sente chiamati è stato il filo conduttore degli incontri scanditi da dinamiche, musica, preghiera e tanta condivisione. “Sentivo che dopo un anno e mezzo di ‘isolamento’ dopo il Covid qualcosa in me era cambiato” – racconta Pete, degli Stati Uniti, alla sua prima GMG. “Ho deciso di venire con i ragazzi della mia Diocesi per mettermi in gioco. Volevo uscire dalla mia zona di confort, conoscere ragazzi di altri Paesi, vedere come loro affrontano i problemi. Ho ancora tante domande, a qualcuna qui ho trovato risposte”.
Anche per i ragazzi della Slovacchia non è stato facile decidere di partire e aprirsi a persone di altre culture e modi di fare. C’è grande attesa per quanto il papa dirà nei prossimi giorni. “Siamo sicuri che le sue parole rimeranno nei nostri cuori per sempre e ci aiuteranno nelle diverse situazioni della vita”.
Questo incontrarsi, riconoscersi fratelli e sorelle è forse il tratto più caratteristico di questo evento; perciò, le testimonianze sono centrali negli incontri Rise Up.
La vita vera al centro
Come quella di Lucas, che vive nell’Amazzonia brasiliana. Alla GMG di Panama è rimasto affascinato dalla figura di Gesù e, tornato a casa, si è impegnato in un progetto di aiuto alle comunità indigene della sua terra. Per 15 giorni, con un team di medici, infermieri e psicologi, insieme ad una ventina di giovani portano aiuti, cure e supporto a molte persone lontane dai centri di cura. “Un’esperienza incredibile: quella di donarmi dalla mattina alla sera, senza sosta” racconta Lucas. “Il Progetto Amazzonia mi ha fatto crescere molto come persona. Il primo frutto di tutto questo sono io: sono cambiato, non sono più lo stesso”.
Sofia, argentina, racconta del suo percorso esistenziale di forte ricerca di senso. Ad un certo punto ha conosciuto la figura della beata Chiara Luce Badano il cui sì a Dio, anche nel dolore, le ha dato la forza di donare la propria vita nella strada di consacrazione nel Movimento dei Focolari. E potremmo andare avanti ancora perché le testimonianze raccontate sono molte, come pure le domande che i giovani hanno rivolto ai vescovi e ai leader che hanno parlato.
“Sono venuta con il mio gruppo di amici a questa GMG – racconta Pat, 19 anni, di Sydney – e questo per me è importante perché credo che per riuscire a fare la differenza nel mondo, ma anche per prendere decisioni personali abbiamo bisogno degli altri. La solitudine è un problema di tanti ragazzi della mia età e io voglio fare qualcosa per questo, cominciando con il voler bene ai miei amici e qui ho capito che questa è la strada giusta”.
Sono tante le domande e anche le paure di questi ragazzi, ma non c’è solo questo: questi ragazzi hanno voglia di aprirsi, conoscere; vengono da storie ed esistenze diverse, spesso opposte eppure sono qui incontrare Papa Francesco e per trovare Dio nella propria vita e incontrare amici con cui condividerlo. La GMG di Lisbona è entrata nel vivo del suo viaggio.
Siamo arrivati alla tappa australiana del viaggio di Margaret Karram e Jesús Morán, Presidente e Copresidente dei Focolari, un continente con straordinarie ricchezze culturali ed una famiglia dei Focolari variegata e multiculturale.
Da Suva a Sydney
In questo viaggio Margaret Karram e Jesús Morán hanno coperto grandi distanze in ogni senso, basti pensare al “salto” dal Giappone alle Isole Fiji. Lo stesso è accaduto il 9 maggio scorso con il volo per l’Australia, dove i villaggi di pescatori della costa meridionale delle Fiji hanno lasciato il posto a quel gioiello scintillante che è la città di Sydney. Le luci del suo iconico porto risplendevano mentre il nostro aereo volteggiava sulla città, che mostrava orgogliosa la sua bellezza.
A darci il benvenuto in molte lingue, in questa metropoli multiculturale, c’era la variegata comunità locale dei Focolari. Provengono dalla Corea del Sud, dalle Filippine, dalla Cina, da Hong Kong, dal Libano, dal Sudan, dall’Iraq, dalla Siria, dal Bangladesh, dal Brasile e, naturalmente, dall’Australia. Sono cattolici, melchiti, caldei, anglicani; i focolari di Sydney seguono anche le città di Brisbane, la capitale australiana Canberra e le zone circostanti.
Incontro con l’arcivescovo di Canberra
Il contatto con la Chiesa locale è sempre una priorità di ogni tappa. In un incontro profondo e pieno di humor, monsignor Christopher Prowse, attuale Arcivescovo di Canberra, ha messo in luce la vita di Mary MacKillop, la prima santa australiana. “Se fosse viva oggi, si sentirebbe molto a suo agio con i Focolari”, ha detto l’Arcivescovo, evidenziando il suo lavoro per il dialogo tra le religioni. Ci ha portato sulla sua tomba e ha pregato affinché, come lei, il carisma dell’unità possa fiorire come una rosa e diffondere il suo profumo in questa terra.
L’arte, porta aperta sulla cultura aborigena
L’arte apre sempre una finestra importante su una cultura indigena, ma per comprendere cosa si sta osservando, la presenza di una guida è fondamentale. Ad accompagnarci ad una mostra di arte aborigena contemporanea presso la Galleria d’arte del New South Wales c’è Alexandra Gaffikin, volontaria inglese che vive a Sydney, con una vasta esperienza nel settore dei musei e del patrimonio culturale.
Le pitture su corteccia, ad esempio, rappresentano storie, ma anche mappe, atti di proprietà e regolamenti. Possono essere tridimensionali, con sotto strati che rivelano persino fonti d’acqua sotterranee. Nella cultura aborigena queste opere d’arte, che originariamente erano dipinte sul corpo umano, sono collezioni viventi che si tramandano da millenni.
Una visita a Sydney
Nonostante gli impegni prefissati, Margaret Karram e Jesús Morán sono riusciti a ritagliarsi anche un po’ di tempo per visitare Sydney, salendo su uno dei tanti traghetti verso “Circular Quay” e l’iconica Opera House. La vista è spettacolare!
Culture diverse, la novità di camminare insieme
Questa visita è stata un’opportunità per i focolarini di tutta la regione – provenienti anche da Perth, Wellington in Nuova Zelanda e dalle Fiji – di ritrovarsi per alcune sessioni significative. È un tempo di riorganizzazione per il Movimento e, di conseguenza, culture molto diverse (si pensi a Corea, Giappone e l’area di lingua cinese, per esempio) si ritrovano a collaborare direttamente.
“Penso che finora non abbiamo capito gli aspetti positivi di tutto ciò, anche se il processo non è stato facile. Credo che vedremo le conseguenze tra qualche anno perché ci sta aiutando ad abbattere davvero tutte le barriere… prima di tutto nei nostri cuori, e le barriere tra le nazioni…
“Se vogliamo avere la pace, dobbiamo averla prima di tutto tra noi focolarini e nelle comunità. Dobbiamo guardare agli altri Paesi come fossero il nostro Paese e scoprire che possiamo essere questa “famiglia collegata (…)”.
“Non dobbiamo dare agli altri la nostra ricchezza, ma aiutarli a scoprire la loro”.
Margaret Karram
Una presenza speciale, nonostante le sfide della salute
Un momento particolarmente significativo è stato quello in cui tre focolarine sposate, gravemente malate, hanno potuto salutare tutti a distanza.
“Voglio solo assicurarvi la mia unità – ha detto una di loro. – Mi ero prenotata ed ero pronta a venire, ma ho dovuto cambiare programma, perché Dio aveva in serbo qualcosa di diverso per me”.
“È bello perché sento che sono dove Dio vuole che sia, anche se non è dove io vorrei essere”, ha detto un’altra.
Fisicamente non posso correre, – ha detto la terza – ma dentro di me ho una gran voglia di farlo, sono così emozionata. L’entusiasmo non ha età”.
Il benvenuto dell’Australia
La cultura aborigena in Australia è la più antica ed ininterrotta al mondo e risale ad almeno 60.000 anni fa. Il protocollo corretto per qualsiasi evento o incontro in Australia prevede di iniziare con il “benvenuto nel Paese” da parte di un anziano aborigeno, ovvero un riconoscimento formale dei custodi tradizionali di questa terra.
Quando la comunità dei Focolari si è riunita da tutta l’Australia, abbiamo avuto il privilegio di avere tra noi Ali Golding, conosciuta come “zia Ali”, che ha dato il benvenuto a tutti. È un’anziana del popolo Biripi, cresciuta in una missione aborigena. Per oltre 20 anni ha vissuto poi in un sobborgo di Sydney e negli anni ’80, Ali è stata una delle prime assistenti educative aborigene. Nel 2004 ha conseguito il diploma in Teologia.
Ha partecipato a diversi forum locali, nazionali e internazionali, tra cui il New South Wales Reconciliation Council e l’Australians for Native Title and Reconciliation. Un grande contributo per la comprensione e l’approfondimento della cultura e della storia indigena.
La presenza di Ali al nostro evento ha certamente rafforzato l’apprezzamento per questo “tesoro nazionale” e per il ricco patrimonio aborigeno. “È stata una delle accoglienze più sentite che abbia mai sperimentato – ha detto Ali Golding -. Qui ho sentito lo spirito del Creatore”.
Il miglior incontro di tutto il viaggio (finora)
Margaret Karram e Jesús Morán hanno avuto un incontro dinamico e profondo con quasi 30 giovani. Quando è stato chiesto loro di parlare delle sfide, non si sono tirati indietro, ma hanno parlato apertamente dell’indifferenza che affrontano tutti i giorni con i loro coetanei. Non sono molti e le distanze sono enormi.
Margaret Karram ha raccontato i suoi primi anni di vita gen ad Haifa con la sorella e di come abbiano iniziato in pochi, ricevendo il giornale “Gen” per posta. Era orgogliosa di come avevano iniziato e diceva di esserlo in egual modo dei presenti per essere andati avanti nella loro vita gen.
Anche Jesús Morán ha incoraggiato i giovani, rassicurandoli che è positivo condividere le loro difficoltà. “Questo è stato il miglior incontro di tutto il viaggio – ha detto alla fine -. Mi è piaciuto molto”.
Una ricca esperienza
Intervistati su come vivono il dialogo e la fraternità in situazioni di conflitto, Rita Moussallem e Antonio Salimbeni, Consiglieri al Centro Internazionale per l’Asia e l’Oceania, hanno attinto dalla loro esperienza personale.
“Nella mia esperienza di dialogo con persone di altre religioni ho capito che siamo insieme a camminare verso Dio”, ha detto Antonio. E Rita: “Il dialogo è un incontro. Ciò che è veramente importante è incontrare l’altro e scoprire che l’amore scaccia la paura”.
Imparare il “bodysurf” (spirituale)
Il surf è uno degli sport nazionali in Australia ed è molto praticato anche sulla costa di Sydney, con giovani e meno giovani che indossando la muta, prendono la tavola per andare a caccia di onde. Anche il “bodysurfing” è molto diffuso; le persone cavalcano le onde dell’oceano anche senza tavola. Uno spettacolo straordinario!
Ma per arrivare dove ci sono le onde migliori, bisogna prima affrontare quelle potenti che ci arrivano contro: quelle che non vorremmo cavalcare, quelle per cui non siamo pronti.
“Qualcuno mi ha spiegato la dinamica di questo sport e subito mi è venuto in mente il nostro amore per Gesù abbandonato” ha detto Margaret.
Quelli che praticano bodysurfing si immergono in profondità, sotto le onde in arrivo che non vogliono cavalcare, talmente in basso da poter toccare la sabbia sul fondo. In questo modo, evitano di essere travolti dalla potenza dell’oceano. Una volta che l’onda è passata, tornano in superficie per trovare un’onda da cavalcare.
“Come loro non combattono le onde, allo stesso modo non si ‘combattono le prove’, ma si va in fondo al cuore, riconoscendo Gesù in ogni dolore e, continuando ad amarlo si risale, trovando la luce attraverso l’amore”