Apr 26, 2019 | Focolari nel Mondo
Nella parte settentrionale e centrale del Mali da tempo ci sono tensioni e scontri. Due le etnie coinvolte: i dogon e i fulani. Il recente massacro di 160 pastori fulani è stato solo uno dei tanti episodi di una violenza che continua. E intanto anche le Nazioni Unite chiedono azioni urgenti verso la pace. Nel Paese è presente una comunità dei Focolari, della quale fa parte anche Padre E.M.S., che abbiamo intervistato.
I media parlano di violenze di origine inter-etnica. Secondo lei è questa la causa degli scontri? La violenza è presente nel nord del Mali dal 2012 e si è attualmente estesa anche al centro del Paese e soprattutto nei paesi abitati dalla popolazione dogon, la regione di Mopti. Conosco bene queste zone. Ci sono gruppi armati, gruppi di terroristi che si sono stabiliti in questa parte del Paese e che sono stati accolti sia dai dogon che dalle comunità fulani. Pian piano i terroristi, che parlano la lingua fulani, hanno iniziato ad attaccare villaggi dogon. E, visto che l’esercito non è presente in questa zona, i villaggi dogon si sono organizzati per la difesa. Con la complicità di alcuni fulani, hanno chiesto loro di lasciare le zone nelle quali si erano insediati. In realtà non è un conflitto tra etnie, ma i terroristi fanno credere che si tratti di una guerra inter-etnica per meglio guadagnare terreno. I massacri degli ultimi giorni hanno spinto la Chiesa cattolica e quelle evangeliche ad inviare un messaggio congiunto di condoglianze alla nazione diffuso in occasione delle funzioni religiose festive. Come è stato accolto questo gesto? Ogni popolo in difficoltà trova consolazione quando le persone sono solidali con le loro difficoltà. I messaggi e le preghiere organizzate, non solo dalla Chiesa cattolica e da quelle evangeliche, ma anche dalla comunità musulmana, sono state un segnale ben accolto da tutti. E questa esprime l’aspirazione di tutti alla pace. La popolazione del Mali desidera la fine delle violenze. Per questo oggi ci sono molti incontri e confronti per cercare di calmare gli animi da una parte e dall’altra e, anzi, unirsi per vincere insieme la violenza. La popolazione sa con certezza che non si tratta di un conflitto tra dogon e fulani, ma di un problema che coinvolge tutto il Paese.
Come sta vivendo questo momento la comunità dei Focolari in Mali? In Mali c’è una bella comunità del Movimento. Siamo presenti in varie Diocesi. E le attività che si realizzano sono coordinate dalla comunità di Bamako. In Mali non ci sono focolari, ma siamo in stretto contatto con i due che si trovano a Bobo-Dioulasso in Burkina Faso. Quello che ci aiuta in questa situazione è, come Chiara Lubich ha scoperto durante il conflitto che anche lei ha vissuto, che Dio è il solo ideale che non passa. Molti gruppi si stanno organizzando e lavorano per il ritorno della pace. Nella mia Diocesi con i membri del Movimento cerchiamo ogni modo per aiutarci a vivere l’amore fraterno tra noi e con tutti attorno a noi. E preghiamo per la pace chiedendo a ciascuno di implorare da Dio questo dono. E crediamo che Lui ascolterà il nostro grido. Ma vorrei invitare tutti a portare il Mali nelle loro preghiere. Mentre ai maliani, siano essi cristiani (cattolici ed evangelici), musulmani o non credenti, dico che occorre impegnarci per mettere il nostro Paese e la fraternità umana al di sopra e al di là delle nostre differenze. Quello che abbiamo in comune è più di quello che ci divide, non dobbiamo dimenticarlo.
Anna Lisa Innocenti
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Set 19, 2018 | Focolare Worldwide, Focolari nel Mondo, Spiritualità
Ghana, Togo e Benin sono affacciati in verticale sul Golfo di Guinea, paralleli tra loro. Celebri per la varietà e ricchezza del loro paesaggio, questi tre Paesi dell’Africa occidentale conservano antiche tradizioni culturali e tracce di storia, ad esempio negli edifici di epoca coloniale, in Ghana, testimonianza della tratta degli schiavi, o negli insediamenti in argilla e nei Bazar del Togo, o infine nei palazzi reali di Abomey, oggi museo di storia, in Benin. Alla Mariapoli organizzata nel Benin per questo grande territorio «le persone del Benin e Togo sono arrivate in maggioranza vestite con lo stesso tessuto, come si usa qui nelle feste, ma questa volta tutte in bianco» scrivono Bernadette, Mariluz e Flora.
Ospite benvenuto l’Arcivescovo di Cotonou, mons. Roger Houngbédji, la prima volta ad un incontro dei Focolari. 120 i partecipanti, tra cui numerosi adolescenti e bambini, tutti impegnati in laboratori su tematiche inerenti la pratica dell’ideale dell’unità nella vita quotidiana, come stimolo per migliorare la propria vita e incidere nel sociale: economia, rapporto tra genitori e figli, educazione, affettività e sessualità, gestione dello stress. «I bambini hanno giocato “alla città”, incarnando diversi ruoli, in ospedale o al mercato, in palestra o al ristorante. Anche i giovani hanno esposto con sincerità le loro sfide. La mattinata dedicata, con l’autorizzazione del sindaco, alla pulizia del mercato pubblico, imbrattato dai sacchetti di plastica buttati a terra, ha lasciato un segno di bellezza e armonia». Dalla città di Ouidah gli schiavi partivano verso il “Nuovo mondo”. Dopo essere stati venduti per essere acquistati dai bianchi, attraversavano l’oceano incatenati alle stive delle navi. L’ultimo passaggio sulla loro terra nativa era il superamento della “Porta del non ritorno”, oltre la quale non erano più considerati uomini, ma merce. «Sulle loro orme anche noi abbiamo percorso in preghiera la stessa “via crucis”. Alla “Porta” abbiamo chiesto che non vi sia più alcun tipo di schiavitù, ringraziando Dio per la vita dei missionari che in seguito hanno portato in Africa il messaggio cristiano».
Spostandosi verso Ovest, nel Senegal, Ngazobil, a 110 chilometri dalla capitale Dakar, ha ospitato la Mariapoli con 94 partecipanti dal Senegal, Mali e Burkina Faso, Paesi che, sulla sponda meridionale del Sahel, sono toccati da minacce sempre più gravi alla sicurezza dei loro abitanti. «Arrivarci non è stato facile. Due giorni di pullman (solo per l’andata) per chi proveniva dal Mali, e tre dal Burkina Faso, una fatica per i bambini, alcuni veramente piccoli, e per gli anziani, qualcuno con le stampelle». Un viaggio scomodo e in condizioni difficili, pur di partecipare a una Mariapoli definita “oasi”, “città della pace”, a dimostrazione «della grande sete e della ricerca di Dio che c’è nella nostra gente». Scrive Aurora: «Una bella esperienza di comunione nonostante le sfide logistiche, con la presenza del vescovo emerito mons. Jean Noel Diouf. Nana, giovane musulmano del Burkina Faso, ha commentato al termine: “Questi quattro giorni hanno rinforzato la mia fede e mi hanno fatto vedere la bellezza della religione dell’altro”. E Mme Diouf Monique, del Senegal: “Ho capito come comportarmi con le persone di altre chiese e con i musulmani”».
Anche al centro-Sud del continente, nello Zambia, da molti definita “la vera gemma d’Africa” per il suo paesaggio ricco di meraviglie naturali ancora intatte, come le celebri le Cascate Vittoria, si è svolta una Mariapoli. «Il tema scelto “Maria, madre dell’unità” non poteva essere più adatto, vista la grande divisione presente in questo momento nella nostra società. Abbiamo capito meglio che è lei, la Madre per eccellenza, il nostro modello». Tra i partecipanti, persone appartenenti a ogni categoria: «Un momento di riflessione e cambiamento (Jane). Ho imparato cosa significa amare, prendersi cura degli altri, perdonare (Chanda Chiara). Ho incontrato fratelli e sorelle del mio Paese (Celestino)». A cura di Chiara Favotti (altro…)
Mag 17, 2016 | Chiesa, Cultura, Dialogo Interreligioso, Famiglie, Focolare Worldwide, Focolari nel Mondo, Spiritualità

Foto: © Verônica Farias – CSC Audiovisivi
4 giorni dedicati alla esemplificazione e studio delle tradizioni, sia scritte che orali, secondo l’argomento scelto, così come è compreso e vissuto nei vari gruppi etnici del continente. Un confronto con la Sacra Scrittura, col Magistero della Chiesa e con le esperienze e le riflessioni frutto della spiritualità dell’unità. Questa, in sintesi, la metodologia della Scuola per l’Inculturazione, che ha alla base una dinamica relazionale imprescindibile: «Non si può entrare nell’animo di un fratello per comprenderlo, per capirlo… se il nostro è ricco di un’apprensione, di un giudizio...», scriveva Chiara Lubich . «”Farsi uno” significa mettersi di fronte a tutti in posizione di imparare, perché si ha da imparare realmente». Ma da dove ha origine questa esperienza? «Senz’altro è stata un’idea geniale di Chiara Lubich», spiega Maria Magnolfi, 20 anni in Africa, tra Kenya e Sud Africa, dottorato in Sacra Scrittura al Pontificio Istituto Biblico, e che ha accompagnato fin dagli inizi il percorso della Scuola. «Risale a quando Chiara andò a Nairobi, nel maggio 1992, e incontrò il Nunzio e ascoltò le preoccupazioni della Chiesa che si preparava al primo sinodo africano, e quindi ad affrontare anche questo interrogativo sull’inculturazione che tanto fremeva. Fu allora che fondò la Scuola per l’Inculturazione, ispirata alla spiritualità dell’unità, in cui dar spazio allo studio di qualità e pregi delle culture africane, e al frutto dell’incontro tra questi e la vita pura del Vangelo. Non sempre nei contesti ecclesiali è stato facile trovare vie di successo per l’inculturazione. La lettera ricevuta di recente dal card. Arinze ci è sembrata molto significativa. In essa il cardinale esprime la sua gioia per il lavoro fatto in questi anni e dà pieno incoraggiamento a proseguire questo percorso».
Proprietà e lavoro e senso del sacro, la sofferenza e la morte, fino ai processi sociali di riconciliazione, ai percorsi dell’educazione e della comunicazione: sono tra gli argomenti toccati in questi anni, ciascuno con i relativi Atti pubblicati in più lingue. Nel 2013, nell’edizione precedente a quella odierna, si è poi voluto dare spazio a scoprire chi è la persona in Africa. Adesso si intende passare dalla dimensione della persona all’intreccio delle relazioni familiari, consci che in Africa non si può mai prescindere dalla famiglia. Quali le caratteristiche dell’11ª edizione? «Su questo vasto argomento della famiglia – investigando su che cos’è il matrimonio nella cultura Tswana, Zulu, Kikuyo, e ancora in quelle del Burkina Faso, Costa d’Avorio, Congo, Angola, Nigeria, Uganda, Burundi, Camerun, Madagascar… – si sono individuate due direttrici prioritarie di approfondimento» – spiega ancora Maria Magnolfi – «il ruolo uomo-donna e l’istituzione del matrimonio come alleanza e poi la trasmissione dei valori nella famiglia, una tematica che a conclusione della scuola sulla persona era già venuta in grande rilievo. Quali valori? La condivisione, l’accoglienza, la partecipazione, il rispetto per gli anziani quali “depositari di sapienza”, la prontezza a condividere subito secondo le necessità, anche rischiando». Quale il significato della scuola per l’inculturazione? La sua importanza per l’incontro tra le culture africane, e tra queste e le culture extra-africane? Raphael Takougang, focolarino camerunense, avvocato, così lo spiega: «Chiara Lubich nel fondare la Scuola per l’Inculturazione durante il suo viaggio in Kenya nel maggio 1992 ha toccato l’anima del popolo africano. Ha dimostrato di capire l’Africa più di quello che si può pensare. Il suo non è stato solo un atto formale, ma frutto di un amore profondo per un popolo e le sue culture che la storia non sempre ha valorizzato. Da più di vent’anni ormai, “periti” africani, esperti di Sacra Scrittura e del Carisma dell’Unità lavorano per mettere in luce quei Semi del Verbo contenuti nelle varie culture del continente, prima per metterli in luce agli stessi africani, che imparano così a conoscersi ed apprezzarsi di più. In effetti, la diversità e la ricchezza di quelle culture vengono più in rilievo. Poi è un contributo per rendere meglio noto il popolo africano finora poco conosciuto oltre le guerre e le carestie. Il patrimonio culturale che si è via via costituito narra della presenza di Dio nel vissuto quotidiano di quei popoli e può essere un contributo notevole nel dialogo tra i popoli in questo mondo che sempre più sta diventando un “villaggio planetario”». (altro…)
Mag 8, 2015 | Focolare Worldwide, Focolari nel Mondo, Sociale, Spiritualità
Bobo Dioulasso è la seconda città del Burkina Faso, la più vicina a Bamako, capitale del Mali, dove erano stati segnalati alcuni casi di Ebola. Fra le due città c’è un grande scambio sociale ed economico con un continuo via vai di persone e di merci. «Occorreva agire urgentemente per ridurre al massimo il rischio che il virus raggiungesse anche il Burkina – scrive l’équipe del Movimento dei Focolari a Bobo Dioulasso per la sensibilizzazione contro la malattia del virus ebola -. In pratica, occorreva illustrare a più gente possibile le misure di prevenzione, ma la situazione politica del Paese è tale che non sempre un intervento governativo è possibile». «Abbiamo allora deciso di fare qualcosa noi. Félicité è una volontaria, medico epidemiologo presso l’OOAS (Organizzazione della Sanità per l’Africa dell’Ovest). Il suo ruolo è proprio quello di formare il personale sanitario nella lotta contro le epidemie; in particolare ha lavorato nei Paesi più colpiti dal virus, quali Guinea Conakry, Liberia, Sierra Leone. Félicité ha dato subito la sua disponibilità».
«La prima cosa da fare era avvertire il vescovo, che in quel momento però era fuori sede. Siamo allora andati a parlare col vicario generale, l’Abbé Sylvestre, che ci ha assicurato il pieno appoggio della diocesi per esortare clero e fedeli ad informarsi sulle necessarie misure da prendere. Carlo, un focolarino medico del dispensario della Mariapoli Victoria (Man), dalla Costa d’Avorio ci ha inviato gli audiovisivi, che qui poi abbiamo duplicati per i diversi gruppi di giovani e adulti che avrebbero portato avanti la sensibilizzazione. Questo materiale l’abbiamo anche inviato ad un sacerdote e ad un insegnante di altre due città (Dedougou e Toussiana), interessati alla nostra azione. Félicité si è incaricata della formazione dei gruppi, aiutata da 15 suoi studenti di Paesi dell’Africa dell’Ovest inviati dall’OOAS, alcuni dei quali musulmani». «La campagna è cominciata nel novembre 2014, dapprima negli incontri del Movimento dei Focolari, per allargarsi poi ai vari quartieri, alle parrocchie e anche ad un grande raduno per giovani organizzato dalla diocesi di Bobo Dioulasso. Alla domenica siamo andati a parlare nelle chiese. Siamo intervenuti in una radio privata, in quella diocesana e anche nella emittente nazionale, utilizzando le tre lingue qui più parlate: francese, dioula e moré».
«Questa azione è stata l’occasione per conoscere molte persone. Quando Jean-Bernard ha spiegato ai suoi vicini cosa intendesse fare nel quartiere, ognuno ha voluto offrire qualcosa: chi ha procurato l’amplificazione, chi ha invitato un cantante per l’animazione, un altro si è occupato del trasporto del materiale e un altro ancora ha fornito l’acqua da bere. All’incontro erano presenti circa 200 persone. La voce si è sparsa anche nei quartieri vicini e Jean-Bernard ha ripetuto la presentazione più volte. In una, un infermiere professionale si è offerto di rispondere alle domande; in un’altra è venuto un esperto delle lingue locali, ottimo traduttore. Molto riconoscentiI si sono dimostrati i funzionari del Municipio, ai quali era stato chiesto il permesso di manifestare». «Nel frattempo dal Mali si è saputo che la malattia era stata debellata. Il rischio in Burkina Faso era quindi drasticamente diminuito. L’importante ora è continuare a rispettare le misure di prevenzione. È stata, per noi, una grande opportunità per imparare a lavorare insieme per la nostra gente. Ora bisogna andare avanti». (altro…)
Apr 10, 2015 | Famiglie, Focolare Worldwide, Focolari nel Mondo, Sociale
https://vimeo.com/131228522 Cesar, un diciottenne del Ghana, è stato salvato quando ormai stava annegando, avendo bevuto acqua e carburante. Da quella traversata sono state tratte in salvo 72 persone, mentre 32 non ce l’hanno fatta. Maria, nigeriana incinta di sette mesi, riceve una telefonata del padre mentre era per strada col marito e il figlioletto. Diceva loro di non tornare a casa perché la chiesa era stata bruciata e la madre uccisa. Sono scappati con quello che avevano e, arrivati in Libia, avendo soldi per un solo passaggio per l’Italia, è partita solo lei. Il marito ed il piccolo sono rimasti dall’altra parte del Mediterraneo in attesa di un prossimo imbarco. «Sono squarci di vita che spezzano il cuore. Ricordando le parole di Gesù “ero forestiero e mi avete ospitato”, vorremmo essere braccia e cuore per ciascuno di questi profughi». È il racconto di Carla e David di Firenze (Italia), che come famiglia si sono aperti all’accoglienza dei migranti. «Nell’estate del 2013, abbiamo partecipato in Brasile alla Giornata Mondiale della Gioventù insieme ai nostri tre figli. Cogliendo l’occasione, abbiamo trascorso un periodo di missione a Salvador Bahia. Un’esperienza forte che ci ha dilatato il cuore alla condivisione con tante persone nel bisogno. Tornati a casa, abbiamo deciso di riservare all’accoglienza dei migranti parte del B&B che gestiamo. Da quel momento la missione è venuta da noi! Dall’inizio, sono passate 756 persone provenienti da Siria, Pakistan, Nepal, Bangladesh e alcuni paesi dell’Africa. Qualcuno si ferma solo per rifocillarsi e partire per altre mete europee, altri rimangono più a lungo. Ed è qui che i rapporti si stringono fino a diventare più che fraterni.
Una famiglia eritrea, ora in viaggio per la Norvegia, è stata da noi due mesi: lui musulmano, lei cristiana, sei figli lasciati liberi dal padre nella scelta della religione. Appena arrivati la mamma col figlio più piccolo sono stati in ospedale perché disidratati, poi è stata la volta del papà per un’infezione. Ricordiamo la loro gioia per avergli messo in mano il cellulare col quale avvertire i parenti che erano tutti sani e salvi. La domenica siamo stati a messa insieme e proprio in quella minuscola chiesetta alla periferia di Firenze c’era il Card. Betori in visita pastorale. La sua omelia era tutta incentrata sull’accoglienza. Alla fine li ha abbracciati e benedetti tutti. Tre ragazze: una del Mali e una della Libia, entrambe musulmane, giunte assieme ad una giovane fuggita dalla Nigeria dopo aver visto uccidere i genitori perché cristiani. Tra esse si è subito instaurato un rapporto di sorelle e con noi come tra genitori e figlie. Una domenica facevamo insieme una passeggiata e Mersi era molto triste perché proprio in quel giorno la TV aveva annunciato una nuova strage in Nigeria. Finalmente la telefonata: la sorellina era riuscita a scappare in Libia con un amico del padre. La ragazza libica si è subito messa in contatto con la sua famiglia e la bimba – cristiana – è stata ospitata da loro – musulmani.
Un altro affresco: Joy e Lorenz, che ha visto uccidere il padre perché cristiano. Io, David, come operatore sociale, posso salire sull’autobus all’arrivo dei profughi. Lo faccio a rischio malattie, ma so che il primo approccio è fondamentale ed è in quel momento che si riesce a individuare i gruppi che, nel frattempo, si sono creati fra loro. Ho visto che Joy era incinta, così li ho invitati a venire da noi. Anche quando la Prefettura li ha spostati abbiamo continuato ad andare a trovarli; e alla nascita del bimbo, abbiamo portato carrozzina e vestitini che le Famiglie Nuove dei Focolari avevano raccolto per loro. Joy e Lorenz ci hanno chiesto di fare i padrini del piccolo John. Ora questa famiglia è stata mandata in Puglia. Il distacco è stato forte ma il rapporto continua. Ci chiamano mamma e babbo. Quando avranno il permesso di soggiorno definitivo desiderano tornare a vivere vicino a noi». (altro…)