16 Nov 2021 | Focolari nel Mondo, Sociale
Un delivery speciale, un’attività alternativa che la Spiga Dorata (Espiga Dourada), panificio alle porte della Mariapoli Ginetta (San Paolo, Brasile), ha creato per poter garantire il suo servizio quotidiano anche in tempo di pandemia. “Questa emergenza ha cambiato davvero tutto, ma allo stesso tempo ci ha donato una visione nuova, diversa, aggiungerei molto più bella, più libera. Ci siamo accorti delle nuove necessità che le persone hanno”. Sono le parole di Adriana Valle, focolarina italiana trapiantata in Brasile ormai da 41 anni. A pochi passi dalla Mariapoli Ginetta, la cittadella dei Focolari alle porte di San Paolo, Adriana è responsabile della Spiga Dorata (Espiga Dourada), attività messa in piedi nel 1988 sulla strada e, solo in seguito, trasformata in un vero panificio. Oggi come allora, questo luogo offre ai suoi clienti molto più del semplice pane: essere un punto di riferimento per tutti coloro che lo vogliono è una missione che nemmeno il covid è riuscito a frenare. “La pandemia è arrivata così all’improvviso da mettere in crisi tutti i nostri piani – continua Adriana. Malgrado fossimo tra le poche attività a poter rimanere aperte, le nuove direttive non ci consentivano di fare il nostro lavoro come sempre. Non potevamo avvicinarci alla gente, servire ai tavoli e il cliente poteva solo entrare e prendere il pane velocemente, privandosi anche di una chiacchierata. Molti non uscivano più di casa e allora ci siamo chiesti cosa potessimo fare per queste persone, per far arrivare loro i nostri prodotti e la nostra presenza in un periodo così difficile. È cosi che è nata l’idea di creare un delivery. Abbiamo ingaggiato un aderente del Movimento dei Focolari che in quel momento era senza lavoro e con un piccolo furgone abbiamo dato il via alle consegne. C’è stata una pioggia di prenotazioni. Abbiamo iniziato a creare nuovi prodotti, ad offrire anche un pasto caldo, fare dei pacchetti con i beni di prima necessità e ci siamo resi conto che, quando le persone ricevevano il loro, erano felici. Inoltre, grazie alla Provvidenza, siamo sempre riusciti a superare la crisi economica e questo ci ha permesso di tenere con noi tutti i nostri dipendenti”. Che tipo di esperienze avete vissuto in questo periodo? “Abbiamo assistito a veri miracoli d’amore in tempo di pandemia. Durante la festa della mamma dello scorso anno era ancora proibito incontrarsi e abbiamo ricevuto tantissime prenotazioni da parte dei figli dei nostri clienti i quali, non potendo far visita alle mamme, volevano inviare loro dei cesti in regalo. Conoscendo i gusti delle persone abbiamo preparato degli ordini ad hoc e scritto anche dei biglietti di auguri. Abbiamo lavorato giorno e notte in quel periodo e la stessa cosa è successa sotto Natale. Riempire la solitudine delle persone, anche solo con un sorriso, non ha prezzo. La pandemia ci ha permesso anche di approfondire la conoscenza con i nostri dipendenti. Molti prendevano i mezzi pubblici per venire al lavoro e questo era davvero un rischio per la loro salute. Allora alcuni giovani e alcuni focolarini si sono offerti di andarli a prendere al mattino e riportarli a casa alla sera. Si è creata una rete bellissima di aiuto e, attraverso questo servizio, avvicinandoci alla loro quotidianità, siamo venuti a conoscenza anche di alcune difficoltà che questi dipendenti vivevano. Ci siamo messi in moto per dare una mano, come si fa in una famiglia, e questo ha davvero coinvolto tutti. Perfino un nostro cliente non credente, sapendo delle difficoltà che hanno alcune persone che conosciamo, ogni mese ci lascia piccole offerte ed è così che, man mano, l’impasto continua a crescere e questo lievito che è l’amore, continua a diffondersi”. Adriana, cosa rappresenta per te oggi la Spiga Dorata? “Questo posto è nato per volere della gente e qui ciascuno può sempre sentirsi a casa. Il nostro è un luogo di passaggio per tantissime persone appartenenti a tutte le classi sociali. Imprenditori, persone facoltose ma anche operai, uomini e donne semplici. Tutti entrano qui e difficilmente lo fanno solo per acquistare qualcosa. A volte vengono per ricevere un buongiorno, per fare due chiacchiere, per chiedere un aiuto. Le persone più povere vengono all’alba per ritirare il pane del giorno prima che noi doniamo, coloro che invece hanno più possibilità magari lasciano un contributo”.
Maria Grazia Berretta
Vedi anche: Brasile: Le “ragazze del pane” | CollegamentoCH (focolare.org) (altro…)
18 Set 2021 | Focolari nel Mondo, Senza categoria, Sociale
È una esperienza di tenacia quella della Cittadella Victoria di Man (Costa d’Avorio) vissuta durante il periodo di pandemia. Il Covid-19 non ha fermato le attività del Centro Sanitario e del Centro Nutrizionale che anche grazie all’aiuto della Comunione dei beni straordinaria lanciata dal Movimento dei Focolari, hanno sostenuto i bisogni di molti. Monica Padovani è una focolarina italiana, ha 53 anni e da venti vive in Africa. Da due anni all’interno della Cittadella dei Focolari di Man (Costa d’Avorio), svolge il ruolo di Educatrice professionale e coordinatrice delle attività al Centro Nutrizionale Supplementare del Focolare (CNSF). Durante la pandemia questo cuore pulsante che coraggiosamente soccorre non ha smesso di battere dando esempio di grande ingegno ed audacia. La creazione di un atelier per la produzione di mascherine, introvabili sul mercato, ha garantito servizi indispensabili ai malati presso il CNSF e il Centro Medico adiacente e gli aiuti ricevuti sono stati fondamentali per poter continuare ad accogliere. Cosa ha significato per la Cittadella Victoria vivere l’emergenza in questa catena d’amore continua? Molte sono le sfide che si sono affrontate in questo anno ma con gioia possiamo affermare di averne superate tante. Le misure di restrizione prese nel Paese a inizio pandemia hanno permesso di contenere la diffusione della malattia nella zona limitrofa alla capitale, Abidjian. A Man, dove si trova la nostra Cittadella, le conseguenze sono soprattutto di carattere economico-sociale ed hanno purtroppo inciso su una situazione già fragile, colpendo in particolare le fasce più povere della popolazione. Fortunatamente le attività del Centro Sanitario e del Centro Nutrizionale sono continuate, seppur con un rallentamento, e gli aiuti ricevuti hanno sostenuto varie attività d’emergenza, permettendo inoltre l’impiego di una infermiera aggiuntiva. Con un’équipe rafforzata si sono potuti accogliere meglio i casi di malnutrizione infantile, sostenere tantissime mamme in difficoltà e dare risposte concrete alle varie necessità. Soccorrere sembra essere stato il vostro modo di “abbracciare” l’altro. Qualche esperienza che portate particolarmente nel cuore? Ogni caso è unico ma, tra i tanti, quello della piccola di un giorno, nata prematura, ci ha commosso particolarmente. Dopo il parto la bimba pesava solo un kg e i genitori sono stati indirizzati alla pediatria con l’esigenza urgente di un lettino termico. Per difficoltà varie non hanno potuto adeguarsi a questa necessità ed è stato al CNSF che hanno ricevuto i primi soccorsi. La bimba e la mamma sono state aiutate nelle prime poppate ed è stato assicurato loro un ambiente sereno e tranquillo dove poter restare al caldo e a stretto contatto. Grazie a questi piccoli gesti la piccolina ha preso forza e peso e presto festeggerà un anno in gran forma. Il verbo “nutrire” ha assunto nuovi significati durante la pandemia? Il termine nutrire, nell’esperienza quotidiana al CNSF, ha un significato sicuramente più ampio. Certamente riguarda il cibo, la prevenzione e la lotta contro la malnutrizione. Tuttavia, “nutrire”, riguarda anche la possibilità di dare ciò di cui quella persona ha realmente bisogno in quel momento, come un consiglio, un incoraggiamento, un’attenzione speciale. Ecco, il Covid ha sottolineato proprio questo aspetto: una maggiore attenzione all’altro. È così che abbiamo compreso che le cose che ai nostri occhi risultano spesso“semplici” per altri possono essere vitali.
Maria Grazia Berretta
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12 Mag 2021 | Focolari nel Mondo, Sociale
Dalla condivisione di beni materiali all’offerta di supporto spirituale ed emotivo, tutti gli sforzi sembrano una goccia nel vasto oceano della tragedia del Covid-19 in India. Eppure le comunità locali continuano a combattere con fede in Dio e fiducia reciproca.
“È passata esattamente una settimana da quando siamo risultati positivi al test. Non stiamo cercando su Internet nessuna informazione e non ci permettiamo di guardare il telegiornale, né di lamentarci di nulla. Stiamo prendendo un giorno alla volta. Migliorando. Le vostre preghiere, i messaggi, gli auguri e il cibo pieno di calore hanno continuato a darci forza e possiamo sentire la vicinanza ed il sostegno di ognuno di voi. Continuiamo ad offrire gratitudine per le più piccole benedizioni che ci sono state date”. Questo messaggio WhatsApp diffuso da una famiglia della comunità dei Focolari di Mumbai è stato un raggio di speranza e di coraggio in questi tempi bui. Non passa giorno senza ricevere notizie del decesso di colleghi, amici e, a volte, anche di familiari. Tutto questo si aggiunge al costante richiamo attraverso tutti i media di sistemi che crollano e famiglie che non riescono a dare dignità ai loro cari malati o defunti. Con una popolazione di 1,3 miliardi di persone, ci si aspettava un alto tasso di casi in India. Per un anno intero, fino allo scorso aprile, il Paese è riuscito a frenare la diffusione attraverso varie misure, dal rigido lockdown al tracciamento di contatti e alle vaccinazioni di massa. Tuttavia ora la situazione sta peggiorando ogni giorno, mentre il virus muta in varie parti del Paese e il sistema sanitario pubblico lotta per tenere il passo con una domanda senza precedenti di medicine, ossigeno e ventilatori.
Durante la pandemia la comunità dei Focolari ha lavorato senza sosta e ha rilanciato una comunione di beni a livello nazionale per mostrare vicinanza e offrire un aiuto economico a chi ha perso il lavoro o ha bisogno di fondi per le provviste quotidiane. Il progetto Udisha dei Focolari in India ha potuto raggiungere quasi 80 famiglie in alcune comunità a basso reddito di Mumbai, fornendo loro generi alimentari, medicine, tasse scolastiche, libri, affitto della casa, bollette elettriche, ecc. In mezzo all’infuriare della seconda ondata, alcuni giovani continuano il loro lavoro per il progetto #DaretoCare servendo pasti cucinati in casa ai senzatetto una volta ogni due settimane. Con l’obiettivo di salvare vite umane, gran parte degli sforzi e delle energie delle comunità dei Focolari sono ora rivolti all’assistenza sanitaria. Quando è arrivata una richiesta urgente dal Holy Family Hospital di Mumbai per dei concentratori di ossigeno per i loro 160 letti del reparto Covid, la comunità ha trovato subito degli sponsor per due macchine e ora ne sta cercando altri. Mentre la seconda ondata continua a martellare con tutta la sua forza, le famiglie dei Focolari hanno sentito il bisogno di sostenersi a vicenda più da vicino e hanno iniziato a collegarsi quotidianamente per pregare insieme per mezz’ora, trovando il sostegno così necessario nel dolore, nell’impotenza e anche nella solitudine di alcuni. Come nei primi tempi del Movimento, quando la comunità di Trento (Italia) ha scoperto che Dio è Amore pur nell’infuriare della seconda guerra mondiale, la preghiera online con la comunità indiana sta diventando un modo potente per esprimere il loro essere una sola famiglia, tutti uguali e uniti nell’amore di Dio.
Annabel Dsouza da Mumbai, India
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28 Apr 2021 | Cultura, Sociale
La prima offerta accademica della sede latinoamericana dell’Istituto Universitario Sophia è un corso di diploma dedicato alla leadership partecipativa, inclusiva, attenta al gruppo e all’ambiente: una leadership comunitaria. Quali gli argomenti e le esigenze a cui si vuole rispondere? L’intervista a Lucas Cerviño, docente di teologia e a Candela Fraccaro, studentessa argentina Nel mondo di oggi, segnato da grandi sfide economiche e sociali acuite dalla pandemia, l’Istituto Universitario Sophia in America Latina e Caraibi risponde a queste esigenze con un nuovo corso di Diploma in Leadership Comunitaria. Ne abbiamo parlato con Lucas Cerviño, docente di teologia e co-responsabile della scuola dei giovani nella cittadella dei Focolari El Diamante (Messico), membro del team che coordina il corso. “Viviamo un cambiamento d’epoca, nel quale Papa Francesco (come si legge nell’Evangelii Gaudium) ravvisa una “crisi dell’impegno comunitario” – afferma Cerviño -. Abbiamo pensato che per superare questa condizione in modo positivo è necessario promuovere una leadership nuova, non più personalista, che centralizza la gestione e la decisione. D’altro canto abbiamo visto che in tanti luoghi, in America Latina, ci sono ricerche, esperienze e proposte d’impegno comunitario. Il corso nasce allora per mettere insieme l’esigenza di una leadership rinnovata con questi germogli di vita nuova”. Il mondo di oggi è alle prese con la sfida pandemica. In questo contesto, a quali esigenze si vuole rispondere? Lucas Cerviño: “Crediamo che per superare la pandemia serva lavorare insieme al di là delle diversità, promuovere la consapevolezza che abbiamo un’origine comune, un’interdipendenza nel presente e un orizzonte comune. Il nostro corso vuole offrire un contributo in questa direzione”.
Quali sono gli argomenti e gli obiettivi di formazione del corso? Lucas Cerviño: “Il corso si rivolge a tutti coloro che hanno, o si candidano ad avere, un ruolo di leadership in ambito economico, politico, religioso e nel terzo settore, e offre loro la possibilità di ripensare o strutturare nel concreto la propria leadership. A questo scopo offriamo conoscenze, risorse, strategie e abilità per costruire una leadership che sappia generare, custodire e valorizzare i beni relazionali; facilitare pratiche e strumenti sinergici, relazionali e cooperativi per generare processi più sostenibili in diversi ambiti sociali. Rispetto ai contenuti, si indaga il rapporto tra persona e comunità e si parla di sviluppo sostenibile, fraternità e cittadinanza, coesione sociale nella diversità, apprendimento comunitario, gestione economica e comunione, sinodalità ed esperienza religiosa”. Anche la metodica di insegnamento è innovativa… Lucas Cerviño: “Sarebbe una contraddizione offrire un corso sulla leadership comunitaria e poi gestirlo in maniera unilaterale. Bisogna andare oltre il concetto tradizionale di insegnamento per aprirsi ad un apprendimento comunitario e creativo che metta al centro i rapporti interpersonali. Il corso è dunque teorico e insieme pratico. Si articola secondo delle comunità di apprendimento: oltre a seguire le lezioni, i partecipanti si uniscono in gruppi di sei o sette persone e accompagnati da un tutor danno vita ad uno spazio di riflessione e conoscenza comunitaria. Ogni partecipante è poi seguito da un tutor per sviluppare un progetto d’intervento concreto che applichi i contenuti del corso. Le caratteristiche del corso fanno si che tra i partecipanti, che vengono da nove città, ci siano giovani ventenni e persone quasi in pensione; studenti e professionisti. Tutti motivati ad imparare insieme”. Candela Fraccaro è fra gli studenti più giovani. Le abbiamo chiesto: cosa ti ha spinto a seguire un corso sulla leadership comunitaria? Candela Fraccaro: “Mi motiva l’impegno che porto avanti da alcuni anni insieme ad altri ragazzi presso il sobborgo di Piedras Blancas, nella città di Godoy Cruz, vicino Mendoza (Argentina). Qui gestiamo una ludoteca per fare formazione con i bambini attraverso il gioco, teniamo laboratori per gli adolescenti, aiutiamo a fornire pasti ai bambini bisognosi e insieme ai Giovani per un Mondo Unito del Movimento dei Focolari, diamo sostegno ad una scuola. Io guido alcune di queste attività e allora sento che il corso può darmi strumenti per costruire un progetto che ci aiuti ad indirizzare i nostri sforzi”. Il metodo del confronto dialogico è parte integrante del corso. Quali elementi positivi cogli? Candela Fraccaro: “Questo metodo ci invita a valorizzare la diversità, a trasformarla in ricchezza e propone il dialogo come strumento di costruzione comune. È basato sul rispetto, l’ascolto e l’apertura, e offre la possibilità di esprimersi liberamente senza imporre la propria idea. In questo modo il processo di insegnamento-apprendimento è più arricchente e ciascuno si sente parte attiva di questo processo”.
Claudia Di Lorenzi
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19 Mar 2021 | Focolari nel Mondo, Sociale
Nella periferia orientale di Lima in Perù la comunità dei Focolari assiste ogni giorno la gente che vive in estrema povertà, condividendo cibo, aiuti materiali, alfabetizzazione ed esperienze del Vangelo. Huaycán si trova nella periferia orientale di Lima (Perù). Dei 200.000 abitanti, il 90% sono immigrati dalle Ande, in fuga dalla povertà. Conservano le loro tradizioni e la loro lingua, il quechua, l’antica lingua degli Incas. Nelle parti più alte delle colline, la gente vive in estrema povertà. Le loro case hanno pavimenti in terra battuta e una sola stanza (i letti accanto alla cucina), mancano di acqua potabile, elettricità, fognature…. La maggior parte di loro sono venditori ambulanti. Alcune donne fanno le pulizie in casa e alcuni uomini sono operai edili o raccoglitori di rottami. La comunità di Lima ha guardato e scelto questa “ferita di Cristo” per amarla con predilezione. “Siamo arrivati a Huaycán – ricorda Elsa – nel 1998, quando Tata, Carmen, Maria e Milagros ed io portammo la Parola di Vita ad una comunità vicina alla “Scuola Fe y Alegría” delle Suore Francescane. Poi si sono aggiunti Elba, Mario, Lula, Yeri, Fernando e Eury, Cristina… Siamo andati nelle zone alte delle colline e abbiamo condiviso con i più poveri dei poveri le esperienze del Vangelo. Hanno sofferto di malattie, violenza familiare, promiscuità, disoccupazione, droga, fame”. “Ci sedevamo sulle pietre – dice Elba – poi, man mano che diventavano più sicuri, tiravano fuori le loro sedie. In inverno, ci invitavano nelle loro umili stanze. Lì abbiamo incontrato Olinda, la cuoca della scuola, che ha aperto la sua casa per incontrarci. Una bella persona, il nostro punto di riferimento locale. La morte di suo figlio prima e la sua morte improvvisa poi, ci hanno causato molto dolore”.
Per alleviare i bisogni, la comunità di Lima ha lanciato diverse iniziative: aiuti materiali, sostegno educativo per i bambini, formazione e alfabetizzazione per gli adulti, sostegno psicologico, follow-up e assistenza sanitaria, vendita di vestiti di seconda mano. “Ogni anno festeggiamo insieme il Natale e la festa della mamma, organizziamo gite e alcuni partecipano alla Mariapoli annuale – ricorda Mario -. Una coppia, dopo essersi preparata, si è sposata durante una delle Mariapoli, in presenza dei loro cinque figli e parenti. È stato un evento che ha segnato la loro vita, come la vita di tanti altri che hanno incontrato il Dio dell’Amore”. “Con la pandemia – continua Cristina – molti hanno perso il lavoro e non hanno abbastanza per nutrire i loro figli. Ci siamo organizzati con alcune famiglie per procurare il cibo necessario e distribuirlo ai più bisognosi. Una donna ha installato un forno, che era rimasto inattivo, per produrre pane. Da marzo a giugno, abbiamo distribuito 140 cesti di cibo e 12.720 pani. Abbiamo incontrato la comunità più povera Granja Verde, bisognosa di una sala da pranzo dove preparare il cibo. Ci siamo organizzati: hanno offerto un pezzo di terra e hanno posato il pavimento di cemento. Abbiamo fornito la cucina con gli utensili necessari e un serbatoio di 2.500 litri di acqua potabile. La sala da pranzo è stata inaugurata il 15 novembre 2020 e ha iniziato a funzionare il giorno seguente. Oggi produciamo 100 pasti al giorno. Sappiamo, come ci ricorda Papa Francesco, che se ci dimentichiamo dei poveri, Dio si dimenticherà di noi. Huaycán, il punto dolente di Cristo, è il nostro preferito e la nostra grande opportunità di ottenere la benedizione di Dio”.
Gustavo E. Clariá
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