Nov 13, 2018 | Chiesa, Dialogo Interreligioso, Focolare Worldwide, Focolari nel Mondo, Spiritualità
Un lago talmente limpido, con il fondo ben visibile, da poterne bere l’acqua con le mani a conca, direttamente dalla canoa. Un mondo perfetto, all’apparenza. Eppure, qua e là, qualche bottiglia di plastica è incastrata a riva, trattenuta da rami bassi. Un pugno nell’occhio in un paesaggio di straordinaria bellezza. Il racconto di Alek, tra i quattro componenti dell’esperienza di “focolare temporaneo” realizzato a Whatì, in Canada, dal 19 luglio al 20 agosto scorso, è ricco di immagini come questa. «Stiamo parlando del grande nord, quasi al circolo polare artico. E di una cittadina di 800 abitanti. Ma sembravano di meno, perché si era da poco concluso il raduno del popolo Tlicho (Tłı̨chǫ nella lingua originale), e per questo motivo molti degli abitanti erano partiti per un periodo di vacanza. I Tlicho appartengono ai Nativi americani (le cosiddette “First Nations”, come vengono chiamate in Canada) sparsi in tutto il Nord America. Fanno parte dei Dene, “Associazione degli Indiani dei Territori del Nordovest”, e abitano un territorio chiamato Tlicho Land, costituito da quattro cittadine, con una popolazione complessiva di quasi 2 mila abitanti. Whatì, nella lingua originale Wha Ti, è una di queste, sul bellissimo lago La Martre, che nel punto di massima estensione misura ben 70 km».
Con un gruppo di ragazzi, Alek e fr. Alain hanno organizzato la pulizia di un tratto delle sue sponde: «Come azione dimostrativa. Ma dopo abbiamo saputo che un abitante del posto ha sensibilizzato il capo villaggio, perché l’azione di ripulitura diventi stabile, lungo tutto l’anno». Anche questo è stato un frutto dell’esperienza del “focolare temporaneo” a Whatì. Il gruppo, oltre che da Alek (italiano, in partenza per Birmingham, Alabama) e da fr. Alain, sacerdote di Montreal, era costituito anche da Lioba, coreana, dal focolare di Vancouver, e Ljubica, da quello di Toronto. Motivo del viaggio: la richiesta del vescovo di Yellowknife, capoluogo dei Territori del Nordovest, di poter avere sul posto (coprendo anche le spese relative) alcune persone della comunità dei Focolari per dare agli abitanti, almeno un mese l’anno, la possibilità di una vicinanza spirituale e di una formazione alla vita evangelica. Contemporaneamente, per una analoga esperienza, un altro gruppo si è diretto nel villaggio di Fort Resolution.
«I primi giorni siamo stati a Yellowknife, provenendo ognuno dalle nostre città, dopo viaggi abbastanza avventurosi a causa del maltempo. Qui abbiamo avuto la possibilità di conoscerci tra di noi e ricevere la benedizione del vescovo. Arrivati insieme a Whatì, vi siamo rimasti in tutto quattro settimane, per rinnovare i rapporti già costruiti l’anno precedente in occasione di un’altra esperienza analoga, conoscere le autorità locali e impegnarci in alcune iniziative del governo della tribù. La seconda settimana abbiamo organizzato un “Bible Camp” per i bambini, e la terza, accogliendo la richiesta dei responsabili del posto, siamo andati a trovare alcuni anziani del villaggio. Con loro è stato molto toccante pregare insieme. Avevamo l’impressione di una comunicazione che andava al di là della difficoltà di comprensione della loro lingua».
La popolazione del posto soffre del difficile passaggio dalla tradizione alla modernità. «Nel giro di una generazione – spiega Alek – si è trovata privata delle radici che ne avevano costituito l’identità più profonda, probabilmente per migliaia di anni. La generazione dei miei coetanei è nata e vissuta nel “teepee” (la tipica tenda costituita da pali, in numero variabile a seconda della grandezza, con una copertura di pelli e un’apertura superiore per consentire la fuoriuscita del fumo) e parla il Tlicho. I loro nipoti non conoscono più la lingua tradizionale, usano il cellulare, sono attratti dal consumismo e da tutte le sue conseguenze, compreso l’uso di alcol e droghe. Tuttavia, la comunità è animata da una fede semplice e profonda, basata sulla lettura della Bibbia e sulla naturale religiosità del suo popolo, ancora sensibile al soprannaturale. Da parte mia, è stata l’occasione per incontrare, faccia a faccia, alcune di queste storie. Tra loro mi sono sentito “al mio posto”, forse come mai prima, anch’io espressione di una carezza di Dio». Chiara Favotti (altro…)
Set 12, 2018 | Centro internazionale, Chiara Lubich, Cultura, Dialogo Interreligioso, Focolare Worldwide, Focolari nel Mondo, Sociale, Spiritualità
Con una lettera indirizzata «alla stimata Presidente Maria Voce», Asabaton Fontem Njifua, la massima autorità tradizionale del luogo dove sorge una cittadella dei Focolari (sud-ovest del Camerun), scrive: «Non ho nulla da dire in particolare – si legge nella missiva inviata il 28 agosto dal Palais d’Azi – se non quello di esprimere la mia più profonda e sincera gratitudine ai membri dell’intero Movimento dei Focolari e soprattutto a coloro che lavorano a Fontem». «Sei ormai al corrente – scrive rivolgendosi a Maria Voce – della crisi sociopolitica che ha colpito il nostro Paese, in particolare le regioni anglofone. Fontem è uno dei villaggi in cui l’impatto della crisi era ed è molto forte». Ricordando l’appellativo attribuito a Chiara Lubich da un suo predecessore, nel 2000, quale “regina inviata da Dio”, il Fon usa parole amare per descrivere la situazione attuale: «Come esseri umani, abbiamo tentato in diversi modi di ripristinare la pace che esisteva una volta e a portare la gente a vivere la vita che Mama Chiara – Mafua Ndem ci ha insegnato, ma la maggior parte, se non tutti i nostri sforzi si sono rivelati inutili. Molti del mio popolo e persino membri del Movimento sono stati vittime della crisi. Mi viene da pensare che proprio le persone che hanno portato a Fontem la vita, la speranza, l’amore, l’unità e la luce di Dio sono sottoposte ora a un trattamento inumano. Il mio cuore piange quando penso che gli sforzi di sviluppo e le infrastrutture portate dal Movimento dei Focolari sono stati distrutti, e non possiamo fare molto per salvarli. Questo e molte altre cose mi spingono a esprimere una sincera gratitudine a tutti i membri del Movimento residenti a Fontem, che hanno resistito alla prova del tempo e sono rimasti fedeli alla causa dell’unità, della pace e dell’amore».
«Nell’attuale crisi – spiega il sovrano – migliaia di persone che sono fuggite dalle loro case hanno trovato rifugio al Centro Mariapoli di Fontem. La mia gratitudine è ancora più grande per il fatto che i focolarini hanno scelto di restare con la mia gente, nonostante il fatto che molti siano scappati dal Paese. Una ricompensa attende ciascuno di loro in Paradiso. In tutto ciò, ho imparato una grande lezione – indicata in maiuscolo dal Fon – quella di VIVERE INSIEME COME UNA FAMIGLIA. Loro sono davvero una famiglia leale. Non ci hanno abbandonato e prego che non ci abbandonino. Il Movimento dei Focolari è come la spina dorsale di Fontem, senza la quale non siamo nulla». Dopo aver chiesto con parole accorate di pregare il Padre per il suo popolo, e perché ritorni la pace nel Camerun, il Fon conclude: «Il nostro più grande desiderio è quello di vivere le parole di Mama Chiara “CHE TUTTI SIANO UNO”. Ricordatevi di noi nella preghiera perché è l’unica cosa di cui abbiamo bisogno ora. L’uomo ha fallito ma Dio non può fallire». A cura di Chiara Favotti Leggi la lettera (in inglese) (altro…)
Gen 31, 2018 | Chiara Lubich, Cultura, Dialogo Interreligioso, Focolare Worldwide, Focolari nel Mondo, Sociale, Spiritualità
Il Camerun, nella regione equatoriale dell’Africa occidentale, si compone, in seguito a due storie coloniali parallele, di due gruppi di regioni che parlano rispettivamente francese e inglese. Le differenze non si limitano alla lingua, ma includono anche aspetti dell’amministrazione pubblica. Una escalation di violenza sta minacciando il Paese, in tutto 23 milioni di abitanti su un territorio di 475 mila chilometri quadrati. Raphaël Takougang, avvocato camerunense, membro dei Focolari ora in Italia, spiega: «La parte francofona divenne indipendente il 1° gennaio 1960. Per la parte anglofona ci fu un referendum, il 1° ottobre 1961, per decidere se unirsi alla vicina Nigeria (già anglofona) o rimanere con il Camerun. Il nord di questa regione scelse di unirsi alla Nigeria, il sud preferì rimanere col Camerun. Nacque così una Repubblica Federale con due stati, il Cameroun Oriental e il Southern Cameroon, ognuno con proprie istituzioni (Parlamento, governo, sistema giuridico, ecc.) e altre a livello federale. Il 20 maggio 1972 un altro referendum diede alla luce la Repubblica Unita del Camerun. Nel 1984, una semplice modifica della costituzione tolse la parola “unita” e il paese prese da allora il nome di Repubblica del Camerun. Dal 1972 in poi il malessere degli anglofoni, in forte minoranza nel Paese, è andato sempre più aumentando e ha preso il nome di “anglophone problem”».
Dal 2016 questa situazione di crisi nella parte anglofona ha scatenato una serie di scioperi, dapprima degli insegnanti, poi degli avvocati. Gli abitanti della cittadella dei Focolari di Fontem, nel cuore della foresta camerunense, spiegano: «Se da una parte i vescovi hanno sempre incoraggiato il dialogo, il boicottaggio delle istituzioni deputate all’educazione e alla giustizia ha dato una svolta inaspettata alla crisi, che si è aggravata con l’escalation di scioperi anche degli esercizi commerciali e dei sistemi di trasporto, secondo una strategia definita “Città Morta”. All’inizio dell’anno scolastico, lo scorso settembre, nessuno studente si è presentato. Nonostante le minacce di rappresaglie per i trasgressori, qua e là, coraggiosamente, alcune scuole hanno riaperto e altre ne stanno seguendo l’esempio. Anche il nostro collegio a Fontem ha ripreso le attività». La cittadella è nata dalla testimonianza di amore concreto di alcuni medici, arrivati lì nel 1966, dopo un appello del vescovo locale a Chiara Lubich, per prendersi cura del popolo Bangwa, affetto da un’altissima mortalità infantile che ne stava causando l’estinzione. In breve tempo, grazie al contributo di persone di ogni parte del mondo, Fontem si è dotata di scuole, di un ospedale e di altre strutture di servizio. Da allora, il popolo Bangwa e diversi altri popoli confinanti si sono incamminati sulla strada della fraternità, visibile ora anche in altre cittadelle nate in questi anni nel continente africano. Con i suoi 80 mila abitanti, Fontem è un centro di incontro e formazione per persone che arrivano da ogni parte dell’Africa e del mondo. Qui scoprono come lo scambio e la collaborazione tra uomini e donne di razze, culture e tradizioni diverse possa portare frutti di fratellanza anche in regioni martoriate da conflitti.
«Il Collegio di Fontem ha subito un attacco – spiegano ancora gli abitanti – ma tante persone del villaggio sono accorse per aiutare studenti e insegnanti, anche a rischio della propria vita. Con l’avvicinarsi del 1° ottobre, data storica per il Camerun anglofono, nella ricorrenza del referendum citato, si temevano manifestazioni violente, e la comunità dei Focolari ha organizzato dei gruppi di preghiere alla quale hanno aderito persone anche di altre regioni del Paese e all’estero. Fino ad ora a Fontem nessuno ha perso la vita. Ogni occasione è propizia per coltivare rapporti con le varie autorità civili, tradizionali ed ecclesiali. Cerchiamo di aiutare quanti avviciniamo ad andare oltre le paure, a creare momenti di famiglia, cominciando da quelli più vicini, spesso confusi da tante voci e dai media. I giovani hanno organizzato delle serate di “talent show” e l’evento “Sports for peace” per promuovere uno spirito positivo». «In tutto questo periodo, pur in mezzo alle difficoltà – concludono – la vita della comunità dei Focolari è andata avanti anche qui. Ci auguriamo che questa sfida di amore verso tutti ci ottenga la capacità di discernere e agire per il bene del nostro Paese». (altro…)
Nov 30, 2017 | Chiesa, Cultura, Dialogo Interreligioso, Ecumenismo, Focolare Worldwide, Focolari nel Mondo, Sociale, Spiritualità
Giunge inattesa la benedizione di papa Francesco agli abitanti della Mariapoli Victoria, una piccola oasi di pace nella città di Man, in Costa d’Avorio, che nei giorni scorsi ha celebrato il Giubileo d’argento. Con un “grazie per l’opera di Evangelizzazione compiuta in questo luogo” Francesco invita a “perseverare coraggiosamente nel servizio dell’unità e della concordia tra gli uomini”, e a proseguire “sul cammino di una fraternità sempre più universale”. Di episodi di fraternità, questo luogo è costellato, a partire dai giorni – passati alla storia – della guerra civile (2002-2003) quando gli abitanti – anche bianchi ed europei, gente di cui si poteva diffidare – hanno deciso di restare, nonostante le autorità invitassero gli stranieri a lasciare il Paese. La testimonianza è stata quella di amare fino alla fine, di aprire le porte per proteggere le persone – 3500 ne sono passate in quei mesi – senza guardare se fossero musulmani o cristiani. Gente che ha rischiato la vita, come Salvatore, Rino, Charles, messi al muro, pronti ad essere uccisi: “Non vi resta che pregare!”, gli hanno detto. Ma se la sono cavata. Adesso la città e il Paese hanno voltato pagina, anche se non c’è una piena riconciliazione politica.
Ma la Mariapoli Victoria non è soltanto l’oasi di pace nel tempo della guerra. È un laboratorio sociale. Con i tre giorni di festa (17-19 novembre) per celebrare i 25 anni, si è voluto dar spazio non solo ai discorsi – e lì il rito è imprescindibile – ma ai fatti. La visita alle attività della cittadella è stato infatti il primo degli appuntamenti in programma: a gruppi gli ospiti hanno visitato il Centro Medico Sociale – nato come un dispensario e negli anni progressivamente rinnovato e ingrandito, con servizi ambulatoriali in day hospital, un dentista, un fisioterapista -, il centro nutrizionale – dove si contrasta la piaga della malnutrizione infantile e si insegnano alle mamme i principi della corretta alimentazione -, il centro informatico – che da semplice internet point è diventato punto di alfabetizzazione informatica e di corsi sempre più specializzanti nell’ambito della comunicazione – e ancora le altre attività imprenditoriali come la falegnameria e la tipografia. In preparazione al 25°, e per coinvolgere la fascia dei teen agers, si è svolto nei mesi precedenti un torneo di calcio – sport molto amato anche da quelle parti – all’insegna della fraternità e del fair play. Non è scontato: infatti due squadre sono state eliminate nel corso della gara. Domenica 19 finalmente la premiazione della squadra vincitrice, non solo per i gol segnati, ma per i punti fair-play acquisiti.
Simbolica a riguardo, l’inaugurazione di una stele nella “Piazza della Fraternità Universale” con un grande dado della pace ben visibile anche da lontano e che riassume l’identità della cittadella, dove la dimensione del rispetto e dell’amore per l’altro vuole trasferirsi in tutti gli aspetti del vivere: dal lavoro allo sport, dalla religione alla famiglia. Celebrazioni ufficiali poi alla parrocchia di S. Maria di Doyagouiné – Maria Regina dell’Africa – affidata ai Focolari fin dagli anni ‘70, molto prima della nascita della cittadella. Presenti, oltre al nunzio apostolico in Costa d’Avorio mons. Joseph Spiteri e al vescovo di Man, Gaspar Bebi Gneba, anche numerose autorità civili: il viceprefetto di Man, madame Djerehe Claude e l’ex ministro Mabri Toikeusse, che è anche presidente della camera regionale e il Re dei Capi tradizionali del Tonpki, Gué Pascal. Hanno espresso la riconoscenza della autorità ivoriane per l’assistenza alla popolazione durante la crisi e in generale per l’azione dei Focolari verso le popolazioni vulnerabili. E anche l’ambasciatore italiano Stefano Lo Savio ha voluto essere presente con un caloroso messaggio. Adesso si guarda avanti. Tre sono le parole chiave a fare da guida nel percorso: accoglienza, formazione, attenzione ai poveri. E alcune piste sono tracciate: con i giovani la musica e lo sport; il rilancio dell’accoglienza per gruppi, insegnanti, famiglie, persone di passaggio che possano fare un’esperienza in loco di una o più settimane; le attività di formazione spirituale e professionale con i vari seminari per imprenditori, giornalisti. Mentre la cittadella si avvia a diventare un centro di formazione globale. Maria Chiara De Lorenzo (altro…)
Giu 22, 2017 | Chiesa, Cultura, Dialogo Interreligioso, Focolare Worldwide, Focolari nel Mondo, Sociale, Spiritualità
Mettersi in ascolto. È questo lo spirito con cui Gabriela Melo e Augusto Parody del Centro internazionale dei Focolari si sono messi in viaggio per visitare le numerose comunità del Movimento che punteggiano l’America latina. E che li ha spinti fino ad Esmeraldas, in Ecuador, sulla costa del Pacifico, area popolata per lo più da afro-ecuadoriani. Il limpido azzurro del cielo si confonde con quello del mare e fa rilucere come pietra preziosa il verdeggiare della vegetazione. Questo incantevole paesaggio cambia repentinamente non appena ci si addentra nell’abitato, e lascia il posto, specie nei quartieri più disagiati come Isla Bonita, Pampon, Puerto Limon, ad agglomerati di baracche di bambù e lamiera. I bambini, a frotte, dalla mattina alla sera giocano sulla strada e sulla spiaggia, per ritrovarli adolescenti e giovani, se non si interviene in tempo, dediti alla droga, all’alcool, al “pandillerismo” (le famigerate scorrerie metropolitane delle gang). Q
ui ad Esmeraldas da oltre trent’anni la spiritualità dell’unità ha messo radici proprio fra la popolazione afro-ecuadoriana: famiglie, giovani, sacerdoti, bambini, che hanno accolto l’annuncio evangelico dell’amore scambievole facendolo diventare legge della loro vita. Un gettito di spiritualità che ha acceso nuova speranza mettendo in moto nuove idee ed energie. È ciò che è avvenuto attorno a don Silvino Mina, anch’egli uno di loro, che attraverso il gruppo Ayuda formatosi nella sua parrocchia, ha potuto andare incontro ai casi più urgenti di bambini e ragazzi di strada. Da qui l’esigenza di dare consistenza a questi aiuti, facendosi portavoce anche presso le Istituzioni. È nata così la Fundación Amiga (1992) e con essa una scuola per ragazzi a rischio, con la finalità di rendere più degna la loro vita e aiutarli, mediante adeguati programmi educativi, ad affrontare il futuro. Facendo leva sul loro grande talento sportivo (Esmeraldas è infatti conosciuta come la culla degli sportivi ecuadoriani), hanno iniziato con una scuola di calcio, seguita da laboratori artigianali gestiti dagli stessi giovani che vagavano per le strade. «Oggi la scuola accoglie 1.700 bambini e ragazzi dai 3 ai 19 anni – spiega don Silvino – con un progetto educativo di formazione globale, dove si cerca di vivere quello che si impara, coinvolgendo tutta la comunità educante: allievi, docenti e genitori. A tutti i ragazzi, ogni giorno viene offerto un pasto sostanzioso, che per tanti è l’unico che possono permettersi; vaccinazioni e cure mediche; educazione alla salute e prevenzione dell’Aids. Curiamo anche la conoscenza della cultura e delle tradizioni afro. E non solo».
L’Ecuador, infatti, è un crocevia di culture millenarie (Quito è stata una delle due antiche capitali degli Inca), dove si parlano diverse lingue amerinde (il Quechua, lo Shuar, lo Tsafiki ed altre). Lo sforzo del governo è proprio quello di recuperare comunità, culture e forme di religiosità locali, per aprire con e fra di esse un dialogo che valorizzi le loro diversità in un’arricchente esperienza di intercultura. Termine questo che nella nuova Costituzione, approvata nel 2008, appare ben undici volte. «E se a questa esigenza socio-politica – osservano Gabriela e Augusto – si aggiunge, come sta avvenendo ad Esmeraldas, l’impegno a vivere il Vangelo, si costruiscono comunità dove trovano spazio e dignità le diverse componenti etniche, linguistiche e religiose, innescando nel quotidiano un processo di integrazione che si allarga a macchia d’olio. Processo che va a tutto vantaggio di quel grande laboratorio di intercultura che è l’Ecuador, Paese che può davvero offrire al mondo un modello imitabile e sostenibile di incontro e di convivenza». (altro…)