Dic 1, 2015 | Chiesa, Dialogo Interreligioso, Ecumenismo, Focolare Worldwide, Focolari nel Mondo, Spiritualità
«Oggi Bangui diviene la capitale spirituale del mondo. L’Anno Santo della Misericordia viene in anticipo in questa Terra. Una terra che soffre da diversi anni la guerra e l’odio, l’incomprensione, la mancanza di pace. Ma in questa terra sofferente ci sono anche tutti i Paesi che stanno passando attraverso la croce della guerra. Bangui diviene la capitale spirituale della preghiera per la misericordia del Padre. Tutti noi chiediamo pace, misericordia, riconciliazione, perdono, amore. Per Bangui, per tutta la Repubblica Centrafricana, per tutto il mondo, per i Paesi che soffrono la guerra chiediamo la pace!». Sono le parole con cui papa Francesco ha preceduto l’apertura della Porta Santa della cattedrale di Bangui, il 29 novembre, attraversandola, subito dopo, da solo, con un gesto intenso e carico di significati. Mentre il Papa è ancora sul volo di ritorno, abbiamo raggiunto telefonicamente a Bangui Geneviève Sanzé, originaria della Repubblica Centrafricana, membro del Pontificio Consiglio per i laici, e che presta attualmente il suo servizio presso il Centro internazionale dei Focolari, in Italia. « Nessuno poteva immaginare quello che è successo nel popolo, ci ha riportato la gioia, la pace!», esordisce. Eppure le attese erano alte, sia da parte cristiana che musulmana: «Ora viene l’uomo di Dio, si diceva. È la chance suprema che Dio ci manda». Un viaggio rischioso, per motivi di sicurezza, ma «nonostante fossero tutti preoccupati e sia stato scoraggiato in tutti modi, il Papa è voluto proprio venire». «E il popolo sente che è venuto per loro, non per un compito o un evento speciale, ma come un padre che vuole incoraggiare – spiega Geneviève -. È stato dai cristiani, cattolici e protestanti, ma anche dai musulmani. Tutti abbiamo preparato il suo arrivo con entusiasmo, anche se cristiani da una parte, musulmani dall’altra, e il Papa è andato da tutti. Tanti pensavano che fosse meglio che annullasse la visita alla moschea, nel quartiere dove nessun cristiano può entrare. Invece è andato lo stesso. E anche lì è stato straordinario».
Papa Francesco, nella messa allo stadio ha invitato i «cari Centrafricani» a «guardare verso il futuro e, forti del cammino già percorso, decidere risolutamente di compiere una nuova tappa nella storia cristiana del vostro Paese» ed esortando ciascuno ad essere «artigiano del rinnovamento umano e spirituale». Il giorno prima aveva ricordato «l’amore per i nemici, che premunisce contro la tentazione della vendetta e contro la spirale delle rappresaglie senza fine», e ancora che «dovunque, anche e soprattutto là dove regnano la violenza, l’odio, l’ingiustizia e la persecuzione, i cristiani sono chiamati a dare testimonianza di questo Dio che è Amore». Con queste parole nel cuore, Geneviève racconta di un episodio cui ha assistito con i propri occhi: «Durante la messa è entrato un musulmano, chiaramente riconoscibile, con un cartello con su scritto “Dio è grande”. I cristiani lo hanno applaudito e, andando verso di lui, lo hanno abbracciato. Vogliono vivere quello che il Papa chiede, questa responsabilità nell’amore e nella misericordia; questa porta aperta che ci riporta tutti in quella grazia. E lo hanno dimostrato con quel gesto». «Quando sono arrivata ho trovato cuori duri. Vedere in due giorni il cambiamento che c’è stato nel popolo è stato straordinario. Il gesto del Papa, poi, dell’apertura della Porta Santa, non è stato solo un atto, ma una vita che lui stesso ha testimoniato, nella misericordia con cui è andato verso tutti: ha portato questo amore di Dio a tutti».
«Il discorso della sindaco di Bangui (e presidente dello stato di transizione) – spiega ancora Geneviève – ha messo davanti al Papa tutti i peccati del nostro Paese, non ha tolto la sua responsabilità; ha chiesto perdono a Dio, chiedendo al Papa che, con la sua benedizione, invochi la grazia del perdono sulla nazione. Trovarsi in cattedrale, sapendo tutto quello che è successo, e vedere che proprio qui papa Francesco apre la porta della misericordia, è stato per me veramente eccezionale. Non ha detto tanto, ma ha saputo mettere il dito nel punto più debole, lanciando lì un appello a tutte le nazioni che fabbricano le armi. E ha chiamato Bangui la capitale spirituale del mondo. Sentire che un paese che ha versato così tanto sangue innocente viene chiamato capitale spirituale, è stato vedere Dio che viene incontro». (altro…)
Nov 23, 2015 | Chiesa, Dialogo Interreligioso, Ecumenismo, Focolare Worldwide, Focolari nel Mondo, Spiritualità
«La chiave di lettura di questo viaggio è da scoprire nel programma e nella scelta delle attività che il Papa svolgerà», scrive Liliane Mugombozi, direttrice di New City, la rivista del Movimento dei Focolari in Kenya. Con lei ripercorriamo le direttrici di un viaggio che si preannuncia importantissimo. «Papa Francesco ha scelto tre Paesi con una grande comunità cattolica, afflitti da varie tensioni: desidera con ciò entrare a far parte, come pastore del popolo, nella scrittura di una nuova pagina della storia dell’Africa oggi nel contesto mondiale, e mettersi in cammino, insieme, alla ricerca di soluzioni ai problemi che stanno a cuore a queste popolazioni». «Chiedo a tutti voi di pregare per questo viaggio – ha chiesto papa Francesco all’Angelus del 22 novembre – affinché sia per tutti questi cari fratelli, e anche per me, un segno di vicinanza e d’amore. Chiediamo insieme alla Madonna di benedire queste care terre, affinché ci sia in esse la pace e la prosperità». Quali le attese? «Ci si aspetta dal suo messaggio una risonanza in tutti i settori della vita, dalla governance, alla gestione dei beni, dalla politica, all’educazione, alla sanità, al dialogo e ai rapporti interreligiosi…». E a chi obietta che Papa Francesco conosce poco l’Africa, l’Arcivescovo di Kinshasa, Repubblica Democratica del Congo, card. Monsengwo, risponde: «È vero. Ma ciò che è veramente favoloso è che lui va dove si soffre. Se non fosse stato per l’epidemia di Ebola, ci sarebbe già andato molto prima». Dal 19 ottobre scorso, quando il Vaticano ha confermato le date del viaggio, innumerevoli analisi hanno accompagnato questo annuncio: «In Kenya – scrive Lili Mugombozi – la lotta contro Al-shabab, responsabile di violenti attacchi negli ultimi anni, è una delle sfide politiche maggiori. «Durante la nostra visita ad limina a Roma, ci aveva fatto delle domande sulla strage di Garissa e ha detto che sarebbe venuto a confortare il popolo del Kenya», afferma Mons. Rotich, presidente della segreteria che si sta occupando della visita. In Uganda, Papa Francesco visiterà i santuari anglicani e cattolici per onorare la memoria dei giovani martiri: 23 anglicani e 22 cattolici uccisi per la loro fede. «Per tanti Ugandesi – spiega ancora Liliane – questo gesto di Francesco, è un ricordo gioioso del lontano 1969, – quando Paolo VI, primo Papa a metter piede sul suolo africano, ha canonizzato i primi santi africani – ma anche un nuovo impegno per il dialogo tra le chiese». «In questo anniversario – scrivono dai Focolari dell’Uganda – ci sentiamo particolarmente interpellati a vivere la santità di popolo».
Nella Repubblica Centrafricana, in un contesto politico teso che suscita preoccupazione, Francesco «per manifestare la vicinanza di tutta la Chiesa a questa Nazione così afflitta ed esortare tutti i centroafricani ad essere sempre più testimoni di misericordia e di riconciliazione» il 29 novembre aprirà la porta santa della cattedrale di Bangui, anticipando simbolicamente l’inizio del Giubileo della Misericordia, e darà un segnale molto forte con il discorso nella Moschea centrale. «In ognuno di questi Paesi – continua la direttrice di New City – il Papa incontrerà i capi di Stato, si rivolgerà al corpo diplomatico, celebrerà una Messa pubblica dove si aspettano migliaia di fedeli e terrà vari incontri con i leader religiosi e con migliaia di giovani. E i poveri, i sofferenti non possono mancare all’appuntamento con lui: incontrerà chi vive nella baraccopoli di Kangemi, alle periferie di Nairobi, i disabili di una casa a Nalukolongo, sobborgo di Kampala in Uganda, e in uno dei campi profughi nella Repubblica Centrafricana». Anche il Movimento dei Focolari accompagna con la preghiera e con la preparazione concreta il viaggio di Francesco in Africa. In Kenya sono presenti nei posti più vari: tra i 10.000 volontari della sicurezza; nelle delegazioni di università, college e parrocchie. La giovane Mary Mutungi dirigerà il coro di 600 universitari durante la Messa con i giovani. Tra i canti proposti, c’è anche “We can find a way to live in Peace“, scritta da una band filippina in occasione del Genfest. In Uganda i membri dei Focolari sono impegnati nei preparativi attraverso le parrocchie. Alcuni hanno la responsabilità del coordinamento per la Diocesi. Geneviève Sanzè, del Centro internazionale dei Focolari, originaria della Repubblica Centrafricana e membro del Pontificio Consiglio per i Laici, sarà presente nell’ultima tappa del viaggio papale. Fidelia, da Bangui, afferma: «C’è tanta speranza nel nostro popolo che la venuta del Papa ci aiuterà a convertirci veramente, e a tendere alla riconciliazione per un pace duratura». Video messaggio di papa Francesco alla vigilia del viaggio in Kenya e Uganda Video messaggio di papa Francesco alla vigilia del viaggio nella Repubblica Centrafricana (altro…)
Nov 11, 2015 | Chiesa, Dialogo Interreligioso, Focolare Worldwide, Focolari nel Mondo, Spiritualità

La famiglia Molu
L’inasprirsi nella Repubblica Centrafricana dei gravi disordini politico-militari non fa cambiare programma a Papa Francesco che da autentico messaggero di pace, nell’omelia di Ognissanti annuncia che il 29 novembre si porterà in quel martoriato Paese. Lì da oltre tre anni si sta consumando uno dei tanti focolai di guerra che punteggiano il pianeta, ai quali neppure la Comunità Internazionale sembra dare peso. Guerre fratricide, guerre dimenticate. Tutto ha inizio nel 2012 con l’occupazione di vaste zone del Paese da parte di gruppi di ribelli, con distruzioni non solo di sedi istituzionali ma anche di tutto ciò che di cristiano incontrano: un fattore nuovo per la Repubblica Centrafricana, prevalentemente cristiana, con una minoranza di musulmani e persone di religioni tradizionali che coabitano pacificamente. Profanazione di chiese, saccheggio delle opere sociali, scuole, ospedali, dispensari, negozi e case di cristiani, portano ad un’altissima emergenza alimentare e sanitaria. Su una popolazione di 5 milioni di abitanti, 820.000 debbono lasciare le proprie case. Non si può più costruire, mandare i figli a scuola, non si può più coltivare. Anche quel terreno comunitario, che una decina d’anni orsono una Fondazione italiana aveva comprato per le famiglie dei Focolari, rimane forzatamente incolto. Un pezzo di terra recintato, un pozzo, la casetta del custode e, di anno in anno, le risorse per acquistare le sementi. Un progetto che consentiva di sfamare le famiglie e anche di ricavare qualcosa vendendo alcuni prodotti, che ora non ci sono più. Rimane attivo il progetto AFN (www.afnonlus.org) di sostegno a distanza per bambini e adolescenti, ma le sottoscrizioni sono solo 89, una goccia nel mare. Nel 2013 Petula e Patrick Moulo, tre figli e due adottati, accolgono nella loro casa di Bangui 34 persone, condividendo quanto hanno. Anche se è tutto limitato – cibo, spazio, coperte – sopperisce l’amore, facendo tutti insieme l’esperienza del “Meglio un pezzo di pane secco nella pace, che l’abbondanza di carne nella discordia” (Prov. 17,1). Fra essi c’è anche una donna musulmana con i suoi piccoli figli. Anche le altre famiglie dei Focolari aprono casa e cuore. La gente cerca di mantenere un atteggiamento pacifico, di non resistenza, con la speranza di attenuare la repressione. Non è così. Quando sembra tutto risolto – la cosiddetta ‘liberazione’ del dicembre 2013 – la guerriglia si riaccende, lasciando una scia di devastazione. Tanti corpi rimangono insepolti. Dopo due mesi si vedono ancora le salme di persone torturate e uccise scendere nel corso dei fiumi. Ci si rifugia nei campi, al freddo e senza mangiare. In ogni famiglia c’è qualcuno rimasto ucciso. Una guerra nascosta, subdola, che in tre anni fa più di 5.000 vittime, sconvolgendo l’intera popolazione con fame, malattie, insicurezza, stipendi a singhiozzo. All’inizio 2015 si apre un periodo di tregua, ma i recenti fatti di sangue del 26 settembre e del 29 ottobre riaccendono il terrore: morti, feriti, case bruciate. In una notte tutti i campi profughi che via via si stavano svuotando si riempiono di nuovo. Nel ‘campo’ dei Focolari dormono (all’aperto) 96 adulti, mentre i loro bambini dormono ammassati nella casetta di Irene e Innocent, i custodi del progetto. La comunità dei Focolari mette insieme il poco che ha: vestiti, cibo, coperte, da condividere con chi tra loro ha perso tutto, portando aiuto anche agli sfollati che si trovano nei vari campi di accoglienza. La popolazione è allo strenuo. Papa Francesco fra poco sarà lì con loro, “per manifestare la vicinanza orante di tutta la Chiesa (…) ed esortare tutti i centroafricani ad essere sempre più testimoni di misericordia e di riconciliazione…”. Ad accompagnarlo saranno le preghiere di tutti noi, insieme ad auspicabili, doverosi, gesti concreti di solidarietà. (altro…)
Ott 9, 2015 | Chiesa, Dialogo Interreligioso, Ecumenismo, Focolare Worldwide, Focolari nel Mondo, Sociale
Difficile quantificare le cifre – fonti Misna riferiscono 60 morti e 300 feriti – e descrivere il susseguirsi dei fatti in un Paese che da marzo 2013, quando un gruppo di ribelli ha rovesciato il presidente in carica, è sprofondato in una grave crisi politica che periodicamente mostra una recrudescenza. Come in questi giorni. «La situazione socio-politica è peggiorata – scrive Geneviève Sanzé, originaria della Repubblica Centro Africana – Famiglie cristiane vivono tra la casa e il bosco, per non farsi trovare in casa (si rischia la vita). Un sacerdote, che vive nel nord dove la situazione è molto tesa, ospita 12.000 rifugiati nella sua parrocchia, al riparo dai proiettili che fioccano da ogni dove. Non sa come curarli e dare loro da mangiare. Nella regione non c’è più nessuna autorità amministrativa, politica o militare e c’è anche il rischio di bombe nei posti affollati». E dal Focolare di Bangui scrivono: «Ci stavamo preparando a fare qualcosa di concreto per la mobilitazione per la pace di cui anche il nostro Paese ha tanto bisogno: una competizione sportiva con squadre miste composte da cristiani e musulmani insieme; una marcia per la riconciliazione, fatta da tutti i gruppi, di etnie, confessioni e religioni diverse; un concerto con vari gruppi musicali, tra cui il nostro, per sensibilizzare l’opinione pubblica sull’esigenza e la necessità della pace per il bene di tutti; proseguire le visite ai rifugiati qui a Bangui, e nella prigione. A queste azioni ad altre ancora, avevamo invitato i nostri amici musulmani, e di varie chiese cristiane per realizzarle insieme ed avevano aderito con entusiasmo». «Il primo appuntamento, fissato per il 26 settembre, non c’è stato, perché quel giorno qui a Bangui è scoppiato un massacro – racconta Bernardine, che lavora in Nunziatura -. Tutto è cominciato con la scoperta di un corpo senza vita di un giovane musulmano in un quartiere abitato dai cristiani. Ma finora non si sa chi l’ha ucciso, in quali condizioni. Nel giro di qualche ora, le case dei non musulmani sono state assalite e molte persone uccise». Morti, saccheggi, distruzione di case, chiese, scuole, uffici degli organismi internazionali, e tanti sfollati, tra i quali alcuni della comunità dei Focolari. C’è chi ha perso parenti vicini. «Ci incoraggiamo a vicenda – scrivono – a continuare ad amare, ognuno dove si trova, pronti a “morire per la nostra gente”. Pregate anche voi con noi, per noi e per tutti quelli che vivono nelle situazioni simili». Per giorni la città è sembrata morta. «Non si andava al lavoro – scrive ancora Bernardine – i negozi chiusi, le uniche macchine sulla strada, quelle delle nazione unite e dei militari francesi. La popolazione ha organizzato una manifestazione richiamando tutti alla disobbedienza civile, chiedendo il ripristino di un’armata nazionale che difenda la popolazione. Durante la manifestazione sono morte altre persone e si è fermato tutto. In questi giorni la situazione è migliorata un po’, abbiamo ripreso le attività, anche se le scuole sono ancora chiuse. Siamo nelle mani di Dio e crediamo sempre al Suo amore, presto o tardi ci sarà la pace anche nella RCA». E questa speranza è sostenuta dall’attesa della visita del Papa alla fine di novembre: «Tutta la popolazione infatti – racconta Fidelia, del focolare di Bangui – senza distinzione di etnie, religioni, aspetta con gioia la sua venuta. Si sente nell’aria che la gente lo attende come portatore di speranza. Tutti si stanno preparando materialmente e spiritualmente per avere il cuore disposto ad accogliere tutte le grazie che la visita di Francesco porterà». (altro…)
Set 11, 2014 | Chiesa, Dialogo Interreligioso, Focolari nel Mondo, Spiritualità
Parla lentamente d. Justin Nary, 42 anni, della Repubblica Centrafricana a Net-working, il recente appuntamento per sacerdoti e seminaristi svoltosi a Loppiano, mentre racconta del suo Paese, balzato agli onori delle cronache da poco più di un anno in seguito alla sanguinosa guerra civile tra musulmani, cristiani e animisti. Un conflitto semi dimenticato che non fa più audience, ma che continua ad avere tutt’oggi pesanti risvolti quotidiani sulla popolazione. «Da tre anni ero parroco in una grande città che, come tutto il Paese, viveva con la psicosi di un imminente conflitto etnico-religioso. Tutto è iniziato quando mi sono reso conto con dolore che tra noi sacerdoti, Pastori e Imam non ci conoscevamo neppure. Dovevo fare qualcosa perché era in gioco la vita della nostra gente». E’ stato così che d. Justin ha coinvolto gli altri leader religiosi in appuntamenti periodici di condivisione, per trovare insieme il modo di indirizzare i fedeli verso uno stile di vita pacifico. Il colpo di stato ad opera di una minoranza musulmana ha fatto velocemente precipitare la situazione e sono iniziati i massacri a danno della popolazione non musulmana. Ma non era finita: una fazione ribelle composta da cristiani e militari di tradizione religiosa locale ha rovesciato nuovamente la situazione, prendendo il potere e mettendo in atto una feroce vendetta verso i musulmani. Chi poteva lasciava la città, ma circa 2.000 musulmani sono corsi a chiedere rifugio in parrocchia e d. Justin ha aperto loro le porte. Non è passato molto tempo che, saputa la cosa, i ribelli vi si sono recati con l’intento di uccidere tutti, a meno che d. Justin avesse trovato una soluzione, prima dello scadere del loro ultimatum.
Il sacerdote continua il racconto: «Avevo fatto il possibile per cercare aiuto presso i militari e le autorità, ma invano. E’ stato mentre celebravo la messa, che ho capito che Dio mi chiedeva di donargli la cosa più grande che avevo, la mia vita. Ho così deciso che sarei rimasto con la mia gente musulmani e non, fino alla fine, cosciente che stavo rischiando con loro di essere massacrato. Di fronte alla mia determinazione anche i miei confratelli, che erano venuti per portarmi via, hanno deciso di fare lo stesso». Mancavano ormai pochissime ore allo scadere dell’ultimatum, quando, all’improvviso, ha squillato il cellulare di d. Justin: era il capo dell’esercito dell’Unione africana che assicurava il suo aiuto con l’invio dell’esercito, arrivato precisamente 17 minuti prima dei ribelli, salvando la vita di tutti. «Dopo un fallito tentativo d’assalto, la maggior parte dei rifugiati è riuscita ad emigrare in Camerun – conclude d. Justin –, mentre circa 800 di loro si trovano ancora in parrocchia. Ciò che mi ha dato la forza nei momenti più difficili è stato domandarmi cosa avrebbero fatto gli amici dei Focolari e Chiara Lubich al mio posto. Mi sono ricordato i suoi incontri con gli amici musulmani, quanto lei li amasse ed è stato subito chiaro: avrebbe dato la sua vita per loro». (altro…)