Movimento dei Focolari

Problem solvers tra Glasgow e la Serbia

Cosa accomuna un gruppo di capi di Stato e alcuni ragazzi in Serbia? Tutti cercano soluzioni ad un problema comune: proteggere il nostro pianeta che soffre. Mentre i grandi della Terra sono radunati nel Regno Unito per la COP26, alcuni giovanissimi serbi ci raccontano di una giornata ecologica che hanno vissuto. “È così che la nostra Storia dovrebbe finire? Il racconto della specie più intelligente condannata dall’essere troppo umana per riuscire a vedere il panorama globale e dal voler perseguire obiettivi a breve termine.” Con voce grave e potente David Attenborough, naturalista e divulgatore scientifico 95enne, ha pronunciato queste parole di fronte ai grandi della Terra durante la COP26. La “Conferenza delle Parti”, organizzata delle Nazioni Unite e iniziata lo scorso 31 ottobre, è incentrata come sempre sul tema del cambiamento climatico. Quest’anno in particolare è percepita da molti come la grande occasione per prendere importanti decisioni riguardo al tema dell’ecologia ed ecologia integrale. Secondo tanti esperti, se non si agisce subito in maniera decisa, sarà troppo tardi. I capi di Stato radunati a Glasgow hanno un grande potere di decisione; ma è anche vero che si respira la necessità di un cambiamento che veda tutti come protagonisti. Un cambiamento fondato da un lato sulla collaborazione tra Stati, dall’altro sulle azioni concrete a livello locale. Interessando ciascuno di noi. Proprio nel corso di questa seconda settimana di accordi e negoziati internazionali, abbiamo deciso di farvi conoscere una breve storia, inviataci da alcuni ragazzi del Movimento dei Focolari in Serbia. Durante una giornata ecologica organizzata alcune settimane fa, questi giovanissimi si sono messi al lavoro per cercare soluzioni intelligenti a problemi concreti, nel rispetto del Creato.  “Siamo i più grandi problem solvers (risolutori di problemi) mai esistiti sulla Terra. – ha continuato Attenborough nel suo discorso alla COP- (…) e la natura è il nostro alleato principale.” Anche questi ragazzi hanno ideato nuovi modi di risolvere i problemi che vivono, cercando di essere ecologici, sostenibili e rinnovabili. Uno dei primi giorni di lavoro della COP26, Papa Francesco ha twittato: “Non c’è più tempo per aspettare; sono troppi, ormai, i volti umani sofferenti di questa crisi climatica. Bisogna agire con urgenza, coraggio e responsabilità per preparare un futuro nel quale l’umanità sia in grado di prendersi cura di sé stessa e della natura.” Ognuno di noi può fare la propria parte, chi all’interno di una conferenza internazionale, chi attraverso un cambiamento della propria routine quotidiana. L’importante è iniziare, da subito, e insieme. Ecco il video della giornata ecologica organizzata da alcuni ragazzi del Movimento dei Focolari in Serbia. Attiva i sottotitoli in italiano o inglese!

Laura Salerno

Giornata Ecologica in Serbia (altro…)

Serbia: costruire una casa, per essere casa

Serbia: costruire una casa, per essere casa

Un padre può permettersi finalmente di acquistare un’abitazione per i propri figli. Ma non ha le risorse economiche e fisiche per ristrutturarla da solo. Una comunità attorno a lui si attiva. Sono venuti in tanti ad aiutarmi, in tre giorni abbiamo potuto rifare il tetto e sostituire i soffitti in terra e paglia con quelli in cartongesso”. Queste le parole di entusiasmo di Janos Kalman, serbo, di nazionalità ungherese, padre di 3 figli. I lavori in corso a casa sua hanno qualcosa di straordinario. Fino a poco tempo fa viveva in una casa fatiscente e senz’acqua fra campi incolti, e il suo sogno era sempre stato averne una propria. Ma non se l’era mai potuta permettere. Grazie all’indennizzo per l’infortunio e alla generosità di tanti, ha potuto finalmente raggiungere la somma per acquistare un immobile. Si presentava però un ulteriore problema. Era da ristrutturare. “Avrei voluto poterla aggiustare – racconta – ma ero cosciente che da solo non ce l’avrei mai fatta.” Janos ha camminato per 10 anni con le stampelle a causa di un incidente sul lavoro. Ad oggi ha ripreso a camminare, ma non riesce ancora a piegare il ginocchio. Aveva bisogno di aiuto nei lavori. È così che la comunità dei Focolari si è messa in moto, mettendo in pratica il motto #daretocare (“osare prendersi cura”), proposto dai Giovani per un Mondo Unito. (www.unitedworldproject.org/daretocare2021) “Abbiamo deciso di fare una lista delle persone che avevano più bisogno – spiega Cinzia Panero, membro dei Focolari in Serbia – alcune erano in difficoltà economiche, altre malate, altre ancora senza una casa.” Tra queste ultime, quella di Janos, a cui rimane ancora del lavoro da fare, “ma l’aiuto che ho ricevuto è per me un grande dono” dice lui stesso. C’è ancora un dato importante che fa la differenza in questa storia: la casa di Janos si trova nella Vojvodina, regione autonoma della Serbia costituita da varie etnie (slovacchi, ruteni, rumeni, croati, con una maggioranza di popolazione di lingua ungherese). Inoltre, ai lavori di ristrutturazione hanno contribuito alcune persone della Repubblica Ceca, raccogliendo denaro per il materiale necessario e inviando in Serbia due partecipanti. Tutto questo con alcune attenzioni: chi ha contribuito economicamente, ad esempio, ha voluto scrivere un messaggio personale indirizzato a chi avrebbe ricevuto la somma inviata. I beneficiari hanno risposto con gratitudine e commozione. Un gesto che aiuta a costruire un senso di famiglia oltre la distanza. Un vero lavoro di squadra tra culture diverse. Tra i volontari che hanno aiutato, ce n’è uno che ha detto: “Oltre ad aiutare qualcuno che ne aveva bisogno, sentivo che stavo anche aiutando me stesso ad uscire dalla mia zona di confort”. Si può andare verso l’altro per costruire una casa. E così, essere casa.

Di Laura Salerno

Guarda il video dell’esperienza   (altro…)

Est Europa e comunione dei beni: provvidenza di Dio

Dalle comunità dei Focolari in Croazia, Macedonia e Serbia: dove si sperimenta la gioia del dare gratuitamente per aiutare chi è in difficoltà “La comunione dei beni che noi facciamo è nata osservando la primitiva comunità cristiana: abbiamo visto che lì facevano la comunione dei beni, e per la comunione dei beni non c’era nessun indigente (..). Allora ecco la formuletta, noi diremo: se tutto il mondo attuasse la comunione dei beni i problemi sociali, i poveri, gli affamati, i diseredati, etc. non ci sarebbero più”. Così Chiara Lubich, fondatrice dei Focolari, lanciando il progetto dell’Economia di Comunione, nel 1991, racconta come è nata nel Movimento la consuetudine di praticare la comunione dei beni, materiali e spirituali. Nel 1943 a Trento la guerra aveva distrutto la città e in molti avevano perso la casa, il lavoro, qualche familiare. Di fronte a tanta disperazione, alla luce delle parole del Vangelo meditate nei rifugi – Chiara e le sue prime compagne decidono di prendersi cura dei più bisognosi: “Avevamo la mira di attuare la comunione dei beni nel massimo raggio possibile per risolvere il problema sociale di Trento. Pensavo: “vi sono due, tre località dove ci sono i poveri…andiamo lì, portiamo il nostro, lo dividiamo con loro”. Un ragionamento semplice, e cioè: noi abbiamo di più, loro hanno di meno; alzeremo il loro livello di vita in modo tale da arrivare tutti ad una certa uguaglianza”. A distanza di ottant’anni, la prassi della comunione dei beni è nel Movimento una realtà sempre viva. Ciascuno dona liberamente secondo le proprie possibilità, spesso esprimendo gratitudine per aver ricevuto. Si moltiplicano le esperienze ovunque nel mondo. Dalla Croazia raccontano: “Sono andato a comprare 10 kg di grano per i miei polli. L’uomo che me l’ha venduto non ha voluto soldi. Ho versato quello che ho risparmiato per la comunione dei beni straordinaria in questo tempo di pandemia”. Certo non è sempre scontato donare beni e denaro, ma l’impegno rafforza il valore del gesto: “Recentemente ho venduto del vino a un vicino. Lui mi ha dato più soldi del dovuto e non ha voluto il resto. L‘ho dato per la comunione dei beni straordinaria, ma non è stata facile, ho dovuto superare un modo di pensare umano”. Comune invece è l’esperienza di ricevere dopo aver donato. È il “Date e vi sarà dato” (Lc 6,38) evangelico che Chiara e le prime compagne sperimentavano concretamente. Dalla Macedonia: “Abbiamo aiutato alcune famiglie rimaste senza lavoro per la crisi dovuta alla pandemia, donando cibo, medicine e materiale scolastico. Piccoli aiuti, ma una di loro ci ha detto che così avevano da mangiare per due settimane. Poco dopo un’altra famiglia ha fatto una donazione che copriva le spese. Tutto circolava”. E comune è anche la gioia di dare e quella di ricevere. In Serbia la comunione dei beni ha raggiunto una famiglia con figli dove padre e madre sono malati e disoccupati. Vivono dei prodotti dell’orto e per pagare le bollette Toni dà un aiuto in parrocchia. “Quando siamo andati a portargli dei soldi lui tornava a casa dopo aver chiesto un prestito per comprare la legna. Abbiamo spiegato loro da dove arrivava l’aiuto ed erano commossi perché sentivano che Dio attraverso di noi li ha “guardati”. La comunione dei beni, in fondo, non è altro che uno strumento della Provvidenza di Dio.

Claudia Di Lorenzi

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Vangelo vissuto:«Abbiate gli stessi sentimenti di Gesù»

Vangelo vissuto:«Abbiate gli stessi sentimenti di Gesù»

Fili staccati «Nei primi anni di matrimonio accadeva spesso che il dialogo fra me e mio marito s’interrompesse per diversità di opinioni. A volte, dopo scontri verbali piuttosto duri, si arrivava al silenzio totale anche per giornate intere. La breve pausa pranzo, al rientro dai rispettivi lavori, veniva occupata dai notiziari TV che Gaetano seguiva con passione. Un giorno, confidando nell’aiuto di Dio, decisi di mandargli un messaggio chiaro: ritornai presto da scuola e preparai un buon pranzetto, la tavola più bella del solito con fiori e una candela accesa. Poi staccai tutti i fili della TV. Arrivando, Gaetano mi chiese stupito se c’era qualche ricorrenza da festeggiare. Ci mettemmo a tavola e, come al solito, cercò di accendere il televisore, ma capì subito che non si trattava di un guasto. Ridendo mi abbracciò, chiedendomi scusa, e insieme ci promettemmo di correggerci sempre per amore l’uno dell’altro. Fu quello un momento importante di crescita nel nostro rapporto». (Giulia – Italia) In cucina «Nel mio turno in cucina non sopportavo i confratelli che passando assaggiavano quello che stavo preparando. Ogni volta ero sempre in difesa per non far toccare nulla. Un giorno, leggendo nel Vangelo il brano della pagliuzza nell’occhio degli altri e della trave nel proprio, mi sono reso conto che il giudizio che mi ero formato verso i miei confratelli mi impediva di voler bene loro. Da allora, quando qualcuno passava in cucina, lo invitavo ad assaggiare quello che stavo preparando e chiedevo consigli, se ad esempio dovevo aggiungere sale o altro. Da allora l’aria nel monastero è cambiata». (Padre Krzysztof – Polonia) 1822414_960_720-01Amare è rischiare «Qualche tempo fa un ragazzo quindicenne analfabeta, già ben avviato sulla strada del furto, ha cominciato a frequentare la nostra casa. Molti ci avevano consigliato di stare attenti ad accoglierlo e valutare bene se non fosse più giusto aiutarlo tenendolo a distanza. Noi però eravamo convinti che in lui c’era Gesù, e bisognava amarlo a fatti, anche a costo di rischiare. Spesso quel ragazzo si tratteneva da noi, usciva con noi, giocava con i nostri figli. Dopo diversi mesi, l’istinto del furto si è fatto sentire di nuovo e ha portato via da casa nostra dei soldi. Quando lo abbiamo scoperto, abbiamo deciso di parlargli. Dopo le prime resistenze lui ha ammesso il fatto e piangendo ci ha chiesto scusa, promettendo di restituire quanto rubato. Ma soprattutto si è rasserenato sapendo che poteva continuare a contare sulla nostra amicizia e che se avesse avuto bisogno di soldi doveva soltanto chiederceli. Ora non ruba più e ha trovato anche un lavoro».  (D. L. – Italia) Collega difficile «Sembrava che un collega mi avesse preso di mira, qualsiasi cosa io facessi lui la contrastava. Finché si trattava di piccoli interventi, sopportavo. Ma a volte, di fronte a realizzazioni impegnative dell’impresa, si metteva contro tutti. Il lavoro era diventato insopportabile. Cosa fare? Il sacerdote con cui ne ho parlato mi ha consigliato innanzitutto di liberarmi dal rancore e dai ricordi negativi, e cercare di guardare il collega con occhi nuovi. Ho provato. Fatto imprevedibile, al successivo incontro di lavoro era diventato un’altra persona! Evidentemente non dipendeva soltanto da lui». (F. L. – Serbia) (altro…)