Movimento dei Focolari
Sharing with Africa, al cuore della Settimana Mondo Unito

Sharing with Africa, al cuore della Settimana Mondo Unito

Ubuntu: io sono perché noi siamo. È su questo concetto cardine di tante culture africane che si incentra il progetto Sharing with Africa. Dal 27 aprile al 4 maggio si sono riuniti a Nairobi un centinaio di giovani da 29 nazioni. Ma cosa è più precisamente l’Ubuntu? Il professor Justus Mbae, decano dell’Università Cattolica dell’Africa dell’Est, lo ha spiegato in un dialogo senza orologio: «Ogni situazione o cosa che ci riguarda personalmente viene dopo la comunità, perché l’individuo è parte di essa ed è attraverso la relazione con le altre persone che la compongono che lui diventa una persona». Nella cittadella dei Focolari, in Kenya, a Sharing with Africa, i giovani si scambiano anche progetti e storie per rispondere alle sfide dei propri Paesi. Sorprendono la creatività e l’impegno, capaci di interrogare anche le istituzioni pubbliche. Il loro manifesto si ispira a un discorso di Chiara Lubich, fondatrice dei Focolari, che suggerisce i passi per cambiare la propria città: scegliere amici che condividono il progetto, scegliere gli ultimi e soccorrerli nelle loro necessità e chiedere con fede a Dio ciò che manca. Così si gettano le fondamenta di una città nuova e si allarga il proprio sguardo al mondo. Benedicto è un giovane infermiere all’ospedale di Iringa (Tanzania). Nel suo Paese, il sangue è davvero un bene prezioso. La sua ordinaria carenza nelle strutture pubbliche è una delle cause di mortalità. Un giorno nel reparto di maternità tante mamme vengono rimandate a casa: nel laboratorio non c’è nessuna sacca di sangue. Benedicto lo confida ai giovani dei Focolari con cui da tempo condivide un cammino spirituale e di attenzione alle necessità di chi è ultimo. La soluzione arriva proprio dal gruppo. Perché non proporre una raccolta pubblica di sangue? «È vero che nel nostro Paese abbiamo poco da condividere, la miseria è talvolta schiacciante. Ma il sangue lo possediamo tutti, è dentro di noi». E così parte una lettera di richiesta e in poche ore si raccolgono 22 sacche. Il capo del laboratorio confessa di non aver mai visto una tale generosità. Era il 2010. Negli ultimi 4 anni l’iniziativa si è estesa al punto di essere un riferimento ufficiale per le istituzioni sanitarie del Paese e in gennaio i giovani della Ruaha University a Iringa e quelli dell’istituto islamico di Dar el Salaam sono diventati donatori volontari. Questo è solo uno degli 800 “frammenti di fraternità, raccolti dal 2012 ad oggi. Li chiamano così per sottolineare che seppur piccole, sono azioni in grado di generare cambiamento e novità. Il resto si trova nell’Atlante della Fraternità, la novità di questa 17° edizione della Settimana Mondo Unito, appuntamento annuale che mostra alle istituzioni internazionali le iniziative che rendono possibile la fraternità fra gli uomini. Apertura ufficiale da Nairobi il 1° maggio, con venti minuti di live streaming che hanno collegato il mondo intero a Sharing with Africa. Maria Voce, presidente dei Focolari, nel suo messaggio di augurio si è congratulata per il “caparbio coraggio” con cui si è lavorato al progetto “immersi nelle vicende complesse del mondo contemporaneo” e all’Atlante, consapevole che si lavora ad “un immane cantiere, ma si tratta del “sogno di un Dio”, come Chiara Lubich amava definirlo. E ciò è anche una garanzia. La fraternità universale non è utopia, anzi: se esige il cammino faticoso dell’umanità ne è pure la prospettiva inarrestabile”. Obiettivo di questo nuovo anno sarà quello di coinvolgere le delegazioni nazionali dell’Unesco nel riconoscimento ufficiale della Settimana Mondo Unito per il contributo offerto all’unità della famiglia umana. A tutti i Giovani per un Mondo Unito: buon lavoro! (altro…)

Sharing with Africa, al cuore della Settimana Mondo Unito

Sharing with Africa, primi passi

«Siamo arrivate alla Mariapoli Piero (Nairobi, Kenya) la mattina del 10 maggio, accolte come sanno fare gli Africani: sorrisi e abbracci gratuiti per tutti! Questo perché al centro delle loro giornate c’è la persona, e lo abbiamo scoperto attraverso le loro vite, i racconti delle loro tribù che ci sono state presentati durante la Scuola d’Inculturazione. È stato arricchente entrare in tutte queste culture, scoprirne i punti in comune e ciò che invece le distingue. Oltre a chi era giunto dai paesi dell’Africa subsahariana, erano presenti una quindicina di giovani provenienti dai paesi vicini al Kenya: Uganda, Tanzania, Burundi, Ruanda, ma anche Madagascar, Zambia, Angola, Malawi…due dal Sudamerica che vivono per un periodo nella cittadella e noi 5: oltre me, Chiara, Giulia, Aurelio e Paula. Ci è stata spiegata la nascita del progetto e proposte due attività: raggiungere i Samburu nella Savana e vivere con loro 4 giorni intervistandoli e conoscendone le radici e il perché della loro cultura; prestare il proprio aiuto fra il centro nutrizionale di Madare, slum di Nairobi, e Njabini, villaggio a 2600 metri di altezza. In un gruppo di 8 abbiamo deciso per la seconda attività. Il primo giorno siamo stati accolti in una cappella di latta, di giorno centro nutrizionale e di sera Tempio di Dio. La realtà dello slum è pesante, c’è una condizione di miseria assoluta, un degrado sociale che tocca il disumano, eppure si innalza la dignità della persona che non molla e che si aggrappa a quell’unica certezza: Dio Amore. Alcune suore italiane, missionarie a Madare dagli anni Settanta, ci hanno confermato quanto sia forte la fede, e quanto questa porti all’aiuto reciproco. La stessa responsabile del centro nutrizionale è nata e cresciuta nello slum; ora, abbracciata la spiritualità dell’unità, ha messo in piedi questa attività dove, oltre ad assicurare un’istruzione minima e due pasti al giorno, insegna ai bambini l’arte di amare attraverso il dado dell’amore. Questi, arrivati a casa, irradiano tutta la famiglia sfidandosi a vicenda in una gara d’amore che rende anche la vita spiritualmente più piena. Il giorno seguente a Njabini. Dopo 3 ore di viaggio, siamo stati accolti da una famiglia composta da Mama Julia, Papa Joseph, Mary, Absunta e Anthony, originari della tribù Kikuyu. Siamo stati con loro 3 giorni, aiutando nei lavori domestici, nei campi e con il bestiame. L’ultima sera, durante un momento di condivisione, ho proprio sentito che quella era ormai diventata la mia famiglia, e non mi sono più sentita una “mzungu” (bianca) in mezzo a loro! E mama Julia ci ha confidato: “Prima che arrivaste pensavo di avere quattro figli, ora sento di averne 8 in più!”. Sento di non essere tornata, perché credo che i viaggi siano di sola andata. Qualcosa in me è cambiato per sempre: sono arricchita di una cultura diametralmente opposta alla mia, e più consapevole dei punti di forza e di debolezza del mio modo di vivere. Una cosa è sicura, ho fatto della filosofia dell'”Ubuntu” la mia filosofia di vita: posso realizzarmi come persona solo nel momento in cui entro in relazione con l’Altro e lo metto al centro della mia vita. Che poi, in fondo, si tratta di quell’amore al fratello predicato da un Tale più di duemila anni fa e che la nostra Chiara ci ha puntualmente ricordato». (Elena D. – Italia) (altro…)

Sharing with Africa, al cuore della Settimana Mondo Unito

Prove di inculturazione

Dal 10 al 13 maggio 2013 la “cittadella Piero”, a Nairobi (Kenya), ospiterà  la Scuola di Inculturazione, un laboratorio che quest’anno ha come tema principale “la persona” nelle varie tradizioni africane. Un gruppo di giovani parteciperà inoltre per la prima tappa del Progetto “Sharing with Africa”. Di seguito il racconto di Giulia, dopo la sua esperienza in Uganda. «Aeroporto di Malpensa, 2 agosto 2011: destinazione “Kampala – Uganda”. L’emozione è tanta, anche se ancora non posso immaginare che quelle quattro settimane diventeranno una delle esperienza più belle e più importanti della mia vita. Per un mese ho condiviso la casa e la quotidianità con un’altra ragazza italiana e tre ugandesi e questo mi ha costretta fin da subito a mettere da parte ogni abitudine “occidentale”, ogni modo di fare o di pensare, per aprirmi a loro e alla loro vita: ma quelli che all’inizio erano piccoli sacrifici, presto sono diventati ricchezza, un nuovo modo di pensare e di relazionarmi con chi avevo intorno. Mi ha colpita la concezione che gli africani hanno della persona: per loro al centro di ogni cosa sta la persona, l’altro, e non il tempo, la fretta, gli impegni. E così, ad esempio, una riunione inizia quando tutti sono arrivati, e non solo quando lo dice l’orologio, o l’autobus parte quando è pieno e tutti sono saliti, e non ad un orario prestabilito. “Come potete voi occidentali basare le vostre giornate sullo scorrere del tempo, che non vi appartiene e non potete controllare in alcun modo?”: una domanda che ancora mi risuona dentro quando mi lascio travolgere dalla frenesia delle giornate, rischiando di ignorare le persone che ho attorno. Tipico dell’Africa sub-sahariana è il concetto di “Ubuntu”, un’espressione che può essere tradotta come “Io sono ciò che sono per merito di ciò che siamo tutti”. A questo proposito, Nelson Mandela ha detto: “Ubuntu non significa non pensare a se stessi; significa piuttosto porsi la domanda: voglio aiutare la comunità che mi sta intorno a migliorare?”. Quanta saggezza in queste parole! E non si tratta solo di parole ma di vita vera, di quotidianità vissuta nella prospettiva del “noi” e non solo dell’”io”: tutto è in comune, tutto è fatto insieme, i figli dei vicini sono come i tuoi e anche l’ospite più sconosciuto che capita per sbaglio in casa tua diventa immediatamente parte della famiglia. Non scorderò mai la commozione provata quando sono stata invitata a pranzo dalla famiglia di una delle mie coinquiline: una casa senza bagno in un quartiere non così diverso da una baraccopoli, eppure la tavola era imbandita e il pasto abbondante. Perché non importa quanti sacrifici ti costi invitare a pranzo le amiche di tua figlia: l’ospitalità, la reciprocità e la condivisione con l’altro contano più di ogni altra cosa. Ho lasciato l’Uganda sentendomi più ricca di prima. Per settimane sono stata straniera, quella con un colore della pelle diverso, una lingua diversa, abitudini diverse; eppure sono sempre stata accolta, ho sempre trovato un sorriso e una stretta di mano, mai mi sono sentita discriminata o fuori posto. Adesso, incontrando per strada i tanti immigrati che abitano nella mia città, mi sembra di vederli con occhi nuovi: cerco di calarmi nei loro panni. Questo pezzo di Africa che ogni giorno sbarca in Europa merita  quella stessa, enorme accoglienza che io per prima, pur straniera e bianca, ho ricevuto in Uganda: è condivisione, è reciprocità, è Ubuntu, è qualcosa che va ben oltre il semplice rispetto per “il diverso”. Che poi, diverso da chi? Poche ore di aereo e “il diverso” sei tu, e ti rendi conto che siamo tutti molto più simili di quanto non si creda». (altro…)