Movimento dei Focolari
Slovacchia: Sono diventata un’attrice per renderti felice

Slovacchia: Sono diventata un’attrice per renderti felice

La storia di Dorotka e della sua famiglia “Qualcosa in più” è il titolo di un film che racconta la storia di Dorotka, una ragazza adolescente di Bratislava, in Slovacchia, affetta dalla sindrome di Down. Un’anomalia genetica che, nonostante le difficoltà, presto si rivela un “valore aggiunto” per tutti quelli che la circondano. Sua mamma Viera racconta cosa succede nel cuore di una famiglia quando si scopre di aspettare un bambino con la sindrome di Down: È stato uno shock! Non ce l’aspettavamo e non avevamo mai visto una persona del genere prima d’ora. Ma Dorotka sembrava proprio come gli altri quattro figli, e sapevamo che di fronte a una situazione sconosciuta il panico non aiuta, serve mantenere il sangue freddo. Ma in segreto, da qualche parte nella mia anima, avevo paura che non saremmo stati in grado di amarla. Nel tempo, cominciarono ad accadere cose straordinarie. Molte persone preziose sono venute nella nostra vita, ci hanno aiutato molto e ci aiutano ancora oggi. I rapporti in famiglia sono diventati più forti. I nostri quattro figli più grandi sono diventati più sensibili, amorevoli e tutta la famiglia è unita come mai prima d’ora. Come si passa dalla sorpresa al sentire questo come un dono? Il nome Dorotka significa dono di Dio. Le abbiamo dato questo nome già durante la gravidanza, sicuri che Dio non fa mai doni cattivi. Avevamo ricevuto qualcosa che non capivamo ma lo sentivamo come una prova della nostra fiducia in Dio. Sentivamo chiaramente che questa era la volontà di Dio per noi. Un nostro amico ci ha inviato una nota con questo testo: “Questa è la vera felicità perché è costruita sul dolore”. Perché avete deciso di condividere la vostra esperienza con altre famiglie? Un medico ci ha presentato ad altre famiglie che avevano figli piccoli con la sindrome di Down. Insieme abbiamo fatto diverse terapie, abbiamo condiviso la nostra esperienza e fondato un’associazione chiamata “Up-Down syndrome”. Volevamo che i bambini crescessero insieme, in modo che non fossero legati solo alla loro famiglia, per prepararli verso una certa indipendenza. Così abbiamo fondato il teatro “Dúhadlo”, che apre nuovi orizzonti per i bambini attraverso la drammaturgia. Come è nata la collaborazione con l’Università di Bratislava? Un nostro amico insegna etica medica alla Facoltà di Medicina. Nove anni fa mi ha invitato a raccontare la nostra storia agli studenti e a far loro conoscere meglio la sindrome di Down. Sono molto grata per questa possibilità. Sentivamo che i giovani medici potevano ancora essere influenzati e nel corso degli anni abbiamo sempre avuto reazioni positive da parte degli studenti. “Qualcosa in più” è il titolo del film che racconta la vita di Dorotka nella sua quotidianità, fra gioie e difficoltà. Perché questo titolo? All’inizio l’intenzione era di fare un breve video per la Giornata Mondiale della Sindrome di Down. Pavol Kadlečík, il regista, non aveva esperienza con queste persone e rimase così stupito che decise di fare un film più lungo. Nessuno di noi sapeva che alla fine sarebbe stato prodotto un documentario così bello. La sindrome di Down è una malattia genetica in cui il 21° cromosoma non forma una coppia, ma una terzina. Pertanto, questa diagnosi viene chiamata anche Trisomia 21. Questo significa che queste persone hanno un cromosoma in più e spesso viene indicato come il cromosoma dell’amore. C’è qualcosa in più in loro che hanno questa speciale capacità di amore incondizionato. Nel film non c’è nessuna finzione narrativa, si racconta la vita quotidiana della protagonista insieme alla sua famiglia, i compagni di classe, di teatro e di musica, con lotte, gioie, conquiste, delusioni. Una testimonianza dell’amore reciproco in questa famiglia e del sì alla vita. Dorotka, ti sei divertita a recitare in un film tutto dedicato a te? Quando ero in piedi davanti alla macchina fotografica a volte ero un po’ ansiosa e avevo paura del palcoscenico, quindi era difficile non guardare direttamente nella macchina fotografica. Ma il cameraman era fantastico e mi è piaciuto molto. Palko ha reso tutti felici dell’idea di questo film e vorrei continuare con uno nuovo. Cosa vorresti dire alle persone che leggono questa intervista? Sono diventata un’attrice per renderti felice. Cerca l’amore per gli altri.

Claudia Di Lorenzi

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Vangelo vissuto: sollevare chi soffre

Vangelo vissuto: sollevare chi soffre

ClassroomAll’asilo «Sonia ha 5 anni. Un giorno dice alla mamma: «Non voglio andare più all’asilo, non ho nessuna amica». Dopo qualche giorno il suo atteggiamento cambia e va all’asilo volentieri. «Cosa è cambiato?», le chiede la mamma. «Ho visto che c’era una bambina sempre silenziosa e in disparte. Nessuno voleva giocare con lei. Allora sono andata io da lei e le ho detto che le voglio bene. Lei mi ha sorriso, poi ha cominciato a giocare. Sai, mamma, l’amore riscalda tutti»». (Sonia – Slovacchia) L’amico più povero «Partendo da Roma, ho lasciato Nicu, il più povero dei miei amici, costretto a elemosinare in attesa di un trapianto di rene. Siamo rimasti in contatto telefonico. Spesso mi chiedevo come continuare ad aiutarlo, visto che posso contare solo su una “paghetta” mensile di 20 euro. Ricordando l’episodio di Zaccheo, che ha dato metà dei suoi beni ai poveri, ho cominciato ogni mese a mettere da parte 10 euro per Nicu. Dopo averne raccolti 70, tramite un amico glieli ho fatti arrivare. Ho saputo poi che era stato felice più per il fatto che mi ero ricordato di lui, che per la somma ricevuta». (Angiolino – Italia) Gara di generosità «Da tempo la situazione economica non va tanto bene. In un incontro di condominio, dopo ore di lamentele, ho proposto di cominciare ad attuare nel nostro palazzo una “comunione di beni”. Una signora rimasta sola ha offerto il suo appartamento per raccogliere viveri e vestiario e tutti contribuiamo con ciò che pensiamo sia superfluo o preleviamo quello che ci serve. È nata una vera gara di generosità e una ventata di ottimismo è entrata nelle nostre case». (L. D. C. – Argentina) Lavoro e casa «Con mia moglie abbiamo conosciuto una famiglia di immigrati. Il marito ha perso il lavoro, poi ne ha trovato un altro, ma era precario e avevano bisogno di essere aiutati con cibo e denaro. Tre mesi fa ho avuto l’occasione di trovare per lui un lavoro migliore. Tempo dopo questa famiglia mi ha richiamato, la casa di una sorella era stata colpita da piogge torrenziali. Sono andato subito a vedere come portare un primo soccorso e di cosa avevano bisogno. I proprietari della nuova abitazione non si fidavano e così dovevano pagare in anticipo due mesi di affitto e un mese di deposito. Da solo non potevo aiutarli, ma con la comunità del Movimento in tre giorni abbiamo potuto raccogliere i soldi necessari». (Juan Ignacio – Spagna) (altro…)

Vangelo vissuto: i bambini insegnano

Vangelo vissuto: i bambini insegnano

Sonia è della Slovacchia, ha 5 anni e frequenta la scuola materna. Un giorno dice alla mamma che, a scuola, ha trovato un’amica. “E come si chiama?”. “Non lo so, lei non parla; mi sono avvicinata perché ho visto che era sempre da sola e che nessuno voleva giocare con lei”. La mamma va a prendere Sonia per il pranzo. Ma l’insegnante: “La lasci qui! Ci aiuta con una ragazzina rom che prima non parlava per niente, e adesso, grazie a lei, ha iniziato a parlare e collaborare anche con gli altri”. Quando torna da scuola, la mamma le chiede: “Ti ha già detto qualcosa la tua amica?”.  “No, solo mi sorride quando le dico che le voglio bene”. La mamma rimane in silenzio. E la bambina: “Sai, l’amore riscalda ognuno”. gen 4 11Dal Camerun scrive Kevin: «Un giorno alla scuola durante l’intervallo avevo chiesto ad un mio compagno di scuola se avesse qualcosa da mangiare. Avevo fame e non avevo nulla. Lui ha rifiutato. Il giorno dopo ho portato un po’ di pane e quando lui è venuto a chiedermelo, ho rifiutato a mia volta. Il giorno seguente, gettando il dado dell’amore è uscito: “Amare i nemici“. Mi sono ricordato di quel mio compagno. A scuola cercavo di parlargli ma non mi rispondeva. Allora mi sono seduto davanti casa aspettandolo e quando è passato, l’ho chiamato, gli sono andato incontro e alla domanda sul perché non dovevo parlargli più, ha risposto: “Hai rifiutato di condividere con me il pane che avevi portato”. Subito gli ho detto: “Riconciliamoci!” e gli ho offerto della frutta di guaiava che avevo con me e così abbiamo ricominciato a parlarci diventando amici di nuovo». Dall’Italia, Marco racconta: «Un giorno all’asilo i bambini mi prendevano in giro perché sono grasso. A me dispiaceva tanto essere preso in giro e qualche volta ho pianto. Allora sono andato dalla Suora e invece di accusarli ho detto a lei questo mio dolore. Ho capito che dovevo perdonarli e così ho fatto, perché un Gen4 è uno che, come ha fatto Gesù, perdona e ama tutti». Carmen abita in un quartiere di baracche, nella periferia di Città del Messico. Spesso la sera lo zio torna a casa ubriaco. Carmen ha paura e si nasconde. «Ma l’altra sera non mi sono nascosta – racconta – l’ho aspettato e l’ho aiutato ad entrare. Non avevo paura, perché so che la Madonna ha cura di me». gen 4 2E Bartek, dalla Polonia: «Per la festa del bambino ho ricevuto in regalo dalla maestra Ela, una cioccolata ed un lecca-lecca. In classe con me c’è Asia, una ragazza che non piace a nessuno. Io mi sono ricordato che la mattina lanciando il dado era uscito: “Amare i nemici” e ho dato ad Asia il lecca-lecca e mezza cioccolata. Lei era stupita, mi ha ringraziato e poi se ne è andata. Adesso siamo grandi amici». «Nel centro di Napoli (Italia), i Gesù bambini che abbiamo fatto e che offriamo alle persone, vanno a ruba e tanti si accalcano intorno alla bancarella, anche solo per dire la loro adesione all’iniziativa. Una maestra, non credente, che ha tanti problemi, tiene il Gesù bambino fra le mani e lo guarda: “Questo sarà il mio Natale!”. Un bambino corre a casa, svuota il suo salvadanaio, ed arriva con tutti gli spiccioli ad acquistare il suo».

A cura dei Centri Gen4

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