Educare l’infanzia

 
Ma quali sono i “luoghi” di incontro di questa relazione che attraverso l’educazione reciproca si fa sempre più speciale? I “luoghi” in cui possiamo incontrarci e di cui dobbiamo apprendere il linguaggio?

LE EMOZIONI. Nell’era del progresso tecnologico e dei consumi, quello che ci distingue dalla macchine (e speriamo per molto tempo ancora) è la capacità di sperimentare e condividere emozioni, caratteristica umana fondamentale per qualsiasi esperienza e relazione, con gli altri e con il mondo. L’etimo della parola stessa “emozione” (e-muovere, ossia “muovere fuori”) richiama ad un movimento che parte da dentro di noi e va verso gli altri. In questa prospettiva, le emozioni possono essere viste come un presupposto imprescindibile, inscritto in noi, per relazionarci. Sono molteplici le teorie che si sono susseguite e che hanno provato a spiegare cosa siano le emozioni. A noi basta sapere che le emozioni sono un’esperienza relazionale. Rappresentano la prima forma di comunicazione e la prima modalità di relazione, quando veniamo al mondo. Questo ci fa capire anche come mai il linguaggio emotivo, insieme a quello corporeo, precede quello verbale. Basti pensare ai modi che ha il bambino per interagire nelle prime settimane di vita: il pianto, il sorriso, i movimenti delle braccia, delle gambe, del busto. Solo successivamente, al linguaggio emotivo ed al linguaggio corporeo, si aggiungerà il linguaggio verbale. E queste tre forme, queste tre modalità per relazionarci con gli altri, rimarranno sempre strettamente connesse tra loro. Nei bambini, però, il linguaggio emotivo ha un’importanza maggiore rispetto agli altri.

Dobbiamo imparare a stare con le emozioni dei bambini, questo permetterà loro di sviluppare quella che viene chiamata la competenza emotiva: la capacità di avere a che fare con le proprie emozioni e con le emozioni degli altri. Avendo definito le emozioni come relazione, un altro aspetto fondamentale è che non esistono emozioni buone ed emozioni cattive. Se sono iscritte in noi, se fanno parte del nostro bagaglio con cui approdiamo alla vita, non ha senso attribuire loro un giudizio morale. Ha più senso chiederci a cosa servono?

LE RELAZIONI PRIMARIE. Ma da dove nascono le emozioni, da dove ha origine lo sviluppo socio-affettivo del bambino? Abbiamo definito le emozioni come un’esperienza relazionale. Allora dobbiamo andare a vedere le relazioni primarie del bambino, in modo particolare quella con la madre. Il legame che tiene stretti la madre e il bambino è un legame prevalentemente affettivo. Così come il bambino si nutre del latte materno (nutrimento fisico), allo stesso modo si nutre dell’affetto materno (nutrimento psicologico). In questo modo egli si sente rassicurato all’interno di una relazione affettivamente accogliente, “calda”, dolce, protetta, serena, amorevole.

Le altre caratteristiche di questa relazione affettivamente così speciale sono:

  • Contiene l’angoscia restituendo il sé positivo al bambino
  • Modula l’espressione genetica: il nostro patrimonio genetico si esprime, si manifesta, anche in base all’interazione con l’ambiente esterno. Questa influenza è ancora più forte nei primi mesi del bambino.
  • Favorisce il processo di separazione sé/altro da sé. Il bambino nei primi mesi si percepisce tutt’uno con la madre. Non ha un’idea di sé e né un’idea dell’altro. La separazione tra lui e la madre è fondamentale per iniziare a costruire il proprio sé e quindi a relazionarsi con gli altri.
  • Le modalità relazionali che si instaurano rappresentano i prototipi (i presupposti) di tutte le relazioni future io-tu.

Osservare la relazione madre-bambino ci aiuta a capire che ruolo giocano i bambini nelle relazioni in generale, quindi anche con noi. Durante la quotidianità si stima che il 60-70% dei momenti tra madre e bambino non sono coordinati. Lei non riesce ad interpretare sempre i suoi bisogni: quel pianto vorrà dire che ha fame? Che ha male alla pancia? Che è stanco e ha sonno? Questo aiuta il bambino a differenziare il suo modo di piangere a seconda delle richieste, e la madre impara così a riconoscere il tipo di pianto e quindi il bisogno specifico che il bambino sta esprimendo. Il ripetersi di queste modalità favorisce nel bambino l’interiorizzazione di questo schema comportamentale: se piango così avrò il latte, se piango così mi massaggerà il pancino, se piango così mi cullerà per dormire. Questa meravigliosa relazione d’amore ci dice che il bambino è co-costruttore di rapporti.

EMPATIA. E’ lo strumento per eccellenza per entrare in relazione tra noi. Oggi tutti ne parlano, ma proviamo a capire cosa è… L’empatia è la capacità di mettersi nei panni dell’altro. E’ la chiave d’accesso all’altro: una sorta di ponte invisibile che ci permette di varcare i confini della nostra soggettività per entrare in punta di piedi nel mondo interiore di chi ci è davanti, di rimanervi quanto necessario per comprenderne il vissuto più intimo, per “toccarlo” e lasciare una sorta di messaggio “so quello che stai vivendo perché ora lo vivo anche io”, prima di ritornare in noi.

Una relazione empatica è un’esperienza molto più intensa di quello che sembra, per entrambi: si tratta di una condivisione dell’essere prima ancora che di un fatto o di una circostanza. E’ quella che molti di noi chiamano “farsi uno”.

Per avere un atteggiamento empatico occorre “fare il vuoto” per accogliere l’altro dentro di noi: sospendere per un attimo i nostri pensieri, le nostre opinioni, i nostri giudizi, i nostri desideri. Le relazioni empatiche, inoltre, favoriscono il passaggio da una prospettiva competitiva e conflittuale (“io contro di te”), sempre più frequente nelle relazioni odierne, ad una più collaborativa e fraterna (“io con te”). Vestire i panni dell’altro, inoltre, è un’esperienza così arricchente che ci aiuta a conoscere meglio i propri, a riflettere sui nostri pensieri e sulle nostre emozioni. Anche in questo la chiave è la reciprocità: partendo dalle mie emozioni, mi sintonizzo con le emozioni dell’altro che, a sua volta, mi offre la possibilità di crescere e conoscere meglio me stesso. Educare all’empatia vuol dire educare alla reciprocità: primo mattone e forza genitrice della fraternità universale.

FIDUCIA. Più i bambini sono piccoli, tanto più depongono i loro bisogni (di affetto, di comprensione del mondo, di relazione) nelle mani dell’adulto. Rappresentiamo per loro la base sicura da cui partire per conoscere il mondo, a cui riapprodare nei momenti di fatica, sofferenza o disorientamento; siamo la guida attraverso cui interpretare ciò che accade intorno; la mano che li sostiene e li accompagna nelle esperienze nuove verso cui si lanciano; lo scoglio contro cui scontrarsi per conquistare la loro autonomia di pensiero e di azione. Per questo, mai tradire la fiducia dei bambini! Sarebbe gravissimo. Non solo indebolirebbe la nostra relazione con loro, ma avrebbe un impatto molto negativo sulla loro crescita, perché oltra a fidarsi di noi, si affidano a noi. Scoprire di non poterlo più fare sarebbe deleterio. Per questo occorre essere testimoni concreti, autorevoli, credibili, coerenti. Per fortuna i bambini ci insegnano a ricominciare. Da questo insegnamento dovremmo imparare a volte a chiedere loro scusa; avrebbe un grande potere educativo questo gesto.

ACCOGLIENZA E VALORIZZAZIONE DELL’ALTRO. Come abbiamo già detto ci troviamo in una società divisa, dove spesso la diversità è intesa come vincolo e non come ricchezza, come pericolo e non come dono. Provate a pensare a quando noi non ci siamo sentiti accolti. Se vogliamo rimettere al centro le relazioni, l’accoglienza è il presupposto. Accogliere vuol dire fare spazio all’altro dentro di noi, abbassare il volume della nostra soggettività per metterci in ascolto di chi abbiamo di fronte, per comprendere cosa vive e quale è il suo punto di vista. E’ importante che i bambini facciano questa esperienza in famiglia. Nelle nostre case dovremmo promuovere un clima relazionale basato sulla valorizzazione dell’altro, dove ciascuno si senta riconosciuto, accolto, rispettato e amato. Offrendo ai bambini la possibilità di sperimentare queste modalità relazionali, in un contesto protetto, queste potranno poi essere interiorizzate diventando un vero e proprio stile di vita che porteranno fuori dalla famiglia. In questa prospettiva la famiglia è un laboratorio relazionale.