Farsi uno

 
“Ci siamo sentiti interpellati in prima persona all’accoglienza e così Roland è entrato a far parte della nostra famiglia”.

Quando i nostri figli era piccoli ci hanno coinvolto in un gioco giornaliero che facevamo insieme tutte le mattine prima di andare all’asilo o alla scuola elementare. Si trattava di lanciare un dado, il dado dell’amore ideato da Chiara Lubich. A seconda della faccia del dado che usciva, tutti e 4 provavamo a viverla durante la giornata. (Mostrarlo). Le frasi presenti sul dado sono “Amare il nemico”, “Amare per primi”, “Amare come sé” …

Questo dado, per la nostra famiglia, è stato una vera e propria palestra: ci ha allenati nell’amore, ci ha abituati a fidarci di Dio in ogni occasione e a ricominciare sempre di fronte ai nostri sbagli.
Oggi, anche se i ragazzi sono cresciuti e il dado non viene più tirato, proviamo a mantenerci in allenamento, sia continuando a vivere personalmente quelle parole, sia rispondendo come famiglia ai diversi bisogni che vediamo intorno a noi o ci sono presentati.

Un pomeriggio un’amica mi parla di Roland, che sta per concludere i due anni presso un centro di accoglienza ed è in ricerca di un posto dove dormire per poter avere il tempo di trovare lavoro e un appartamento in affitto.
Mi sono resa disponibile a cercare una soluzione, ma dopo un po’ di tempo non avevamo trovato nulla e lei mi chiede espressamente di ospitarlo da noi.
Subito mi è presa un po’ di ansia, ma poi ci siamo confrontati tra di noi. Nicolò, nostro figlio più piccolo, era entusiasta.
Tante volte Chiara Lubich, spiegando la frase “farsi uno con gli altri” aveva detto che occorre sentire sulla propria pelle dolori e fatiche dell’altro, così come gioie e conquiste. Fare propri i sentimenti dell’altro.
Ci siamo sentiti chiamati a concretizzare queste parole e così abbiamo dato la nostra disponibilità all’accoglienza. E così Roland è entrato a far parte della nostra famiglia!

Dopo l’entusiasmo iniziale si sono presentati però anche dei dubbi. I primi di tipo logistico: che sistemazione gli diamo? Spostiamo Maddalena dalla sua stanza? Come gestiamo i momenti in cui non ci siamo? Poi sono arrivati anche altri dubbi riguardanti la persona di questo ragazzo: ma chi sarà, potremo fidarci? Saremo sicuri per la figlia che ha 16 anni e per le cose di valore in casa? Gli diamo le chiavi e il codice dell’allarme? Le paure e i luoghi comuni iniziavano a metterci i dubbi.

L’altra faccia del “dado dell’amore” riporta anche la frase: “amare Gesù nell’altro”. Così, sempre con questa abitudine di famiglia, abbiamo abbassato le barriere che stavamo costruendo. Quando poi è arrivato Roland, è iniziata una fase di conoscenza reciproca e di arricchimento. Abbiamo potuto conoscerlo sempre più e con lui abbiamo potuto anche essere partecipi delle esperienze che i migranti vivono nei loro paesi di origine, durante il lungo e travagliato viaggio e anche una volta arrivati qui da noi. Molte volte le nostre cene sono diventate un momento importante di scambio e confronto.

Le difficoltà sicuramente non mancano, ma vivere insieme è una scuola di umiltà e piano piano abbiamo trovato un nuovo equilibrio. Roland è stato fantastico nel trovarsi lavoro e quindi anche un reddito, però al momento non riusciamo a trovare un luogo in affitto che accetti inquilini senza una busta paga a tempo indeterminato. Ci stiamo dunque scontrando con le ulteriori problematiche di chi, pur lavorando, non ha l’opportunità di rendersi del tutto autonomo.

Infine un’ultima impressione: l’altro giorno abbiamo fatto una cena da noi, mentre Roland era via per lavoro, la sua stanza e il bagno che usa lui ci servivano anche per gli ospiti; così mi sono messo a pulire quel bagno. Mi sono trovato a smontare e pulire i vari filtri della doccia che come tutti noi sappiamo non sono mai il massimo, mentre ero immerso in questo servizio, mi sono detto “ ma guarda un po’, con tutto quello che oggi si dice contro i migranti, sul quanto li si voglia tenere lontani… io invece sono qui ora immerso a pulire le cose di Roland”. A quel punto mi sono fermato un secondo a riflettere sulla situazione che stavo vivendo e poi mi sono detto: “sono contento!”
(S.e A. Italia)