Anno Amoris Laetitia: Il contributo di un teologo riformato svizzero

 
Abbiamo chiesto al Dr. Peter Dettwiler, teologo e pastore riformato svizzero, impegnato da decenni nel dialogo ecumenico di darci il suo punto di vista sull'Esortazione Apostolica: Amoris Laetitia.

Il tema del matrimonio e della famiglia ci porta proprio nel cuore della vita. Gioia e dolore, felicità e tristezza, pace e conflitto, amore e odio, affetto e gelosia, fedeltà e infedeltà non sono mai così vicini come in famiglia. La famiglia è una struttura molto sensibile. Come un sismografo, registra la minima scossa. Non possiamo ingannarci l’un l’altro, perché nella vita familiare quotidiana ci incontriamo “senza veli”. Molti giovani di oggi hanno paura di questa sfida. È la paura di impegnarsi in un’unione vincolante, la paura della responsabilità che i figli portano con sé, la paura del fallimento del matrimonio. Dov’è la fiducia nel futuro? Dov’è la fede nell’amore? Dov’è la speranza che scaccia il dubbio? “Nell’amore non c’è timore” – si legge nella Bibbia (1 Gv 4:18) – “al contrario l’amore perfetto scaccia il timore”.

Alcuni anni fa, mio figlio mi ha invitato a cena in un ristorante. Aveva studiato economia e ora era finanziariamente indipendente. Al momento di pagare il conto, disse con un sorriso: “Vedi, papà, questo è il ‘return on investment’!” – Come padre di cinque figli, posso confermare: I bambini sono un grande “investimento” – non solo finanziariamente! Allo stesso tempo sperimento che questo “investimento” paga: mi viene restituito il centuplo. Non primariamente finanziario, ma in molti altri modi. I miei figli sono stati e sono i miei migliori insegnanti. Ho imparato molto da loro. Da poco nostro figlio è diventato padre a sua volta e sta sperimentando il miracolo della vita neonatale da parte sua, ma anche le sfide che vengono con un bambino: le notti brevi, il passaggio dalla partnership alla famiglia. E poi all’improvviso c’è gratitudine verso i genitori: “Avete fatto tutto questo anche per me, per noi figli!”. Ho ricordato a mio figlio il suo ‘return on investment’: “Avrai indietro il centuplo!”.

Scoprire il meglio l’uno dell’altro
Un motto accompagna me e mia moglie da 47 anni: “Fedeltà significa incontrarsi sempre di nuovo nella consapevolezza che non abbiamo ancora scoperto il meglio l’uno dell’altro”. Trovo una frase simile in questa esortazione apostolica di Papa Francesco:
“Non fanno bene alcune fantasie su un amore idilliaco e perfetto, privato in tal modo di ogni stimolo a crescere. Un’idea celestiale dell’amore terreno dimentica che il meglio è quello che non è stato ancora raggiunto, il vino maturato col tempo.” (135)

O per dirlo in altre parole:
“Non si vive insieme per essere sempre meno felici, ma per imparare ad essere felici in modo nuovo, a partire dalle possibilità aperte da una nuova tappa. (232)

Ciò che mi colpisce di questa lettera di Papa Francesco è la sensibilità per ciò che riguarda le persone al giorno d’oggi riguardo al matrimonio e alla famiglia. Come pastore, ho incontrato in molte giovani coppie la preoccupazione di come conciliare entrambi in una partnership: libertà e legame, sviluppo personale e rinuncia a favore del partner. Anche “Amoris laetitia” riprende questo dilemma:
“Si teme la solitudine, si desidera uno spazio di protezione e di fedeltà, ma nello stesso tempo cresce il timore di essere catturati da una relazione che possa rimandare il soddisfacimento delle aspirazioni personali.” (34)

Matrimonio e famiglia come vocazione
Mi sembra importante comprendere il matrimonio come una vocazione. Questo è menzionato piuttosto di sfuggita nel documento papale:
“Tanto la preparazione prossima quanto l’accompagnamento più prolungato devono fare in modo che i fidanzati non vedano lo sposarsi come il termine del cammino, ma che assumano il matrimonio come una vocazione che li lancia in avanti, con la ferma e realistica decisione di attraversare insieme tutte le prove e i momenti difficili.” (211)

Oggi il matrimonio non può più essere dato per scontato. Non è più il passo logico nella biografia della maggior parte dei giovani. Molti hanno rispetto per il matrimonio. Il matrimonio richiede una decisione consapevole. Coloro che comprendono il matrimonio come una vocazione – cioè come una chiamata di Dio a questo stile di vita – ricevono una motivazione supplementare: sanno di essere portati da Dio, dal suo amore. Per cui con una vocazione c’è sempre anche un compito! Non solo il compito di amarsi l’un l’altro, ma anche la chiamata ad essere presenti per gli altri come coppia sposata. “Amoris laetitia” incoraggia questo passo, sottolinea il positivo e pratica persino l’autocritica: non si tratta né di lamentarsi “dei mali attuali”, né di voler “imporre norme con la forza dell’autorità”.

“Ci è chiesto uno sforzo più responsabile e generoso, che consiste nel presentare le ragioni e le motivazioni per optare in favore del matrimonio e della famiglia, così che le persone siano più disposte a rispondere alla grazia che Dio offre loro.” (35)
Tuttavia, parlerei di una doppia vocazione: La vocazione al matrimonio e la vocazione alla famiglia, cioè ai figli.
Perché anche le coppie sposate senza figli (per qualsiasi motivo) hanno una vocazione. Il documento papale ammette anche autocriticamente il troppo a lungo propagandato restringimento del matrimonio alla procreazione:
“D’altra parte, spesso abbiamo presentato il matrimonio in modo tale che il suo fine unitivo, l’invito a crescere nell’amore e l’ideale di aiuto reciproco sono rimasti in ombra per un accento quasi esclusivo posto sul dovere della procreazione.” (36)

Questo è sottolineato di nuovo più avanti nel documento:
“Pertanto, in nessun modo possiamo intendere la dimensione erotica dell’amore come un male permesso o come un peso da sopportare per il bene della famiglia, bensì come dono di Dio che abbellisce l’incontro tra gli sposi.” (152)
Insomma, fedele al titolo dell’esortazione apostolica “Amoris laetitia”:“Nel matrimonio è bene avere cura della gioia dell’amore.” (126)

Donna e uomo, madre e padre
In generale, il documento papale mi colpisce per il suo linguaggio positivo e incoraggiante – nonostante la percezione di molti problemi e sviluppi discutibili. Trovo particolarmente importante il riferimento all’inizio che anche quando si rispetta “l’unità della dottrina” sono possibili “diversi modi di interpretare alcuni aspetti della dottrina o alcune conseguenze che da essa derivano” e nonostante l’universalità della Chiesa (Cattolica) “si possono cercare soluzioni più inculturate in ogni paese o regione attente alle tradizioni e alle sfide locali”. (3)

Papa Francesco riconosce anche il ruolo delle donne nella società di oggi e vede il positivo nel femminismo:
“Il sentimento di essere orfani che sperimentano oggi molti bambini e giovani è più profondo di quanto pensiamo. Oggi riconosciamo come pienamente legittimo, e anche auspicabile, che le donne vogliano studiare, lavorare, sviluppare le proprie capacità e avere obiettivi personali. Ma nello stesso tempo non possiamo ignorare la necessità che hanno i bambini della presenza materna, specialmente nei primi mesi di vita. … Il diminuire della presenza materna con le sue qualità̀ femminili costituisce un rischio grave per la nostra terra. Apprezzo il femminismo quando non pretende l’uniformità̀ né la negazione della maternità̀.” (173)

È vero che anche il padre è incoraggiato ad assumere la sua parte nella casa e nella famiglia – ma secondo me con un po’ troppa poca enfasi:
“Farsi carico di compiti domestici o di alcuni aspetti della crescita dei figli non lo rendono meno maschile.” (286)

Incoraggiante, d’altra parte, è questo consiglio sull’educazione dei figli, che posso solo sottolineare dalla mia esperienza personale:
“Tuttavia l’ossessione non è educativa, e non si può̀ avere un controllo di tutte le situazioni in cui un figlio potrebbe trovarsi a passare. Qui vale il principio per cui ‘il tempo è superiore allo spazio’. Vale a dire, si tratta di generare processi più̀ che dominare spazi.” (261)

Ma di nuovo, torniamo alla posizione delle donne.
Qui Francesco usa parole chiare:
“In questo breve sguardo sulla realtà̀, desidero rilevare che, per quanto ci siano stati notevoli miglioramenti nel riconoscimento dei diritti della donna e nella sua partecipazione allo spazio pubblico, c’è ancora molto da crescere in alcuni paesi. Non sono ancora del tutto sradicati costumi inaccettabili. …
C’è chi ritiene che molti problemi attuali si sono verificati a partire dall’emancipazione della donna. Ma questo argomento non è valido, è una falsità̀, non è vero.” (54)

Incoraggiamento attraverso Cristo
In ‘Amoris laetitia’ non manca lo sfondo biblico, tra l’altro con una dettagliata interpretazione del canto dell’amore dalla prima lettera ai Corinzi 13. Trovo particolarmente importante il riferimento a Gesù, “il Cristo vivente” (59), allo “sguardo di Gesù… che a guardato alle donne a agli uomini che ha incontrato con amore e tenerezza”. (60) E infine, un prezioso riferimento alle parole di incoraggiamento di Gesù:
“Chi ama è capace di dire parole di incoraggiamento, che confortano, che danno forza, che consolano, che stimolano. Vediamo, per esempio, alcune parole che Gesù diceva alle persone: ‘Coraggio figlio!’ (Mt 9,2). ‘Grande è la tua fede!’ (Mt 15,28). ‘Alzati!’ (Mc 5,41). ‘Va’ in pace’ (Lc 7,50). ‘Non abbiate paura’ (Mt 14,27). Non sono parole che umiliano, che rattristano, che irritano, che disprezzano. Nella famiglia bisogna imparare questo linguaggio amabile di Gesù.” (100)

Tuttavia, l’immagine della famiglia nella Bibbia è piuttosto sobria. Dov’è la famiglia modello? A parte la famiglia di Gesù, di cui in realtà sappiamo poco secondo i vangeli, incontriamo nella Bibbia storie familiari molto imperfette. Se guardiamo bene, la parola “famiglia” non appare affatto. Dove la nostra Bibbia parla di “famiglia”, i testi ebraici e greci usano di solito la parola “casa”. Questo è un riferimento alla famiglia estesa. Anche “Amoris laetitia” indica questo:
“Il piccolo nucleo familiare non dovrebbe isolarsi dalla famiglia allargata, dove ci sono i genitori, gli zii, i cugini ed anche i vicini.” (187)
“Questa famiglia allargata dovrebbe accogliere con tanto amore le ragazze madri, i bambini senza genitori, le donne sole che devono portare avanti l’educazione dei loro figli.“ (197)

Gesù stesso allarga la visione alla famiglia più grande: “Chiunque fa la volontà del Padre mio che è nei cieli, egli è per me fratello, sorella e madre” (Mt 12,50). Il Vangelo di Giovanni ci parla di questa “nuova famiglia”: l’ultima sera prima della sua morte, Gesù è con i suoi amici più cari, che ha formato in una comunità, una famiglia, durante un periodo di circa tre anni. Con infinita pazienza cercò di insegnare loro il nuovo modo di vivere del Vangelo, dove il più piccolo è il più grande e l’ultimo è il primo. La lavanda dei piedi è il suo ultimo servizio ai suoi. Sopra questa storia c’è il motto: “Avendo amato i suoi che erano nel mondo, li amò fino alla fine” (Gv 13:1). In questo servizio da schiavo che fa Gesù c’è una rivoluzione, un rovesciamento di valori. Gesù lo dice chiaramente: “Se dunque io, il Signore e il Maestro, ho lavato i piedi a voi, anche voi dovete lavare i piedi gli uni agli altri.” Lavatevi i piedi a vicenda – questo è il motto di Gesù anche per la famiglia. E da nessuna parte questo è più concreto che in famiglia, dove lavare e stirare, pulire e preparare, cambiare i pannolini e asciugare le lacrime fanno parte della vita quotidiana.
Lì, come Gesù, l’uomo e la donna devono indossare il grembiule, prendere la scopa in mano, lucidare le scarpe, sporcarsi le mani e piegare la schiena ancora e ancora. L’amore non ha solo la dimensione del matrimonio festivo, dove l’acqua si trasforma in vino. L’amore ha anche la dimensione del servizio.
Ed è reciproco! Dovremmo lavarci i piedi a vicenda.

Vocazione al matrimonio – vocazione al celibato
Trovo anche importante nell’esortazione apostolica che la vocazione al matrimonio non sia contrapposta alla vocazione al celibato:
“Pertanto, non si tratta di sminuire il valore del matrimonio a vantaggio della continenza.” (160)
“Mentre la verginità è un segno ‘escatologico’ di Cristo risorto, il matrimonio è un segno ‘storico’ per coloro che camminano sulla terra, un segno di Cristo terreno che accettò di unirsi a noi e si donò fino a donare il suo sangue.” (161)

Sorprendente per me anche l’ammissione che il prete celibe, senza l’esperienza del matrimonio e della famiglia, ha un handicap: “Nelle risposte alle consultazioni inviate a tutto il mondo, si è rilevato che ai ministri ordinati manca spesso una formazione adeguata per trattare i complessi problemi attuali delle famiglie. Può̀ essere utile in tal senso anche l’esperienza della lunga tradizione orientale dei sacerdoti sposati.” (202)

Lungimirante è anche la maggiore inclusione delle donne nella formazione dei sacerdoti:
“La presenza dei laici e delle famiglie, in particolare la presenza femminile, nella formazione sacerdotale, favorisce l’apprezzamento per la varietà̀ e la complementarietà̀ delle diverse vocazioni nella Chiesa.” (203)

Matrimoni interconfessionali
Anche sul tema dei matrimoni interconfessionali e interreligiosi predomina inizialmente la valutazione positiva:
“I matrimoni tra cattolici e altri battezzati presentano, pur nella loro particolare fisionomia, numerosi elementi che è bene valorizzare e sviluppare, sia per il loro intrinseco valore, sia per l’apporto che possono dare al movimento ecumenico”. (247)

Tuttavia, questo incoraggiamento è immediatamente seguito di una punta d’amaro:
“Sebbene gli sposi di un matrimonio misto abbiano in comune i sacramenti del battesimo e del matrimonio, la condivisione dell’Eucaristia non può̀ essere che eccezionale …” (247)

I matrimoni interconfessionali non sono forse soprattutto cellule ecclesiali ed ecumeniche?
La teologa cattolica Eva-Maria Faber scrive: “Qui si tratta di qualcosa di più delle situazioni di emergenza dei singoli credenti. Qui ci sono persone che vivono la chiesa in piccolo. Sono persone che nel loro cammino comune rappresentano l’alleanza di Dio con l’umanità. Non ci si può aspettare che accettino questa vocazione e che allo stesso tempo venga loro negata la possibilità di essere rafforzati nella loro unità condividendo l’Eucaristia, la celebrazione della Nuova Alleanza”.[1]

Vorrei concludere il mio commento ad “Amoris laetitia” con una citazione che posso sottolineare in tutti i punti della mia esperienza personale e che parla proprio della sfida e della gioia dell’amore nel matrimonio e nella famiglia: “[…] È buona cosa darsi sempre un bacio al mattino, benedirsi tutte le sere, aspettare l’altro e accoglierlo quando arriva, uscire qualche volta insieme, condividere le faccende domestiche. Ma nello stesso tempo, è bene interrompere le abitudini con la festa, non perdere la capacità di celebrare in famiglia, di gioire e di festeggiare le belle esperienze. Hanno bisogno di sorprendersi insieme per i doni di Dio e alimentare insieme l’entusiasmo per la vita. Quando si sa celebrare, questa capacità rinnova l’energia dell’amore, lo libera dalla monotonia e riempie di colore e di speranza le abitudini quotidiane.» (226)

Peter Dettwiler

[1] Peter Dettwiler, Eva-Maria Faber. Eucharistie und Abendmahl. Ökumenische Perspektiven. Lembeck/Bonifatius, 2008. S. 72f

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