Non temere!

 
Il brivido è un rischio che vogliamo sempre provare, pur consapevoli, delle possibili conseguenze. Noi lo vogliamo correre, pur camminando su una superficie di vetri rotti.

Ci riferiamo al vasto mondo LGBTQ+, troppo spesso oggetto di confusione, solitudine, paura ed emarginazione sociale, pregiudizi o solo giudizi. Un mondo più vasto di quel che si pensi e che porta smarrimento e dolore nelle famiglie e nei protagonisti troppo spesso soli, dove società, politica e anche la Chiesa si trovano spesso invischiate in false consapevolezze.

La frase più strepitosa e spiazzante è quella di Papa Francesco: “Chi sono io per giudicare un omosessuale?” a cui fa eco e contraltare la frase di un genitore di un figlio omosessuale “Chi sono io per meritare di poter allargare il mio cuore ad un Amore più grande?”

Non si può negare quel certo sgomento quando entra in scena il cosiddetto “Coming out”. Ti trovi come uno studente impreparato chiamato in cattedra per l’interrogazione. Molto spesso, e non per piaggeria o difesa, dei figli LGBTQ+ si dice: è sensibile e buono, molto capace negli studi, generoso ed estroverso, elementi molto comuni a tante famiglie che vivono tale realtà. Ma questo non deve sviare come se la persona dovesse compensare una mancanza. Non essere etero fa paura perché sembra che manchi qualcosa. Non manca niente!

Dobbiamo essere profeti in questa scomoda terra di confine. Per essere profeti occorre scomodarsi. È una vocazione in più all’essere genitori. Ci sono delle fasi nel nostro percorso che richiedono tempi diversi da famiglia a famiglia: sconcerto, accettazione, accoglienza, scoperta. Sì, quel figlio ci porta oltre l’orizzonte conosciuto, è una sfida che si impone, e allora lo si riconoscere come unico e prezioso.

Interpellando la Bibbia, potremmo dire come Samuele: “Non guardare al suo aspetto, né all’imponenza della sua statura…perché io non guardo ciò che guarda l’uomo. L’uomo guarda l’apparenza, il Signore guarda il cuore” (1 Sam16,7).

Solo conoscendo le storie, i protagonisti, i genitori; ascoltando il vissuto, spesso drammatico, si può comprendere qualcosa.  Vissuto drammatico perché non si può non evidenziare che per un adolescente che si scopre omoaffettivo, o non a proprio agio nel suo corpo, con una storia e una forte appartenenza religiosa, tutto ciò è un dramma che si aggiunge perché, quello che fino ad allora ha costituito la colonna portante della propria esistenza, crolla sotto il peso del “peccato”; ci si sente fuori dalla grazia di Dio. I cammini diventano tortuosi, il sentirsi ai margini di quel mondo o del mondo porta a volte a scelte disperate.

È urgente una cultura dell’accoglienza, una cultura che possa far comprendere le diverse espressioni della sessualità, elemento connotante della persona umana, talvolta complesso. Urge una cultura che aiuti a superare la diffidenza, il moralismo senza misericordia, gli stereotipi in modo da favorire una piena inclusione nella società.

Guardandoci un attimo indietro, si nota come la storia umana è costellata di persone LGBTQ+ e certo è troppo semplicistico spiegarlo con il dilagare di una mentalità corrente, perché vorrebbe dire che la mentalità è corrente sin dall’alba dei tempi. C’è qualcosa in più e che non è riducibile ad affermazioni approssimative, occorre riflettere anche su questo.

Un piccolo grande antidoto può essere non dire mai: a me non tocca, ci penseranno altri. Occorre essere come quelli che calarono il paralitico dal tetto; essere pronti ad andare incontro alle comunità educandosi verso il” totalmente inclusivi”; passare dall’ascolto delle norme all’ascolto della persona. Dobbiamo e possiamo mettere a disposizione la nostra speranza, e mettere sempre insieme genitori e figli.

Il Papa mostra grande comprensione e misericordia comprendendo la difficile esistenza delle persone LGBTQ+ e non manca di affermarlo.

Accogliere è un termine di transizione, il sogno e la sfida è poter vivere in un mondo dove questa parola non sia più necessaria.

(Fonte. Afnonlus.org – Lina Ciampi e Paolo De Maina)