Un commento a caldo sul Forum della Cooperazione Internazionale

 

Milano 1 e 2 ottobre, organizzato dal Ministero per la Cooperazione Internazionale e l’Integrazione, assieme al Ministero degli Affari Esteri.

“Muovi l’Italia, cambia il mondo”, ecco il sottotitolo del Forum della Cooperazione, citato innumerevoli volte nelle varie relazioni, e proiettato sullo sfondo del Piccolo Teatro Strehler di Milano. Ma non è che forse si è dimenticata una “s” all’inizio di questa frase? Ovvero il coraggio e la visione del Ministro Riccardi (e dei suoi collaboratori), la fatica ed il confronto di chi ha partecipato ai gruppi preparatori, hanno fatto centro? Oppure per troppa ambizione non si è stati in grado di raggiungere un obiettivo così ardito?

Abbiamo provato a trarre qualche conclusione nelle prime ore successive a questo evento che per la prima volta ha avuto luogo in Italia, vedendo radunati una folta schiera di operatori che nei modi più diversi, si confronta con la realtà della Cooperazione allo Sviluppo Internazionale, e sinceramente non riusciamo ad esultare, ma nemmeno dobbiamo abbandonarci ad eccessi di rassegnato pessimismo. Proviamo a ragionare insieme su cosa è avvenuto.

– In primo luogo il Forum, che (ri)porta la Cooperazione allo Sviluppo al centro dell’agenda politica di questa Italia sprofondata nel miserevole pantano della c.d. seconda repubblica, è già un evento in sé stesso, e non si può non dare merito al ministro Riccardi per avere avuto coraggio e lungimiranza a lanciare questa sfida.

– La presenza di buona parte del governo, il presidente Monti per primo, alla prima sessione del forum, con l’autorevole apertura del Capo dello Stato: abbiamo notato che non è stata la solita “comparsata” dei nostri politicanti che cercano un evento per la visibilità che offre, e che dopo essersi esibiti, fuggono quasi a temere un confronto con il pubblico. Qui si è trattata di una presenza seria e convinta; il presidente Monti è rimasto fino alla fine della sessione mattutina, e come lui anche gli altri ministri presenti, e così i ministri presenti al secondo giorno. Certamente un segno di serietà ed interesse.

Una partecipazione convinta da parte delle Autonomie Locali, che con forza e dignità hanno rivendicato un loro ruolo ed una propria specificità nella c.d. Cooperazione Territoriale, che le vede protagoniste assieme ad altri soggetti sul grande scenario della Cooperazione allo Sviluppo. La sfacciata arroganza di chi gozzoviglia nel fango di una politica ridotta a favori e privilegi, non può e non deve essere confusa con l’impegno, la dedizione, l’apertura sul territorio e la capacità di dialogo e di azione che tanti enti locali hanno mostrato nel perseguire il Bene Comune, partendo dal proprio territorio ma proiettandosi verso il mondo, favorendo l’integrazione e la convivenza proprio dove si svolge la nostra vita quotidiana.

Diverse generazioni degli operatori della cooperazione del mondo non governativo che si sono ritrovate; da coloro che, nei decenni passati, per primi e non senza temerarietà, ne avevano fatto una scelta di vita, i tanti più giovani di età che oggi in questo stesso ambito vogliono indirizzare la loro professione, con una formazione sempre più specializzata ed approfondita.
Ma di certo anche ombre e perplessità non sono mancate, anzi …

Ciò che più di tutto ci ha rattristato è come quasi non si siano volute esplicitare in modo netto le ragioni profonde, le motivazioni e le radici etiche, e perché no anche evangeliche, del “perché” fare Cooperazione allo Sviluppo. Da numerosi interventi traspariva con chiarezza che la cooperazione serve all’Italia per uscire dalla crisi, serve all’Italia per la sua proiezione internazionale, serve all’Italia per la sua sicurezza esterna, serve all’Italia per offrire opportunità di lavoro ai giovani, “ogni Euro investito in cooperazione è un Euro che ritorna in Italia”, ecc. Ma quel “serve all’Italia” a noi non basta come ragione del fare cooperazione: non possiamo non accontentarci di un ideale di giustizia, di equità, insomma di vera fraternità universale. In questi giorni qualcuno ha anche avuto il coraggio di definire queste esigenze come quelle di “un’anima bella”, catalogandola tra gli idealisti utopici e fuori dal mondo. Ma sono le motivazioni profonde a determinare la natura del nostro agire, la qualità e l’ampiezza dei nostri obiettivi, la capacità di affrontare avversità e non cedere a compromessi al ribasso, a dare contenuto e continuità a veri parternariati. Con rammarico dobbiamo dire che partendo abbiamo avuto la triste impressione di trovarci di fronte ad una cooperazione che rischia di perdere la propria anima più profonda.

– Ma non solo questo. Durante il Forum con enfasi ricorrente è stata proclamata l’ineluttabilità di un sempre maggiore coinvolgimento nella Cooperazione, con un ruolo di primo piano, anche delle imprese, che possono (e devono ?) diventare protagoniste nei nuovi scenari della cooperazione globalizzata. Ma non ci pare che nessuno si sia preso la briga di chiarire su quali principi e su quali priorità una simile partecipazione debba fondarsi: allora se servono fondi, e quelli pubblici non ci sono più, o non bastano più, allora che si accomodino le imprese, e tutto fa brodo !!! Non vogliamo negare la possibilità di un nuovo modello di collaborazione, anzi di parternariato con il mondo delle imprese nelle loro più varie espressioni, ma se non vi è la premessa di un profondo consenso sui principi che devono orientare questo partenariato (Bene Comune, legalità, equità, partecipazione, sostenibilità sociale, rispetto, ecc.), la collaborazione sarà solo un mezzo per il mondo delle ONG di accedere a nuovi finanziamenti per sostenere le proprie strutture, ed alle imprese di abbellire la loro immagine per finalità promozionali, senza che cambino i principi su cui si regge l’attuale sistema economico, causa dello squilibrio e dell’ineguaglianza.

È stato proclamato da parte del Ministro dell’Economia che ci sarà un’inversione di tendenza sui fondi dell’Aiuto Pubblico alla Sviluppo, ma non sono state date cifre (questo lo riteniamo segno di serietà, per evitare promesse da marinaio). Tuttavia un’inversione di tendenza sarà uno 0,01 % in più oppure qualche cosa di più sostanzioso? Premesso che peggio di oggi non si potrebbe fare.

In conclusione non possiamo dire “aspettiamo i fatti”, ma ringraziamo per questo primo piccolo passo, augurandoci che però non ci si fermi qui (Riccardi ha lanciato un nuovo appuntamento tra un paio di anni), e che soprattutto i valori di fondo, quelli che danno un’anima ed un senso al nostro agire non si diluiscano nel perfezionismo tecnico, o peggio ancora si dissolvano nelle lotte per l’accesso ai fondi, pochi o tanti che siano.
A tutti sono richieste coerenza e coraggio.

Stefano Comazzi (AMU) e Andrea Turatti (AFN)

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