Quando Giovanni Paolo II visitò l’India nel 1986, incontrò a Madras i rappresentanti delle varie religioni e disse loro queste parole:
“Il frutto del dialogo è l’unione fra gli uomini e l’unione degli uomini con Dio. Attraverso il dialogo facciamo in modo che Dio sia presente in mezzo a noi, perché mentre ci apriamo l’un l’altro nel dialogo, ci apriamo anche a Dio”.
Sono parole che esprimono esattamente ciò che Chiara sentì fin dal primo incontro con fratelli e sorelle di altre fedi religiose.
La prima forte esperienza fu quella vissuta da lei nel 1966 in una sperduta valle dell’Africa camerunense, a Fontem, a contatto con la tribù dei Bangwa fortemente radicata nella religione tradizionale. Per farle festa tutti si erano radunati in una grande radura della foresta per i loro canti e le loro danze e lì Chiara ebbe la forte impressione che l’Amore di Dio, come un immenso sole, abbracciasse tutti e ci facesse uno. Per la prima volta nella sua vita Chiara intuì che il carisma datole da Dio poteva essere una forza soprannaturale di coesione fra cristiani e fedeli di altre religioni.
Ma l’evento in qualche modo "fondante" del nostro dialogo interreligioso fu il Premio Templeton per il Progresso della Religione, che venne assegnato a Chiara nel 1977. A Londra, dopo il suo discorso alla cerimonia nella Guildhall davanti a rappresentanti qualificati delle grandi religioni mondiali, ebbe la profonda sensazione che tutti i presenti fossero una cosa sola, anche se di fedi diverse. Cercando una spiegazione a tutto questo, Chiara pensò che forse dipendeva dal fatto che la maggior parte dei presenti avesse una viva fede in Dio e che Egli, anche qui, ci avvolgesse col suo amore.
Quando uscì dalla sala, i primi a salutarla furono proprio gli appartenenti ad altre religioni: buddisti, musulmani, ebrei, sikhs, indù, ecc. Chiara intuì che questa circostanza dava al Movimento una nuova apertura: avremmo dovuto da allora in poi cercare di portare il nostro spirito, il nostro amore, la nostra vita, non solo nelle altre Chiese o comunità ecclesiali cristiane, ma anche a questi nostri fratelli di altre fedi.
Ciò che è accaduto in più di 20 anni di dialogo è difficile da riassumere. Sono stati scritti dei libri sui suoi incontri con i buddisti del Giappone e della Thailandia, con gli ebrei in Sud America, con i musulmani negli U.S.A.
Prima di affrontare il dialogo con l’Islam, nel breve tempo che abbiamo a disposizione, vorremmo chiederci quale sia la chiave del nostro dialogo e come mai abbia avuto una evoluzione così rapida e profonda. La risposta è tutta nella nostra spiritualità che è la spiritualità dell’unità e che ci porta a vivere il nostro dialogo con quell’arte di amare che Chiara ha riassunto in quattro punti e che sono perfettamente condivisibili da tutte le tradizioni religiose.
L’arte di amare di Chiara è attinta direttamente dal Vangelo. Ed è:
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