Movimento dei Focolari

novembre 2004

Nov 1, 2004

«Gettiamo via le opere delle tenebre e indossiamo le armi della luce» (Rm 13, 12).

Tenebre e luce: un’opposizione eloquente, nota a tutte le culture e a tutte le religioni. La luce simboleggia la vita, il bene, la perfezione, la felicità, l’immortalità. Le tenebre richiamano il freddo, il negativo, il male, la paura, la morte.
L’apostolo Paolo ricorda ai fedeli di Roma che il cristiano non ha più niente a che fare con un passato “tenebroso”, fatto di impurità, ingiustizia, malvagità, cupidigia, malizia, invidia, rivalità, frodi, malignità…

«Gettiamo via le opere delle tenebre…

Quali sono le “opere delle tenebre”? Al dire di Paolo sono: ubriachezze, impurità, contese, gelosie, ma anche dimenticanza di Dio, tradimento, furto, omicidio, superbia, ira, disprezzo dell’altro; e ancora: materialismo, consumismo, edonismo, vanità.
Opera delle tenebre è anche la facilità con cui spesso seguiamo qualsiasi programma televisivo o navighiamo su internet, con cui leggiamo certi giornali, o vediamo certi film, o sfoggiamo certi abbigliamenti.
Noi, al momento del battesimo, per bocca dei nostri padrini, abbiamo accettato di voler morire con Cristo al peccato quando, per tre volte, abbiamo decretato di voler rinunciare al demonio e alle sue seduzioni. Oggi non si ama parlare del demonio, si preferisce dimenticarlo e dire che non esiste, eppure c’è e continua a fomentare guerre, stragi, violenze d’ogni genere.
“Gettare via”: un’azione violenta, che costa, che richiede coerenza, decisione, coraggio, ma necessaria se vogliamo vivere nel mondo della luce. Continua, infatti, la Parola di vita:

… e indossiamo le armi della luce»

Non basta cioè rinunciare, “spogliarsi” del male, occorre “indossare le armi della luce”, ossia, come spiega Paolo più avanti, “rivestirsi del Signore Gesù Cristo”, lasciando che sia lui a vivere in noi. Anche l’apostolo Pietro invita ad “armarsi” degli stessi sentimenti di Gesù .

Immagini forti, sì, perché lasciar vivere Cristo, lo sappiamo, non è facile, vuol dire rispecchiare in noi i suoi stessi sentimenti, il suo modo di pensare, di agire; significa amare come lui ha amato e l’amore è esigente, chiede lotta continua contro l’egoismo che è dentro di noi.
Ma non c’è altra via per pervenire alla luce, come ricorda con chiarezza la prima lettera di Giovanni: “Chi ama suo fratello, dimora nella luce e non v’è in lui occasione di inciampo. Ma chi odia suo fratello è nelle tenebre, cammina nelle tenebre e non sa dove va, perché le tenebre hanno accecato i suoi occhi” (2, 10-11).

«Gettiamo via le opere delle tenebre e indossiamo le armi della luce»

Questa Parola di vita è un invito alla conversione, a passare continuamente dal mondo delle tenebre a quello della luce. Ripetiamo allora il nostro no a Satana e a tutte le sue lusinghe, e ridiciamo il nostro sì a Dio, così come l’abbiamo pronunciato il giorno del battesimo.
Non dovremo compiere grandi azioni. Basta che ognuna di quelle che già facciamo sia suggerita e animata dall’amore vero.
Concorreremo così a irradiare attorno a noi una cultura della luce, del positivo, delle beatitudini. Sarà costruire il Paradiso fin da questa terra, per possederlo eternamente in Cielo. Sì, perché il Paradiso è una realtà, ce l’ha promesso Gesù, ed è come una casa, che si costruisce di qua per poi abitarla di là. E sarà il suo dono: gioia piena, armonia, bellezza, danza, felicità senza fine, perché il Paradiso è l’amore.
Ce lo testimonia l’esperienza vissuta da Mary del Perù. Madre di tre figlie in tenera età, quando conosce la Parola di vita incontra Dio, trova la luce; viene coinvolta totalmente e la sua vita ha una svolta radicale.
Poco tempo dopo le viene diagnosticata una malattia grave. Ricoverata in ospedale scopre di avere poco più di un mese di vita. La confidenza nuova con Gesù, che ora sperimenta, le dà la forza di una preghiera, gli chiede cinque anni di tempo per consolidare la sua conversione e poter cambiare la vita anche attorno a lei.
Inspiegabilmente per i medici, la sua salute migliora e Mary viene dimessa dall’ospedale. Ritorna a casa, si prepara con il suo compagno alle nozze, che celebra in Chiesa, e chiede il battesimo per le figlie.
A distanza di cinque anni, il male si riacutizza all’improvviso, e nel breve volgere di due settimane si conclude la sua vita terrena.
Prima di morire, riesce a disporre ogni più piccola cosa nei riguardi delle figlie e a trasmettere speranza al suo sposo. “Adesso vado dal Padre che mi aspetta. Tutto è stato meraviglioso, Lui mi ha dato i cinque anni più belli della mia vita, da quando l’ho conosciuto nella Sua Parola che dà la Vita!”.

Chiara Lubich
 

 

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