Movimento dei Focolari
«Credi tu questo?» (Gv 11,26).

«Credi tu questo?» (Gv 11,26).

Gesù sta arrivando a Betania, dove Lazzaro è morto da quattro giorni. Informata, la sorella Marta corre speranzosa al suo incontro. Gesù voleva molto bene a lei, a sua sorella Maria e a Lazzaro, sottolinea il Vangelo[1]. Pur nel dolore, Marta manifesta al Signore la sua fiducia in Lui, convinta che se fosse stato presente prima della morte del fratello questi sarebbe ancora vivo, ma che anche adesso qualsiasi sua richiesta a Dio sarebbe stata esaudita. «Tuo fratello risusciterà» (Gv 11,23), afferma allora Gesù.

«Credi tu questo?»

Dopo aver chiarito che si riferisce al ritorno di Lazzaro alla vita fisica qui ed ora e non solo a quella che attende il credente dopo la morte, Gesù chiede a Marta l’adesione della fede e non solo per realizzare uno dei suoi miracoli – che l’evangelista Giovanni definisce “segni” – ma per donare a lei, come a tutti i credenti, una vita nuova e la resurrezione. «Io sono la risurrezione e la vita» (Gv 11,25), afferma Gesù. E la fede che le chiede è un rapporto personale con lui, un’adesione attiva e dinamica. Credere non è come accettare un contratto che si firma una volta e poi non si guarda più, ma è un fatto che trasforma e permea la vita quotidiana. 

«Credi tu questo?»

Gesù invita a vivere una vita nuova qui ed ora. Ci invita a sperimentarla ogni giorno, sapendo che, come abbiamo riscoperto a Natale, lui stesso ce l’ha portata, cercandoci per primo e venendo tra di noi. 

Come rispondere alla sua domanda? Guardiamo a Marta, la sorella di Lazzaro. 

In dialogo con Gesù le scaturisce una professione di fede piena in lui. L’originale greco la esprime con ancora maggiore forza. L’ “io credo” da lei pronunciato significa “sono giunta a credere”, “credo fermamente” che «tu sei il Cristo, il Figlio di Dio che deve venire nel mondo»[2], con tutte le conseguenze. È una convinzione maturata nel tempo, provata nelle diverse circostanze che ha affrontato nella vita. 

Il Signore rivolge la sua domanda anche a me. Anche a me chiede una fiducia generosa in lui, e l’adesione al suo stile di vita, fondato sull’amore generoso e concreto verso tutti. La perseveranza maturerà la mia fede, che si rafforzerà nel constatare giorno dopo giorno la verità delle parole di Gesù messe in pratica, e che non mancherà di esprimersi nel mio agire quotidiano verso tutti. Intanto, possiamo far nostra la preghiera degli apostoli a Gesù: «Aumenta la nostra fede» (Lc 17, 6).

«Credi tu questo?»

«Una delle mie figlie aveva perso il lavoro insieme a tutti i suoi colleghi, poiché il governo aveva chiuso l’agenzia pubblica dove lavoravano», racconta Patricia, dal Sudamerica. «Come forma di protesta, avevano organizzato un accampamento davanti alla sede. Io cercavo di sostenerli partecipando ad alcune loro attività, portando loro del cibo o semplicemente fermandomi a parlare con loro. 

Il Giovedì Santo, un gruppo di sacerdoti che li accompagnava ha deciso di celebrare una cerimonia nella quale si offrivano anche spazi di ascolto, si è letto il Vangelo e si è realizzato il gesto della lavanda dei piedi, in ricordo di quanto fatto da Gesù. La maggioranza dei presenti non erano persone religiose. Tuttavia, è stato un momento di profonda unione, di fraternità e di speranza. Si sono sentiti abbracciati ed, emozionati, ringraziavano quei sacerdoti che li accompagnavano nell’incertezza e nella sofferenza».

Questa parola di Gesù è stata scelta come guida per la Settimana di Preghiera per l’Unità dei Cristiani 2025. Preghiamo allora e adoperiamoci affinché il nostro credere comune sia motore della ricerca della fraternità con tutti: è la proposta e il desiderio di Dio per l’umanità, ma richiede la nostra adesione. La preghiera e l’azione saranno efficaci se nascono da questa confidenza in Dio e dal nostro agire di conseguenza.

A cura di Silvano Malini e del team della Parola di Vita.


[1] Gv 11,5.

[2] Cf. Gv 11,27.

Foto: © Orna – Pixabay

«Nulla è impossibile a Dio» (Lc 1,37).

«Nulla è impossibile a Dio» (Lc 1,37).

Siamo al racconto dell’Annunciazione. L’angelo Gabriele si reca da Maria di Nazaret per farle conoscere i piani di Dio su di lei: concepirà e darà alla luce un figlio, Gesù, che «sarà grande e sarà chiamato Figlio dell’Altissimo»[1]. L’episodio si colloca in continuità con altri eventi dell’Antico Testamento che hanno portato, in donne sterili o molto anziane, a nascite prodigiose i cui figli avrebbero dovuto svolgere un compito importante nella storia della salvezza. Qui, Maria, pur volendo aderire in piena libertà alla missione di diventare la madre del Messia, si domanda come potrà succedere, essendo lei una vergine. Gabriele le garantisce che non sarà opera di uomo: «Lo Spirito Santo scenderà su di te e la potenza dell’Altissimo ti coprirà con la sua ombra»[2]. E aggiunge: «Nulla è impossibile a Dio»[3].

Questa rassicurazione, che sta a significare che nessuna dichiarazione o promessa di Dio rimarrà inadempiuta – perché non c’è niente di impossibile per lui – può anche essere formulata in questo modo: nulla è impossibile con Dio. Infatti, la sfumatura del testo greco “con, o vicino, o insieme a Dio”, mette in luce la sua vicinanza all’uomo. È all’essere umano o agli esseri umani che, quando sono insieme a Dio e liberamente aderiscono a lui, nulla è impossibile. 

«Nulla è impossibile a Dio».

Come mettere in pratica questa parola di vita? Innanzitutto, credendo con grande confidenza che Dio può agire anche dentro e al di là dei nostri limiti e debolezze, come pure nelle condizioni più oscure della vita. 

È stata l’esperienza di Dietrich Bonhoeffer che durante la prigionia che lo condurrà al supplizio, scriveva: «Dobbiamo immergerci sempre di nuovo nel vivere, parlare, agire, soffrire e morire di Gesù per riconoscere ciò che Dio promette e adempie. È certo […] che per noi non esiste più niente di impossibile, perché nulla di impossibile esiste per Dio; […] è certo che noi non dobbiamo pretendere nulla e che tuttavia possiamo chiedere ogni cosa; è certo che nella sofferenza è nascosta la nostra gioia e nella morte la nostra vita… A tutto questo Dio ha detto “sì” ed “amen” in Cristo. Questo “sì” e questo “amen” sono il solido terreno sul quale noi stiamo»[4].

«Nulla è impossibile a Dio».

Nel cercare di superare l’apparente “impossibile” delle nostre insufficienze, per raggiungere il “possibile” di una vita coerente, un ruolo determinante lo svolge la dimensione comunitaria che si sviluppa là dove i discepoli, vivendo tra loro il comandamento nuovo di Gesù, si lasciano abitare, singolarmente ed insieme, dalla potenza del Cristo risorto. Scriveva Chiara Lubich nel 1948 ad un gruppo di giovani religiosi: «E avanti! Non con la nostra forza, meschina e debole, ma con l’onnipotenza dell’unità. Ho costatato, toccato con mano che Dio fra noi compie l’impossibile: il miracolo! Se noi resteremo fedeli alla nostra consegna […] il mondo vedrà l’unità e con essa la pienezza del Regno di Dio»[5]

Anni fa, quando ero in Africa, spesso incontravo dei giovani che volevano vivere da cristiani e che mi raccontavano delle molte difficoltà con le quali si scontravano quotidianamente nel loro ambiente, per rimanere fedeli agli impegni della fede e agli insegnamenti del vangelo. Ne parlavamo per ore e, alla fine, arrivavamo sempre alla stessa conclusione: «Da soli è impossibile ma, insieme, ce la possiamo fare». Lo garantisce anche Gesù stesso quando promette: «Dove sono due o tre riuniti nel mio nome (nel mio amore), lì sono io in mezzo a loro»[6]. E con lui tutto è possibile.

A cura di Augusto Parody Reyes e del team della Parola di vita


Foto: ©Sammmie – Pixabay

[1]Lc 1, 32.  
[2] Ibid, 35.
[3] Ibid, 37.
[4] D. Bonhoeffer, Resistenza e resa, ed. San Paolo, Cinisello Balsamo 1988, p. 474. Dietrich Bonhoeffer (1906-1945) è stato un teologo e pastore luterano tedesco, protagonista della resistenza al Nazismo.  
[5] C. Lubich, Lettere dei primi tempi. Città Nuova, Roma 2010, p. 164.
[6] Cf. Mt 18, 20.

«Lei – questa vedova – nella sua povertà ha messo nel tesoro tutto quello che aveva, tutto quanto aveva per vivere» (Mc 12,44).

«Lei – questa vedova – nella sua povertà ha messo nel tesoro tutto quello che aveva, tutto quanto aveva per vivere» (Mc 12,44).

Siamo alla conclusione del capitolo 12 del Vangelo di Marco. Gesù è nel tempio di Gerusalemme; osserva e insegna. Attraverso il suo sguardo assistiamo ad una scena piena di personaggi: persone che vanno e vengono, addetti al culto, notabili dalle lunghe vesti, ricchi che gettano le proprie laute offerte nel tesoro del tempio.

Ma ecco che si fa avanti una vedova; fa parte di una categoria di persone svantaggiate socialmente ed economicamente. Nel disinteresse generale, getta nel tesoro due spiccioli. Gesù invece la nota, chiama a sé i discepoli e li istruisce:

«Lei – questa vedova – nella sua povertà ha messo nel tesoro tutto quello che aveva, tutto quanto aveva per vivere».

“In verità vi dico…”. Sono le parole che introducono gli insegnamenti importanti; lo sguardo di Gesù, concentrato sulla vedova povera, ci invita a guardare nella stessa direzione: è lei il modello del discepolo.

La sua fede nell’amore di Dio è incondizionata; il suo tesoro è Dio stesso. E, nel consegnarsi totalmente a Lui, ella desidera anche donare tutto quel che può per chi è più povero. Questo fiducioso abbandono al Padre è, in certo modo, l’anticipazione dello stesso dono di sé che Gesù compirà presto con la sua passione e morte. È quella “povertà di spirito” e “purezza di cuore” che Gesù ha proclamato e vissuto.

Ciò significa «porre la nostra fiducia non nelle ricchezze, ma nell’amore di Dio e nella sua provvidenza. […] Si è “poveri in spirito” quando ci si lascia guidare dall’amore verso gli altri. Allora condividiamo e mettiamo a disposizione di quanti sono nel bisogno quello che abbiamo: un sorriso, il nostro tempo, i nostri beni, le nostre capacità. Avendo tutto donato, per amore, si è poveri, ossia si è vuoti, nulla, liberi, col cuore puro»[1].

La proposta di Gesù rovescia la nostra mentalità; al centro dei suoi pensieri è il piccolo, il povero, l’ultimo.

«Lei – questa vedova – nella sua povertà ha messo nel tesoro tutto quello che aveva, tutto quanto aveva per vivere».

Questa Parola di vita ci invita prima di tutto a rinnovare la nostra piena fiducia nell’amore di Dio e a confrontarci con il Suo sguardo, per vedere oltre le apparenze, senza giudicare e dipendere dal giudizio degli altri, a valorizzare il positivo di ogni persona.

Ci suggerisce la totalità del dono come logica evangelica che edifica una comunità pacificata, perché spinge a prenderci cura gli uni degli altri. Ci incoraggia a vivere il Vangelo nella quotidianità, senza apparire; a dare con larghezza e fiducia; a vivere con sobrietà, nella condivisione. Ci richiama a porre attenzione agli ultimi, per imparare da loro.

Venant è nato e cresciuto in Burundi. Racconta: «Nel villaggio, la mia famiglia poteva vantare un buon podere, con un buon raccolto. La mamma, conscia che tutto era provvidenza del cielo, raccoglieva le primizie e puntualmente le distribuiva al vicinato, partendo dalle famiglie più bisognose, destinando a noi solo una piccola parte di quello che rimaneva. Da questo esempio ho imparato il valore del dono disinteressato. Così, ho capito che Dio mi chiedeva di dare a Lui la parte migliore, anzi di dargli tutta la mia vita».

A cura di Letizia Magri e del Team della Parola di Vita


© Foto di Leonard Mukooli da Pixabay

[1] Cf. C. Lubich, Parola di Vita novembre 2003, in eadem, Parole di Vita, a cura di Fabio Ciardi (Opere di Chiara Lubich 5; Città Nuova, Roma, 2017) p. 704.

«Chi vuole diventare grande tra voi sarà vostro servitore, e chi vuole essere il primo tra voi sarà schiavo di tutti» (Mc 10,43-44)

«Chi vuole diventare grande tra voi sarà vostro servitore, e chi vuole essere il primo tra voi sarà schiavo di tutti» (Mc 10,43-44)

Per la terza volta Gesù, in cammino verso Gerusalemme, prepara i suoi discepoli all’evento drammatico della sua passione e morte, ma proprio quelli che più da vicino lo hanno seguito si mostrano incapaci di comprendere.

Anzi, tra gli stessi apostoli si scatena il conflitto: Giacomo e Giovanni chiedono di occupare posti d’onore “nella sua gloria”[1], gli altri dieci si indignano, reclamano e il gruppo è diviso.

Allora Gesù, con pazienza, li chiama tutti a sé, e rivela ancora una volta la sconvolgente novità del suo annuncio:

«Chi vuole diventare grande tra voi sarà vostro servitore, e chi vuole essere il primo tra voi sarà schiavo di tutti».

In questa frase del vangelo di Marco, c’è un crescendo nell’immagine del servo-schiavo. Gesù ci guida da un atteggiamento di semplice disponibilità in un gruppo limitato e rassicurante, ad una totale dedizione verso tutti, senza eccezioni.

Una proposta totalmente alternativa e controcorrente, rispetto alla concezione umana dell’autorità e del governo, che forse affascinava gli stessi apostoli e contagia anche noi.

Sarà questo il segreto dell’amore cristiano?

«Una parola del Vangelo non viene troppo sottolineata da noi cristiani: servire. Ci sembra antiquata, indegna della dignità dell’uomo che dà e che riceve. Eppure il Vangelo è tutto qui, perché è amore. E amare significa servire. Gesù non è venuto per comandare ma per servire. […] Servire, servirsi a vicenda è cristianesimo e chi lo attua semplicemente – e tutti lo possono fare – ha fatto tutto; e non un tutto che rimane a sé stante, ma che, perché è cristianesimo vivo, divampa in incendio»[2].

«Chi vuole diventare grande tra voi sarà vostro servitore, e chi vuole essere il primo tra voi sarà schiavo di tutti».

L’incontro con Gesù nella sua Parola ci apre gli occhi, come avviene al cieco Bartimeo dei versetti successivi[3]: ci libera dalla ristrettezza dei nostri schemi, ci fa contemplare gli orizzonti di Dio stesso, il suo progetto di “cieli nuovi e terra nuova”[4].

Egli, il Signore che lava i piedi[5], contraddice con il suo esempio la rigidità dei ruoli di servizio che spesso le nostre comunità civili, e talvolta religiose, riservano a categorie di persone socialmente fragili.

Il servizio cristiano è dunque imitare l’esempio di Gesù, imparare da lui uno stile nuovo di socialità: farsi prossimo di ogni persona, in qualsiasi condizione umana, sociale o culturale, fino in fondo.

Come suggerisce Giovanni Anziani, pastore metodista della Chiesa Valdese, «[…] accettando di riporre la nostra fiducia e la nostra speranza nel Signore che è servo dei molti, la Parola di Dio ci chiede di agire nel nostro mondo e in mezzo a tutte le sue contraddizioni, come operatori della pace e della giustizia, come costruttori di ponti per la riconciliazione tra i popoli»[6].

Così ha vissuto Igino Giordani, scrittore, giornalista, politico e padre di famiglia, in un momento storico segnato dalla dittatura. Per esprimere la sua esperienza, scrive: «La politica è – nel più dignitoso senso cristiano – una ancella e non deve diventare padrone: non farsi abuso, né dominio e neppure dogma. Qui è la sua funzione e la sua dignità: d’essere servizio sociale, carità in atto: la prima forma della carità di patria»[7].

Con la testimonianza della sua vita, Gesù propone una scelta consapevole e libera: non vivere più ripiegati su noi stessi e sui nostri interessi, ma “vivere l’altro”, con i suoi sentimenti, portando i suoi pesi e condividendo le sue gioie.

Tutti abbiamo piccole o grandi responsabilità e spazi di autorità: nel campo politico e sociale, ma anche in famiglia, a scuola, nella comunità di fede. Approfittiamo dei nostri “posti d’onore” per metterci al servizio del bene comune, costruendo relazioni umane giuste e solidali.

A cura di Letizia Magri e del team della Parola di Vita
Foto: © Pixabay


[1] Cf. Mc 10,37.
[2] C. Lubich, Servire, in «Città Nuova» 17 (1973/12), p. 13.
[3] Cf. Mc 10, 46-52.
[4] Cf. Is 65, 17 e 66, 22, ripreso in 2 Pt 3,13.
[5] Cf. Gv 13,14
[6] https://www.chiesavaldese.org/marco-1043-44/
[7] P. Mazzola (a cura di), Perle di Igino Giordani, Effatà editrice Torino 2019, p. 112.

«Siate di quelli che mettono in pratica la parola e non soltanto ascoltatori illudendo voi stessi» (Gc 1,22)

«Siate di quelli che mettono in pratica la parola e non soltanto ascoltatori illudendo voi stessi» (Gc 1,22)

Il tema dell’ascolto e della pratica è un tema fondamentale sul quale insiste l’autore del versetto di questo mese. La lettera, infatti, continua: «Chi invece fissa lo sguardo sulla legge perfetta, la legge della libertà, e le resta fedele, non come un ascoltatore smemorato ma come uno che la mette in pratica, questi troverà la sua felicità nel praticarla» (Gc 1,25). Ed è proprio questo impegno di conoscere le Sue parole e di viverle che ci rende liberi e ci dà gioia.

Si potrebbe dire che il versetto biblico di questo mese è di per sé il motivo stesso della pratica della Parola di Vita che si è diffusa in tutto il mondo. Una volta a settimana, e poi una volta al mese, Chiara Lubich sceglieva una frase compiuta della Scrittura e la commentava. Ci si incontrava, si condividevano i frutti di quanto essa aveva operato attraverso le esperienze di vita, si andava creando una comunità unita che mostrava in germe i risvolti sociali di cui era capace.

«Pur nella sua semplicità, l’iniziativa ha offerto un notevole contributo alla riscoperta della Parola di Dio nel mondo cristiano del Novecento»[1], trasmettendo un “metodo” per vivere il Vangelo e metterne in comune gli effetti. 

«Siate di quelli che mettono in pratica la parola e non soltanto ascoltatori  illudendo voi stessi».

La lettera di Giacomo riprende quanto Gesù ha annunciato per far vivere e sperimentare la realtà del Regno dei cieli fra di noi: dichiara beato chi ascolta la sua parola e l’osserva; riconosce come madre e fratelli suoi coloro che la ascoltano e la mettono in pratica; la paragona al seme che, se cade sul terreno buono, cioè su coloro che la ascoltano con cuore integro e buono e la custodiscono, questi producono frutto con la loro perseveranza.

«In ogni sua Parola Gesù esprime tutto il suo amore per noi — scrive Chiara Lubich. Incarniamola, facciamola nostra, sperimentiamo quale potenza di vita sprigiona, se vissuta, in noi e attorno a noi. Innamoriamoci del Vangelo fino al punto da lasciarci trasformare in esso e traboccarlo sugli altri. […] Toccheremo con mano la libertà da noi stessi, dai nostri limiti, dalle nostre schiavitù,

non solo, ma vedremo esplodere la rivoluzione d’amore che Gesù, libero di vivere in noi, provocherà nel tessuto sociale in cui siamo immersi»[2].

 «Siate di quelli che mettono in pratica la parola e non soltanto ascoltatori  illudendo voi stessi».

Come mettere in pratica la parola? Guardiamoci intorno e facciamo di tutto per metterci al servizio di quanti sono in necessità con piccoli o grandi gesti di cura vicendevole, trasformando le strutture ingiuste della società, contrastando la violenza, favorendo gesti di pace e di riconciliazione, crescendo nella sensibilità e nelle azioni a favore del nostro pianeta.   

Un’autentica rivoluzione irrompe così nella nostra vita e in quella della comunità in cui viviamo, nell’ambiente di lavoro in cui operiamo. 

L’amore si manifesta nelle azioni sociali e politiche che cercano di costruire un mondo migliore. Dall’impegno di una piccola comunità dei Focolari verso le persone più fragili, nasce in Perù un Centro per gli anziani intitolato alla fondatrice del Movimento, aperto a Lámud, una città nell’Amazzonia peruviana, a 2.330 metri sopra il livello del mare. 

«Il Centro è stato inaugurato in piena crisi pandemica e ospita 50 persone anziane e sole. La casa, l’arredamento, le stoviglie e anche il cibo sono arrivati in dono dalla comunità vicina. È stata una scommessa, non esente da difficoltà e ostacoli, ma a marzo 2022 il Centro ha celebrato il suo primo anniversario, aprendo le porte alla città, con una festa, dove anche le autorità politiche hanno partecipato. I due giorni di celebrazioni hanno arruolato nuovi volontari, adulti e bambini, che vogliono prendersi cura dei nonni soli, allargando la loro famiglia»[3].

A cura di Patrizia Mazzola e del team della Parola di vita


[1] C. Lubich, Parole di Vita, Introduzione, a cura di Fabio Ciardi, (Opere di Chiara Lubich 5), Città Nuova, Roma 2017, p. 9

[2] Lubich, Parole di Vita, Introduzione, a cura di Fabio Ciardi, (Opere di Chiara Lubich 5), Città Nuova, Roma 2017, p. 790

[3] Bilancio di Comunione 2022. Movimento dei Focolari, in https://eyut279xk3q.exactdn.com/wp-content/uploads/2024/01/BdC-2022-DialogoIT.pdf p.67


L’IDEA DEL MESE, sulla base di testi della Parola di Vita, è nata in Uruguay nell’ambito del dialogo fra persone di diverse convinzioni religiose e non religiose, il cui motto è “costruire il dialogo”. Lo scopo di questa pubblicazione è contribuire a promuovere l’ideale della fraternità universale.  Attualmente L’IDEA DEL MESE viene tradotta in 12 lingue e distribuita in più di 25 Paesi.

«Signore, è bello per noi stare qui» (Mt 17, 4).

«Signore, è bello per noi stare qui» (Mt 17, 4).

«Signore, è bello per noi stare qui» (Mt 17, 4).

Gesù è in cammino con i suoi discepoli verso Gerusalemme. All’annuncio che là dovrà soffrire, morire e resuscitare, Pietro si ribella, facendosi eco dello sgomento e dell’incomprensione generale. Il maestro allora lo prende con sé, insieme a Giacomo e Giovanni, sale su “un alto monte”, e lì appare ai tre in una luce nuova e straordinaria: il suo volto “brilla come il sole” e con lui conversano Mosè ed il profeta Elia. Il Padre stesso fa sentire la sua voce da una nube luminosa e li invita ad ascoltare Gesù, il suo Figlio prediletto. Di fronte a questa sorprendente esperienza, Pietro non vorrebbe più andare via, ed esclama:

«Signore, è bello per noi stare qui».

Gesù ha invitato i suoi amici più stretti a vivere un’esperienza indimenticabile, affinché la custodiscano sempre dentro di loro. 

Anche noi abbiamo forse sperimentato con stupore ed emozione la presenza e l’azione di Dio nella nostra vita, in momenti di gioia, pace e luce che avremmo desiderato non finissero mai. Sono momenti che sperimentiamo spesso con o grazie ad altri. L’amore reciproco, infatti, attira la presenza di Dio, perché, come ha promesso Gesù: «Dove sono due o tre riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro»(Mt 18, 20). Talvolta, in questi momenti di intimità, Lui ci fa vedere noi stessi e leggere gli avvenimenti attraverso il suo sguardo.

Queste esperienze ci sono date per avere la forza di affrontare le difficoltà, le prove e le fatiche che incontriamo nel cammino avendo nel cuore la certezza di essere stati guardati da Dio, che ci ha chiamati a far parte della storia della salvezza.

Una volta discesi dal monte, infatti, i discepoli andranno insieme a Gerusalemme, dove li aspetta una folla piena di speranza ma anche insidie, contrasti, avversione e sofferenze. Là «saranno dispersi e inviati ai confini della terra per essere testimoni della nostra dimora definitiva, il Regno» di Dio (1). 

Potranno cominciare a costruire già quaggiù la Sua casa tra gli uomini perché sono stati “a casa” con Gesù sulla montagna.

«Signore, è bello per noi stare qui».

«Alzatevi e non temete» (Mt 17,7), è l’invito di Gesù al termine di questa straordinaria esperienza. Lo rivolge anche a noi. Come i suoi discepoli e amici, possiamo affrontare con coraggio ciò che ci aspetta. 

Fu così anche per Chiara Lubich. Dopo un periodo di vacanze talmente ricco di luce da essere definito “il paradiso del 1949” per la percezione della presenza di Dio nella piccola comunità con la quale stava trascorrendo un tempo di riposo e per una straordinaria contemplazione dei misteri della fede, anche lei non avrebbe desiderato tornare alla vita di tutti i giorni. Lo fece con nuovo slancio perché comprese che proprio per quell’esperienza di illuminazione doveva “scendere dal monte” e mettersi all’opera come strumento di Gesù nella realizzazione del suo Regno, immettendo il suo amore e la sua luce proprio dove mancavano, anche affrontando fatiche e sofferenze.

«Signore, è bello per noi stare qui».

Quando invece la luce ci viene a mancare, riportiamo al cuore e alla mente i momenti in cui il Signore ci ha illuminato. E se non abbiamo fatto l’esperienza della sua vicinanza, cerchiamola. Occorrerà fare lo sforzo di “salire sul monte” per andarGli incontro nei prossimi, per adorarlo nelle nostre chiese, e anche per contemplarlo nella bellezza della natura. 

Perché per noi, Lui c’è sempre: basta che camminiamo con Lui e, facendo silenzio, ci mettiamo umilmente in ascolto, come Pietro, Giovanni e Giacomo (2).

A cura di Silvano Malini e del team della Parola di vita

1 T. Radcliffe, OP, seconda meditazione ai partecipanti all’assemblea generale del Sinodo dei Vescovi, Sacrofano, 1° ottobre 2023: https://www.vaticannews.va/it/vaticano/news/2023-10/testi-meditazioni-padre-radclifferitiro-sacrofano-sinodo.html.
2 Cf. Mt 17, 6.
Foto: © Steven Weirather – Pixabay

Scarica la Parola di Vita per bambini

L’IDEA DEL MESE è attualmente prodotta dal “Centro del Dialogo con persone di convinzioni non religiose” del Movimento dei Focolari. Si tratta di un’iniziativa nata nel 2014 in Uruguay per condividere con gli amici non credenti i valori della Parola di Vita, cioè la frase della Scrittura che i membri del Movimento si impegnano a mettere in atto nella vita quotidiana. Attualmente L’IDEA DEL MESE viene tradotta in 12 lingue e distribuita in più di 25 paesi, con adattamenti del testo alle diverse sensibilità culturali.