Feb 6, 2002 | Cultura
Una mozione di sostegno al polo imprenditoriale di Loppiano, presentata dal Gruppo Rinnovamento Italiano e Riformisti per l’Ulivo, è stata approvata a maggioranza, con l’astensione dello SDI e di alcuni consiglieri del centro sinistra.
Nel testo si chiede alla Giunta regionale di aderire al progetto del polo imprenditoriale di Loppiano nel Comune di Incisa Valdarno, laboratorio di una nuova economia, promosso dal Movimento dei Focolari, sottoscrivendo simbolicamente alcune quote di azionariato popolare e di inserire il progetto nei programmi di sviluppo della Regione Toscana quale modello da proporre per l’attuazione di una nuova politica di cooperazione allo sviluppo.
Premessa
La “Dichiarazione sul futuro dell’Unione”, allegata al trattato di Nizza, ha rilanciato il dibattito sul “metodo di governo” quale processo di cooperazione costruttiva tra tutti i livelli di potere e responsabilità in Europa.
I principi guida sono la sussidiarietà, il pluralismo istituzionale e la legittimità democratica.
Sono punti programmatici che devono trovare realizzazione completa anche nelle politiche dei governi nazionali e tra le pluralità delle istituzioni territoriali.
Nel frattempo, si sono affermati in Europa valori importanti quali l’uguaglianza dei popoli, politiche di coesione economica e sociale, la libertà di circolazione, la parità di trattamento ed il riconoscimento dei diritti fondamentali.
E’ il concetto di “fraternità politica”, quale effettiva composizione di strutture, territori, funzioni, identità e culture ma anche per fornire risposte originali alle molteplici sfide del nuovo millennio. La prima sfida importante è stata raccolta da Chiara Lubich e dal Mov.to dei Focolari che, realizzando nel corso degli ultimi anni, in tutto il mondo, piccole città autonome, modello di vita da proporre e moltiplicare, hanno voluto conciliare plurime esigenze capaci di coniugare valori imprescindibili.
I sottoscritti Consiglieri (Lucia Franchini e Francesco Pifferi)
atteso che dal lancio del progetto dell’Economia di Comunione, pensato da Chiara Lubich e dal Movimento dei Focolari, sono sorte nel mondo iniziative tese a far crescere e diffondere una cultura economica innovativa, dove si coniuga il “bilancio economico” con il “bilancio sociale”;
considerato che da detta iniziativa è nata l’esigenza di dar vita ad un polo imprenditoriale in cui concentrare alcune aziende italiane che già aderiscono al progetto stesso tale da rappresentare un modello all’interno della realtà economica nazionale;
considerato che il Movimento dei Focolari ha presentato il progetto di far nascere un Polo Industriale nei pressi della cittadella di Loppiano nel Val d’Arno, attraverso la sottoscrizione di azionariato popolare;
preso atto che gli scopi principale saranno la costruzione di capannoni, uffici e infrastrutture, oltre ad attività di supporto alle aziende e promozione di nuove imprese, scuole per imprenditori, manager e operatori;
considerato che Loppiano rappresenterà la prima esperienza industriale del Movimento, oggetto di attenzione anche da parte delle Istituzioni comunitarie e del Governo nazionale;
ritenuto necessario, nello spirito di costituzione di un “laboratorio di fraternità”, sostenere politicamente e materialmente i programmi di investimento solidale, anche quale attuazione di iniziative di cooperazione allo sviluppo;
visto il contesto operativo nel quale il progetto di Loppiano si colloca, teso a comprendere l’inserimento dello stesso nei programmi di sviluppo regionale anche quale modello contro l’esclusione sociale;
tutto ciò premesso
impegnano la Giunta
– ad aderire al progetto del Polo Imprenditoriale di Loppiano nel comune di Incisa Valdarno, laboratorio di una nuova economia, promosso dal Movimento dei Focolari.
– ad inserire il progetto nei programmi di sviluppo della Regione Toscana quale modello da proporre e moltiplicare anche al fine di rafforzare ed organizzare l’attuazione di una nuova politica di cooperazione allo sviluppo”.
Feb 6, 2002 | Cultura
Il dialogo in politica e l’economia di comunione, così come l’economia solidale e la finanza etica, sono elementi essenziali per sviluppare un nuovo modello del "vivere insieme".
In questo senso la Regione Toscana non può non riconoscere che la realizzazione del polo industriale di Loppiano rappresenta una sfida importante per tutto il nostro territorio, un progetto al quale aderire e da inserire nei programmi di sviluppo della Regione medesima al fine di rafforzare ed organizzare una nuova politica di cooperazione allo sviluppo.
Si potrà quindi affermare con la pratica che non è vero che l’unico modello adottabile all’interno del mercato del lavoro è quello classico economico liberista. Si potrà affermare che la competitività delle aziende sussiste, pur destinando parte del ricavato ad azioni di formazione e solidarietà sociale.
E soprattutto che l’economia di comunione è un modello di convivenza per il quale all’interno del mondo economico ogni attore, sia impresa, lavoratore o consumatore, riscopre la libertà di scelta e di azione e la preziosa unitarietà tra valori e comportamento. Un modello in sintesi che, oltre a prestare attenzione al bilancio economico, non dimentica "il bilancio sociale", cioè la valutazione di quanto nell’azienda la risorsa umana sia da valorizzare (pur non dimenticando il profitto) e quindi i rapporti con i dipendenti, fornitori e concorrenti siano da improntare principalmente su una competizione di qualità, sulla trasparenza e sul rispetto dell’ambiente.
Quali sono i punti di riferimento a cui attingere per la sua attività politica?
La più alta sfida per tutti noi è oggi promuovere e diffondere valori importanti quali l’uguaglianza dei popoli, le politiche di coesione economica e sociale, i diritti di cittadinanza, la sussidiarietà, l’unità, rispettando il pluralismo delle diverse identità, tradizioni e religioni.
Chiara Lubich ancora una volta ci indica, con semplicità ma con grande tensione emotiva e ideale, il principio guida a cui far riferimento: "la fratellanza". Anche in politica non si può prescindere da questo concetto, perché Chiara molto lucidamente ci ricorda che "la risposta alla vocazione politica è anzitutto un atto di fraternità: non si scende in campo infatti solo per risolvere un problema, ma si agisce per qualcosa di pubblico, che riguarda gli altri, volendo il loro bene come fosse il proprio".
Un valore semplice da comprendere, ma arduo da praticare quando deve corrispondere una conseguente linearità nell’azione.
D’altra parte sono convinta che quello è il valore da realizzare. Forse inizialmente rappresenterà solo una tensione, ma se vogliamo davvero innalzare e qualificare le azioni di governo e di rappresentanza politica, costruire insieme un comune senso di identità, destino e cittadinanza, dobbiamo partire dal riconoscimento che solo il concetto di "fraternità politica" potrà tracciare un percorso di coesione e partecipazione.
Giu 29, 2001 | Cultura
Post G8. Globalizzazione, divario tra ricchi e poveri. Una sfida non solo per i G 8. “Il pianeta al bivio” Il primo a lanciare la globalizzazione è stato Gesù quando ha detto: “Che tutti siano uno”. Non solo: ci ha fatto capaci di quell’amore che ha la forza di ricomporre la famiglia umana nell’unità e nella diversità. Sono disseminati nel mondo molti ‘laboratori’ di questa ‘umanità nuova’. Che sia giunta l’ora di proiettarli su scala mondiale? Una cultura alternativa: “La cultura del dare”. Un progetto in atto: L’economia di Comunione. “Conosciamo i gravissimi dislivelli che pesano sull’umanità: ci sono nazioni che puntano sul consumismo, su’avere anziché sull’essere, con tutte le sue conseguenze ed altre, popolatissime, attanagliate da bisogni angoscianti. Bisogna diffondere la cultura del dare. E’ la cultura del Vangelo: “Date e vi sarà dato. Vi sarà versata in grembo una misura piena, pigiata e traboccante”(Lc 6,38). Questa la parola che potrebbe offrire un rimedio, ridare un equilibrio al nostro pianeta. Se tutti vivessero il Vangelo i grandi problemi nel mondo non ci sarebbero, perché l’eterno Padre interviene e le promesse di Gesù si realizzano: “Date e vi sarà dato”. E’ quanto sperimentiamo quotidianamente. (Chiara Lubich) Da dove nasce la cultura del dare Sin dagli inizi del Movimento dei Focolari, nel 1943, a Trento la scoperta evangelica del comandamento nuovo “amatevi come io ho amato voi” (cf. Gv 13,34) ha fatto scaturire la comunione dei beni spirituali e materiali. Da allora la comunione dei beni è diventata prassi vigente nel Movimento, sull’esempio delle prime comunità cristiane. E’ questo un fatto di enorme importanza e gravido di conseguenze. Quella comunione dei cuori e dei beni, gioiello delle prime comunità cristiane, eco degli insegnamenti di Gesù lungo la vita della Chiesa aveva perso di forza, ma era stata “custodita” nei monasteri e nei conventi e in qualche comunità di laici. Ora in quella piccola comunità nascente a Trento riesplodeva come inizio di un suo recupero per la “massa”, per il popolo cristiano, con tutti i frutti e le conseguenze che matureranno più tardi. Chiara e le sue prime compagne sin d’allora ne avevano coscienza: “Noi – dice Chiara – avevamo la mira di attuare la comunione dei beni nel massimo raggio possibile per risolvere il problema sociale di Trento”. “Pensavo: ‘vi sono due, tre località dove ci sono i poveri… andiamo lì, portiamo il nostro, lo dividiamo con loro…’ Un ragionamento tanto semplice, e cioè: noi abbiamo di più, loro hanno di meno; alzeremo il loro livello di vita in modo tale da arrivare tutti ad una certa uguaglianza.” Ed è da allora che ha inizio l’esperienza, “sorprendente” , “del date e vi sarà dato” evangelico: “in piena guerra, viveri, vestiario, medicinali arrivano con insolita abbondanza”. Nasce la convinzione che nel Vangelo vissuto vi è la risposta “in nuce” ad ogni problema individuale e sociale. La cultura del dare e l’economia di comunione I soggetti produttivi dell’Economia di Comunione – imprenditori e lavoratori e altre figure aziendali – sono ispirati a principi radicati in una cultura diversa da quella prevalente oggi nella pratica e nella teoria economica. Questa “cultura” possiamo definirla “cultura del dare” proprio in antitesi con la “cultura dell’avere”. Il dare economico è espressione del “darsi” sul piano dell’ “essere”. In altre parole, rivela una concezione antropologica non individualista né collettivista, ma di comunione. Una cultura del dare, che quindi non va considerata come una forma di filantropia o di assistenzialismo, virtù entrambe individualistiche. L’essenza stessa della persona è essere “comunione”. Di conseguenza, non ogni dare, non ogni atto di dare crea la cultura del dare. C’è un “dare” che è contaminato dalla voglia di potere sull’altro, che cerca il dominio e addirittura l’oppressione di singoli e popoli. E’ un “dare” solo apparente. C’è un “dare” che cerca soddisfazione e compiacimento nell’atto stesso di dare. In fondo è espressione egoistica di sé e in genere viene percepito, da chi riceve, come un’offesa, un’umiliazione. C’è anche un “dare” interessato, utilitaristico, presente in certe tendenze attuali del neo-liberalismo che, in fondo, cerca sempre il proprio tornaconto… E infine c’è un “dare” che noi cristiani chiamiamo “evangelico”. Questo “dare” si apre all’altro nel rispetto della sua dignità e suscita anche a livello di gestione delle aziende l’esperienza del “date e vi sarà dato” evangelico. Si manifesta a volte come un introito inatteso o nella genialità di una soluzione tecnica innovativa o nell’idea di un nuovo prodotto vincente. (Vera Araujo – sociologa) (altro…)
Apr 8, 2001 | Cultura
Ci troviamo qui per approfondire quell’ancor piccola, ma importante, realtà economica nata nel 1991 nel Movimento dei Focolari e che si è sviluppata finora quasi unicamente in esso, sotto il nome di “Economia di Comunione”. In questo convegno essa verrà studiata, approfondita, sviscerata secondo le varie competenze che loro, Signori imprenditori, professori di economia, studiosi, penseranno meglio. Per parte mia vorrei offrire qualche pensiero su quel tipico aspetto spirituale che le sta alla base, sin dal suo esordio a San Paolo in Brasile, e che l’ha animata, la anima, la sostiene e la dovrà sempre sostenere a garanzia della sua autenticità. Mi spinge a ciò un motivo non certo trascurabile: l’Economia di Comunione non è un’attività unicamente umana, frutto semplicemente di idee e di progetti di uomini seppur dotati. Essa è un’espressione del Movimento dei Focolari che è Opera di Dio. Opera di Dio, anche se Egli, Altissimo, ama usare quali suoi strumenti, per i suoi fini, uomini e donne di questo mondo. Ne consegue che, se l’Economia di Comunione è parte di un’Opera di Dio, è Opera di Dio essa stessa, almeno nel suo spirito e negli aspetti essenziali. E, se le cose stanno così, sarà ovvio e saggio conoscere e approfondire come è stata prevista dal Cielo e ispirata, e come qui in terra è stata da noi concepita e plasmata. In pratica, come è stata condotta da quel carisma d’unità, dono di Dio, che ha suscitato, sviluppato e continua a far progredire il nostro Movimento nella sua globalità. Ma quali e quanti i suggerimenti, le intuizioni, le ispirazioni anche, che hanno guidato fin qui l’Economia di Comunione? Mi sembra che ve ne siano di assai pregevoli e che non siano pochi. Permettano, Signori, che ora ne prenda in considerazione quattro, venuti in evidenza durante i dieci anni di vita dell’Economia di Comunione. Si tratta qui di riconsiderarli bene, insieme, per interpretarli esattamente ed attuarli con grande fedeltà. Essi riguardano: la finalità dell’Economia di Comunione e cioè lo scopo per cui è sorta; la “cultura del dare”, che le è tipica; gli “uomini nuovi”, che non possono mancare nel gestirla; le “scuole di formazione” per tali uomini e donne, assolutamente necessarie, che dobbiamo prevedere. Lo scopo per cui è sorta La finalità dell’Economia di Comunione è nascosta nel suo stesso nome: un’economia che ha a che fare con la comunione fra gli uomini e con le cose. Essendo, infatti, l’Economia di Comunione un frutto del nostro Ideale, questa sua finalità non può essere che una parziale espressione della finalità stessa del nostro Movimento e cioè: lavorare per l’unità e la fraternità di tutti gli uomini richiesta dalle parole-preghiera di Gesù al Padre: “Che tutti siano uno”, diventando così un cuor solo ed un’anima sola per la carità scambievole. Unità che si può realizzare con la nostra tipica “spiritualità dell’unità”. Ora per quanto riguarda le indicazioni, che possiamo aver avuto dall’Alto, vediamo che la finalità dell’Economia di Comunione è presente sin dal 1991, anno della sua nascita, in uno scritto dove si legge: “A gloria di Dio è nata perché torni a rivivere lo spirito e la prassi dei primi cristiani: ‘Erano un cuore solo e un’anima sola e fra loro non v’era indigente’.” (Cf At 4,32-34) E nel ’94 si ricalca: “Se noi attuiamo l’Economia di Comunione, col tempo, potremo vedere realizzata nella nostra Opera una meravigliosa pagina della Chiesa nascente: ‘La moltitudine (…) aveva un cuore solo ed un’anima sola (…), ogni cosa era fra loro in comune. (…) Nessuno fra loro era bisognoso’.” (At 4,32-34) Anzi è un anno questo, il 1994, in cui, affinché si abbia sempre di fronte l’importanza dell’Economia di Comunione e la sua finalità, si rievocano i primi suoi passi perché non perda di smalto. Riportiamo quelle parole perché ci siano di aiuto pure oggi: “Si misero a disposizione terreni e case; ci si spogliò di ciò che si aveva di più caro: i gioielli di famiglia, ad esempio; si pensò ai molti sistemi per orientare aziende ai fini dell’Economia di Comunione. Fu uno spettacolo d’amore non solo in Italia, ma nel mondo”. E un anno dopo, sempre per meglio attuare la finalità dell’Economia di Comunione e incoraggiare ad attuarla, si vuole far conoscere questi nostri fratelli e sorelle che ne beneficiarono: “Ma chi sono questi nostri fratelli? Li conosco e li ho visti alcuni in foto: sorridenti, dignitosi, fieri di esser figli di Dio e di quest’Opera. Non mancano di tutto, ma di qualcosa. Hanno bisogno, ad esempio, di togliersi dall’animo l’assillo che li opprime notte e giorno. Hanno necessità d’essere certi che loro e i loro figli avranno da mangiare; che la loro casetta, a volte una baracca, un giorno cambierà volto; che i bambini potranno continuare a studiare; che quella malattia, la cui cura costosa si rimanda sempre, potrà finalmente essere guarita; che si potrà trovare un posto di lavoro per il padre. Sì, sono questi i nostri fratelli nel bisogno, che non di rado aiutano anche loro, in qualche modo, gli altri. Sono un tipo di Gesù ben preciso, che merita il nostro amore e che ci ripeterà un giorno: ‘Avevo fame, ero ignudo, ero senza casa o con la casa rovinata… e voi…’. Sappiamo cosa ci dirà”. Conosciamo quindi la finalità dell’Economia di Comunione. Ma come raggiungerla? La cultura del dare che le è tipica Nei nostri ambienti, nei nostri Convegni ne parliamo spesso e ci appaiono assai belle queste parole. Non sono forse l’antidoto a quella cultura dell’avere che oggi domina e proprio nell’economia? Certamente sì. Ma, a volte, si può aver posto troppa fiducia nell’espressione: “cultura del dare”, dandole un’interpretazione un po’ semplicistica e riduttiva. Non sempre, infatti, con essa si vuol dire spogliarci di qualcosa per donarla. Queste parole in realtà significano quella tipica cultura che il nostro Movimento porta in sé ed irradia nel mondo: la cultura dell’amore. “Cultura dell’amore”, di quell’amore evangelico assai profondo e impegnativo, che è parola sintesi di tutta la Legge e i Profeti, quindi di tutta la Scrittura, per cui chi vuol possederlo non può esimersi dal vivere il Vangelo intero. Ma come lo potrebbe fare? Lo dirò fra poco. Intanto notiamo che anche della “cultura del dare” si è scritto già nel 1991: “A differenza dell’economia consumista, basata su una cultura dell’avere, l’Economia di Comunione è l’economia del dare. Ciò può sembrare difficile, arduo, eroico. Ma non è così perché l’uomo fatto ad immagine di Dio che è Amore, trova la propria realizzazione proprio nell’amare, nel dare. Questa esigenza è nel più profondo del suo essere, credente o non credente che egli sia”. E si conclude: “E proprio in questa costatazione, suffragata dalla nostra esperienza, sta la speranza di una diffusione universale, domani, dell’Economia di Comunione”. Si prevede, dunque, che l’Economia di Comunione possa un giorno superare i confini del nostro Movimento. Riguardo poi sempre al dare, ma anche alle sue meravigliose conseguenze, troviamo scritto l’anno dopo, nel 1992: “Dare, dare, attuare il ‘dare’. Far sorgere, incrementare la cultura del dare. Dare quello che abbiamo in soprappiù o anche il necessario, se così ci suggerisce il cuore. Dare a chi non ha, sapendo che questo modo di impiegare le nostre cose rende un interesse smisurato, perché il nostro dare apre le mani di Dio ed Egli, nella sua Provvidenza, ci riempie sovrabbondantissimamente per poter dare ancora e molto e ricevere ancora e così poter venire incontro alle smisurate necessità di molti”. La causa dell’Economia di Comunione però non domanda solo l’amore ai bisognosi, ma verso chiunque perché così la spiritualità dell’unità esige. E perciò vuole che si amino tutti i soggetti dell’azienda. Si scrive, ad esempio: “Diamo sempre; diamo un sorriso, una comprensione, un perdono, un ascolto; diamo la nostra intelligenza, la nostra volontà, la nostra disponibilità; diamo le nostre esperienze, le capacità. Dare: sia questa la parola che non può darci tregua”. Nel ’95 si precisa il più profondo significato del dare:”Ma cos’è questa cultura del dare? E’ la cultura del Vangelo, è il Vangelo, perché noi il ‘dare’ l’abbiamo capito dal Vangelo. ‘Date – c’è scritto nel Vangelo – e vi sarà dato; una buona misura, pigiata, scossa e traboccante vi sarà versata nel grembo’ (Lc 6,38). Ed è quello che sperimentiamo quotidianamente. Se tutti vivessero il Vangelo, i grandi problemi nel mondo non esisterebbero, perché il Padre del Cielo interverrebbe a realizzare la promessa di Gesù: ‘… vi sarà dato’.” Durante questi anni, poi, non ci sono mancati forti impulsi sul significato più semplice del dare, sul dare concretamente, specie da certi santi. “All’affamato – dice san Basilio – appartiene il pane che metti in serbo; all’uomo nudo il mantello che conservi nei tuoi bauli; agli indigenti il denaro che tieni nascosto. Commetti tante ingiustizie quante sono le persone a cui potresti dare tutto ciò”. E san Tommaso d’Aquino: “Quando i ricchi consumano per i loro fini personali il sovrappiù necessario alla sussistenza dei poveri, essi li derubano.” Ma, trovandoci oggi tra persone con responsabilità d’azienda, ricorderei un altro scritto: “Non basta un po’ di carità, qualche opera di misericordia, qualche piccolo superfluo di singole persone (per raggiungere il nostro scopo): occorre che aziende intere e imprese mettano in comune liberamente il loro utile”. Nello scandire gli anni del decennio 1991-2001 è infine presente l’esigenza per l’Economia di Comunione di avere e formare “uomini nuovi”. Ma chi sono questi “uomini nuovi”? Sono, anzitutto, laici. Quei laici che oggi stanno vivendo un momento privilegiato. Conosciamo, penso, quelle sapienti parole dell’Antico Testamento che dicono: “Per ogni cosa c’è il suo momento, il suo tempo per ogni faccenda sotto il cielo. C’è un tempo per nascere e un tempo per morire (…). Un tempo per tacere e un tempo per parlare. (…) Egli (Dio) ha fatto bella ogni cosa a suo tempo.” (Qo 3,1-11) Ebbene: che tempo è quello che noi viviamo? Che tempo è per la Chiesa? Ce lo dice Giovanni Paolo II: “Nella Chiesa è scoccata oggi l’ora del laicato”. E, se così è, questo è il tempo nostro, vostro, dei laici. Ora, poiché il Signore conduce la grande storia del mondo e del cosmo e contemporaneamente la piccola storia nostra, di noi, sue creature, dobbiamo chiederci: come Egli vuole noi, laici, in questo momento? La risposta l’ha già data lo Spirito Santo in due modi: attraverso il Concilio Vaticano II e il sorgere dei nuovi Movimenti nella Chiesa. Il messaggio del Concilio è questo: i laici devono santificarsi là dove sono, nel mondo. Quindi come operai, impiegati, maestri, politici, economisti, tranvieri, casalinghe e così via. E lì dove sono, devono cristianizzare (rinnovare col Vangelo) i vari ambiti del vivere umano: con la testimonianza e con la parola, perché lo Spirito Santo ha donato ai laici doni speciali proprio per questo. Lo possono fare proprio loro e specialmente loro. Col Vangelo, vivendo integralmente il Vangelo. Infatti, i Movimenti hanno questo di caratteristico: i loro membri sono chiamati alla radicalità della vita evangelica, a vivere il Vangelo con autenticità: una grande vocazione che eleva la loro dignità. Nel ’98, in qualche nostro scritto, si precisa che sono laici sì, ma laici speciali, chiamati a questo, forse, per la prima volta sul nostro pianeta. I concetti sono questi: “Quando consideriamo l’Economia di Comunione dobbiamo pensare ad uno dei fattori che la rendono così bella, viva, di esempio nel mondo: essa è suscitata e portata avanti da laici. Mi ricordo che un tempo si diceva che il laico è colui che deve soltanto imparare. Igino Giordani, perché laico, si sentiva, con ciò, un proletario nella Chiesa. Ora, dopo il Concilio Vaticano II, e ad opera dei nuovi Movimenti, come il nostro che ha avuto origine da laici, vediamo come il laico sia protagonista. Perché? Perché si sta scoprendo, con grande gratitudine a Dio, con meraviglia e non senza sorpresa, che specie certi laici di oggi hanno qualcosa di particolare. Essi non si accontentano di realizzarsi con un lavoro, con una carriera, o con la semplice vita di famiglia. Non basta più; non sono sazi, non si sentono se stessi, se non si dedicano anche esplicitamente all’umanità. Per cui quel decidere di impegnarsi nell’Economia di Comunione, anziché esser loro di peso, è di gioia, per aver trovato il modo di realizzarsi pienamente. Ed è un fatto che commuove: potrebbero mettersi in tasca quegli utili guadagnati, comprare la pelliccia alla signora, nuovi doni ai bambini, la macchina al figlio… Ma non lo fanno, vivono per un grande Ideale e sono coerenti. E si santificano non nonostante la politica, l’economia ecc., ma proprio nella vita politica, in quella economica ecc. Dio li benedica e dia loro il centuplo già in questa vita e poi la vita piena”. E come sono ancora questi “uomini nuovi”? Sono anzitutto persone di grande fede perché di profonda vita interiore. Lo si dice sempre nel ’98. “Se noi nel fare l’Economia di Comunione viviamo il Vangelo, cerchiamo il suo regno, perché ci mettiamo in contatto con i nostri operai, ma da Gesù a Gesù; con i clienti, ma da Gesù a Gesù; con i concorrenti, ma da Gesù a Gesù; se noi facciamo così l’Eterno Padre pensa a noi. E vediamo verificarsi nel mondo dell’Economia di Comunione piccoli o meno piccoli miracoli di grazia. Imprese di tre operai, ora con più di duecento … Industrie che stanno per chiudere ma, perché sperano ancora, dicono: ‘Tiriamo avanti fino a domani.’ E intanto arrivano tutti i mezzi necessari per superare la crisi. C’è un Altro, insomma, c’è un’altra cassa che non è quella che abbiamo nel nostro ufficio: è una cassa Celeste che si apre al momento opportuno”. Nel 1998 si aprono pure orizzonti nuovi. L’Economia di Comunione richiede nuovi impegni, e si vede come essa nobiliti coloro che vi lavorano e dia loro dignità. “Occorre che l’Economia di Comunione non si limiti ad esemplificazioni nel realizzare imprese nuove ispirate ad essa, con qualche commento di chi è più o meno esperto, ma occorre che diventi una scienza con la partecipazione di economisti preparati che sappiano delinearne teoria e pratica, confrontandola con altre correnti economiche, suscitando non solo tesi di laurea, ma scuole da cui molti possano attingere. Una scienza vera che dia dignità a chi deve dimostrarla con i fatti e significhi una vera ‘vocazione’ per chi vi si impegna in qualsiasi modo.” Scuole di formazione per imprenditori, economisti, e i vari componenti dell’azienda Per attuare un’Economia di Comunione occorrono, dunque, una finalità chiara, la “cultura del dare” e “uomini nuovi”. Ma gli uomini nuovi sono coloro che vivono in modo attualissimo il Vangelo, attuano l’amore reciproco, fanno propria, in pratica, la spiritualità dell’unità che porta Gesù in mezzo a noi. E qui non possiamo non esultare perché proprio la spiritualità dell’unità o di comunione è diventata nelle ultime settimane – come è stato autorevolmente detto: “La base su cui opera la Chiesa in questo momento”. Il Santo Padre ha scritto nella Novo millennio ineunte, al paragrafo 43: “Prima di programmare iniziative concrete occorre promuovere una spiritualità della comunione (…). Spiritualità della comunione significa (…) capacità di sentire il fratello (…) come ‘uno che mi appartiene’, per saper condividere le sue gioie e le sue sofferenze, per intuire (…) e prendersi cura dei suoi bisogni (…). Spiritualità della comunione è pure capacità di vedere innanzitutto ciò che di positivo c’è nell’altro, per accoglierlo (…) come dono di Dio: un “dono per me” (…). Spiritualità della comunione è infine saper ‘fare spazio’ al fratello, portando ‘i pesi gli uni degli altri’ (Gal 6,2)”. L’Economia di Comunione è stata possibile perché è nata in un contesto di cultura particolare, la cultura dell’amore che domanda comunione, unità e aiuta a pensare ad un mondo nuovo, a creare un popolo nuovo, con una cultura nuova, che ha in sé quei valori cui noi teniamo di più. E’ per questo che occorre una formazione adeguata a questa cultura, e urge far nascere delle scuole per imprenditori, economisti, professori e studenti d’economia, per ogni componente dell’azienda. La scuola per i politici che vogliono aderire al “Movimento dell’unità”, stimata e già funzionante una volta al mese vicino al Parlamento, può suggerirne lo schema. Si tratta di seguire un iter spirituale, un cammino, facendo proprie le sue varie tappe; iter proposto da un membro esperto del Movimento dei Focolari, da vivere poi nel quotidiano. Si tratta, inoltre, di vederne le implicazioni nel mondo economico e di offrire a conferma valide esperienze. Il tutto, che dovrebbe durare circa due ore, si conclude con commenti e proposte dei presenti. Una cosa “semplice e fattibile”, così diceva un parlamentare presente, così – lo speriamo – diranno gli imprenditori. Quest’anno va dedicato, in modo tutto particolare, proprio alle prime realizzazioni di scuole per l’Economia di Comunione. Il nostro carisma lo vuole. La realtà dell’Economia di Comunione nel mondo lo esige. (altro…)