Apr 7, 2019 | Cultura
“Il pilastro del nostro lavoro sono i bambini, ai quali da sempre ci dedichiamo con l’obiettivo di farli crescere forti perché sono il futuro”. In occasione di una conferenza promossa in Italia dal Movimento dei Focolari, il 2 marzo scorso, dedicata al tema dell’educazione, Amine Mohammed Sahnouni, giovane sociologo algerino, parla del suo impegno educativo in favore dei giovani: per costruire un mondo migliore è necessario partire da loro.
Amine, hai detto che per ottenere risultati è importante avere una “vision”, degli obiettivi di lungo periodo, e se possibile condividerli con altri. Qual è la tua “vision” in campo educativo? Credo che noi sociologi siamo i medici della società, e come tali dovremmo andare sul campo e affrontare fenomeni sociali di tutti i tipi. In questa prospettiva la mia vision è “fare del mondo un posto migliore”, non solo per noi ma anche per le generazioni future. Tutti possiamo farlo, ma solo se iniziamo a cambiare noi stessi, anche a partire da piccole cose. Se vogliamo costruire una società più giusta, è essenziale dedicarsi alla formazione dei giovani. Quali sono i contenuti, le competenze e i metodi da proporre? I miei genitori mi incoraggiano, mi sostengono e mi guidano sempre. Mi hanno trasmesso il senso di responsabilità fin da quando ero piccolo. Ricordo ancora le parole di mio padre: “Amine, rendici orgogliosi di te”. Diceva sempre di mettere “Allah”, “Dio”, al primo posto in tutto quello che facevo: solo così sarei stato una persona di successo. Così il primo pilastro dell’educazione secondo me è la famiglia. Poi ci sono alcune competenze su cui lavorare: bisogna dare ai bambini più responsabilità, fidarsi di loro e guidarli perché le capacità di leadership si sviluppano fin da piccoli; è necessario dare loro fiducia, sostenerli e usare parole positive, in modo che possano sviluppare la loro autostima, i loro desideri e gli obiettivi; dobbiamo incoraggiare nei bambini il pensiero critico e insegnargli a condividere le loro opinioni di fronte agli altri. Tutte queste competenze si acquisiscono solo lavorando sul campo, anche attraverso programmi di scambio dove si incontrano giovani di paesi diversi, e anche cambiando il metodo di insegnamento tradizionale per rendere l’apprendimento facile e divertente. I leader religiosi, le istituzioni e le ONG chiedono attenzione per l’ambiente, ma le loro iniziative risultano insufficienti. Mentre per la giovane svedese Greta Thunberg, promotrice delle marce giovanili per il clima in tutta Europa, si parla di una nomination per il Nobel per la Pace. Significa che abbiamo bisogno di giovani per risvegliare gli adulti? Ammiro molto il coraggio e la determinazione di questa ragazza, che pur essendo molto giovane ha piena consapevolezza dei problemi ambientali, e questo è molto raro oggi, anche fra gli adulti. Questa grande “combattente” sta inviando un messaggio forte al mondo, ho molto rispetto per lei, dovremmo ispirarci al suo esempio. Credo infatti che le grandi conquiste partono da piccolo cose. Salire in bicicletta e attraversare l’Algeria, dal confine con il Marocco a quello con la Tunisia, può essere un modo per sollecitare l’impegno per l’ambiente. Puoi dirci com’è andata? Siamo un gruppo di amici pieni di passione e motivazione, e con il desiderio di ispirare i giovani. Dal 2012 la nostra filosofia è: se vuoi un cambiamento duraturo, inizia a cambiare te stesso. Con il tempo i nostri obiettivi sono cresciuti e abbiamo deciso di raccogliere la sfida di un nuovo progetto: attraversare l’Algeria da est a ovest in 15 giorni. Un progetto nato per sensibilizzare alla tutela dell’ambiente, promuovere i valori di cittadinanza, educare attraverso lo sport. Io e i miei due amici, Elhadi e Naim, abbiamo realizzato un video sul nostro progetto e in una sola settimana il video si è diffuso così velocemente che la gente ha iniziato a contattarci e offrirci aiuto. Anche durante il viaggio – nell’agosto 2017 – abbiamo ricevuto tanto sostegno e i risultati sono stati incredibili: 2 milioni di follower sui social media e in TV; abbiamo collaborato con più di 15 associazioni, strutture per bambini e club per ciclisti. Abbiamo sentito “Allah”, “Dio”, con noi ogni giorno e gli abbiamo chiesto coraggio, sostegno e forza per portare a termine la missione. E’ stata anche un’esperienza spirituale, abbiamo ricevuto le preghiere di tutti gli algerini e il sostegno delle nostre famiglie. In due sole settimane abbiamo suscitato altre campagne di sensibilizzazione, e dopo il progetto molte persone hanno seguito la nostra strada.
Claudia Di Lorenzi
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Mar 31, 2019 | Dialogo Interreligioso
“A Dio importa che siamo uomini e viviamo l’amore scambievole”. Intervista a Claude Gamble, pioniere dei Focolari in Marocco. Dopo il viaggio apostolico negli Emirati Arabi, il viaggio del Papa in Marocco è stato un’altra importante occasione, come lui stesso aveva detto, “per sviluppare ulteriormente il dialogo interreligioso e la reciproca conoscenza fra i fedeli di entrambe le religioni”. Claude Gamble, che ha seguito la nascita delle prime comunità dei Focolari nel Paese, ci offre dei brevi flash tratti dalla sua esperienza. Quali sono oggi le sfide per i cristiani in Marocco? La sfida è quella di costruire ponti. Oggi siamo in una fase di estremismi che coinvolge tutti, cristiani e musulmani. Nei quartieri poveri è molto pericoloso perché le persone sono prese da idealismi che le radicalizzano. Andando alla messa, a Tangeri, con un gruppo di persone che condividono lo spirito dei Focolari, più volte fuori dalla chiesa abbiamo trovato pietre lanciate per intimidire, però noi crediamo alla fratellanza universale ed è questo che dobbiamo testimoniare. Pian piano qualcuno accetta questa amicizia. In Algeria, dove ho vissuto, gli esempi di fratellanza sono tanti: ogni volta che andavo a far visita ad una famiglia mi sentivo a casa. Erano tutti musulmani ma eravamo fratelli. L’amicizia è l’antidoto all’estremismo. A Dio importa che siamo uomini e viviamo l’amore scambievole.
Cosa possiamo aspettarci da questo viaggio sul fronte del cammino per il dialogo? Il dialogo non è la ricerca di chi ha la verità, perché la verità ce l’ha Dio solo. Io credo che il Papa, come rappresentante della Chiesa cattolica, possa mostrare come vive il suo essere cristiano. Dunque si tratta di una testimonianza e come tale non si può rifiutare. Soprattutto perché lui viene in pace. La bellezza della mentalità araba è l’accoglienza, dunque accoglieranno il Papa come un fratello caro. L’incontro fra il Papa e il re è un invito a procedere insieme per il bene dell’uomo. Nel Movimento parliamo di dialogo ma anche di “comunione”. Vivere in comunione significa che io posso parlare da cristiano e tu da musulmano ma possiamo vivere insieme condividendo le esperienze. Questo si può fare a livello di relazioni personali, non di popoli, perché il dialogo è a tu per tu. In che modo persone di fedi e convinzioni diverse posso sentirsi fratelli? A livello umano è necessario valorizzare ciò che è comune. Nel Corano tutte le sure, tranne una, cominciano con la frase “Nel nome di Dio, il Misericordioso”, e con la parola misericordia un musulmano si avvicina molto a quello che noi intendiamo per amore. Dunque con i musulmani possiamo condividere la parola misericordia, che viene dal termine rahmache significa il grembo materno, dove c’è la culla della vita. E Dio, che è misericordia, ricorda l’amore di una mamma che custodisce il suo bambino. La stessa cosa vale per l’ebraico rehem, che ha la stessa radice semantica di rahma, e traduce le “viscere”, anche qui, di nuovo, il grembo materno. Dunque anche per l’ebreo la misericordia di Dio significa che dobbiamo avere un amore di mamma per gli altri. Per gli atei è lo stesso: un ateo che crede nell’uomo, crede nell’amore materno per l’altro. San Francesco, 800 anni fa, incontrava il sultano al-Kāmil in segno di pace. In Marocco inviò i primi frati. Da allora la presenza dei francescani nel Paese ha sempre incontrato grande rispetto. In Marocco i Frati Minori si lasciavano mettere in prigione per dare coraggio ai detenuti nelle carceri. Due di loro sono stati martirizzati. Recentemente il vicario generale di Tangeri ha ritrovato nelle biblioteche spagnole e marocchine più di 160 lettere tra i francescani e i sultani del Marocco, dove i sultani esprimono apprezzamento per il loro lavoro. Questo mostra che c’è un profondo rispetto per la Chiesa Cattolica. Il Re attuale ha chiesto il libro che raccoglie le lettere per conoscere questo antico rapporto. In definitiva, quale terreno comune ci può essere fra cristiani e musulmani? In comune c’è Dio. A chi dice che non abbiamo lo stesso Dio rispondo che non è vero. È come in una famiglia dove ci sono più figli. Col primo il padre è forse stato duro per correggerlo. L’ultimo è forse il preferito. Se a entrambi chiedi com’è il padre, il primo ti dirà che ne ha paura, l’ultimo che è un amore di padre. Eppure è lo stesso padre visto da angolature diverse.
Claudia Di Lorenzi
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Mar 28, 2019 | Cultura
Europe time to dialogue è un’iniziativa del Movimento dei Focolari, concepita per contribuire al dibattito in vista delle prossime elezioni del Parlamento Europeo. L’appuntamento è su Facebook. La scelta di un Social Network come Facebook è decisiva: gli ultimi grandi appuntamenti elettorali – ci dicono gli esperti – sono stati influenzati dalle incursioni nelle reti sociali di gruppi interessati ai risultati, spesso sollecitati da visioni incompatibili con le ragioni della democrazia. I Social, dunque, sono un territorio nel quale si deve essere presenti, se si vogliono offrire i temi del bene comune, della partecipazione e della solidarietà.
Con la campagna Europe time to dialogue si offriranno le ragioni di un Europa più fraterna e più coesa in tempi in cui, da molte parti, sembrano sorgere, invece, le nubi dei nuovi egoismi sociali, dei neo-sovranismi, dei nazionalismi. La cultura dell’unità che scaturisce dal carisma vissuto dai membri del Movimento dei Focolari è al servizio di una politica nella quale le spinte alla collaborazione, alla condivisione e all’aggregazione, sono favorite e incoraggiate. D’altronde, fra i grandi testimoni dell’Europa unita vi sono anche Chiara Lubich e Igino Giordani, i quali hanno sempre avuto chiaro che l’Europa unita doveva farsi promotrice della pace mondiale e della condivisione planetaria. “Gli Stati Uniti d’Europa per gli Stati Uniti del Mondo”: in questo modo, Giordani fin dagli anni Venti del secolo scorso, e Chiara Lubich nelle numerose circostanze nelle quali ha parlato ai politici di tutto il mondo, hanno intravisto con lucidità il destino del Vecchio Continente. Ecco perché la comunicazione di Europe time to dialogue si presenta con un duplice volto: un messaggio proveniente dal passato, cioè la citazione di qualcuno dei passaggi sull’Europa unita e la sua missione universale di figure come Chiara Lubich, Igino Giordani, Pasquale Foresi, Alcide De Gasperi, Konrad Adenauer, Robert Schuman, Paul-Henri Spaak, Jean Monnet…, e un commento d’attualità, sulla visione che scaturisce dal messaggio di questi grandi testimoni nella lettura dell’oggi. Per seguirci, basta collegarsi a Europe time to dialogue su Facebook, e contribuire con un commento, una riflessione, e condividere i post con tutti i propri amici.
Alberto Lo Presti
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Mar 24, 2019 | Cultura
Intervista al segretario per la Congregazione per l’Educazione Cattolica presente al convegno EduxEdu: “Occorre ricostruire il patto tra educando ed educatore”. Ci sono questioni che non trovano soluzioni definitive in un mondo in continua evoluzione. Bisogna sempre tenere il passo, correggere, reinterpretare e soprattutto trovare il modo di uscire dalle tante solitudini che attanagliano chi si occupa oggi di educazione. Da sempre, ma in particolare in questi ultimi anni, la Chiesa ha richiamato con accenti forti l’attenzione sull’emergenza educativa vista come una delle sfide antropologiche più coraggiose da attraversare nel nostro tempo. E su questa sfida Papa Francesco continua a insistere perché sta proprio qui il vulnus, il punto più fragile, la causa delle crescenti diseguaglianze sociali, è una sfida che viene molto spesso sottovalutata dalla politica e quindi scartata e isolata nella totale indifferenza. Mons. Vincenzo Zani, Segretario della Congregazione per l’Educazione Cattolica, ne ha parlato alla tavola rotonda dal titolo ”La vitalità dei sogni: dare un’anima all’educazione”, al convegno internazionale che si è da poco concluso a Castel Gandolfo, “Edu x Edu”, “Educarsi per educare – crescere insieme nella relazione educativa”. Il progetto è nato nel 2016 eha visto la partecipazione di circa 400 educatori, giovani, insegnanti dei focolari provenienti da diversi Paesi. Un cartello di promotori, oltre ilMovimento dei Focolari, ha sostenuto quest’anno l’iniziativa, come l’Università LUMSA, l’Istituto Universitario Sophia, AMU (Azione Mondo Unito onlus), EdU (Educazione e Unità) e AFN (Azione Famiglie Nuove onlus).
L’intervento di Mons. Zani ha puntato ad analizzare soprattutto la frattura tra le generazioni, una frattura fra culture, valori, ideali provocata anche dalla rivoluzione digitale, un potenziale straordinario ma che spesso disorienta. L’avvento dell’era dell’infosfera, gli sviluppi nel campo delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione stanno modificando le risposte a domande fondamentali. Di fronte a tale scenario qual è la proposta di Papa Francesco? Se torniamo per un momento al passato, scopriamo che l’educazione era un compito comunitario, una condivisione relazionale. Fare rete, aprire un dialogo a 365 gradi fra tutte le agenzie educative è la chiave che può vincere questa sfida. Educare non è infatti rimanere fissi nelle proprie sicurezze e nemmeno abbandonarsi solo alle sfide, ma tenere insieme i valori, le proprie visioni e mettersi a confronto con le altre realtà e una di queste dimensioni è quella della trascendenza, del rapporto con Dio, ha sottolineato Mons. Zani. L’invito è quello di metterci in rapporto e in servizio con gli altri, proporre un sapere non di tipo selettivo ma relazionale, che tende a includere, ristabilire a tutti gli effetti le fondamenta per un “patto educativo” che lasci spazio alla responsabilità educativa sociale per ricostruire armonicamente la relazione tra famiglia, scuola, istituzioni educative e civili e cultura. Occorre quindi rifondare questa alleanza per essere all’altezza delle sfide che il Papa ci ha lanciato.
Ed è proprio per rilanciare l’impegno di ricostruire il patto educativo che Papa Francesco ha incaricato la Congregazione per l’Educazione Cattolica di promuovere un evento mondiale che si terrà il 4 ottobre prossimo a Roma. “Occorre, infatti, – ha affermato Mons. Zani -, accompagnare gli uomini e le donne del terzo millennio, ma soprattutto i giovani, a scoprire il principio di fraternità che soggiace all’intera realtà: principio reso sempre più evidente dall’interdipendenza planetaria e dal comune destino di tutte le creature. Il Papa proporrà una “Magna charta” di principi ed obiettivi che verrà sottoscritta da lui stesso e da una rappresentanza di persone autorevoli, espressione dei vari mondi vitali e istituzionali del mondo, affinché diventi un impegno da assumersi a tutti i livelli attraverso progetti concreti in ambito educativo. Ricostruire il patto educativo a livello globale, educando alla fraternità universale, significa ricomporre la trama delle relazioni sociali sofferenti, danneggiate dagli egoismi individuali e dalle avidità collettive, puntando invece sul rispetto e sull’amore verso l’altro per trasformare e migliorare la vita personale e sociale. Se vogliamo cambiare il mondo – ripete Papa Francesco – occorre cambiare l’educazione”.
Patrizia Mazzola
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Mar 20, 2019 | Famiglie
Scoprire che il proprio figlio ha un disturbo mentale può essere uno choc che può paralizzare la mente e l’agire dei genitori. Oppure può prevalere il desiderio di ascoltare, accompagnare, perseverare, donarsi. Vivere la disabilità crescendo insieme. È la strada che hanno scelto Natalija e Damijan Obadic, sloveni, sposati da 14 anni, genitori di quattro figli. Il più piccolo, Lovro, oggi ha sei anni e tre anni fa gli è stato diagnosticato un deficit di attenzione. Sembrava non ci fossero alternative ai farmaci e ai trattamenti standardizzati. Invece la coppia ha sperimentato che anche la relazione è cura. E potenzia il trattamento. Talvolta individua soluzioni originali. Ma nessun risultato è acquisito definitivamente, anzi il percorso è ogni giorno sfidante. L’unione della famiglia e l’unione con Dio sostengono il cammino. Natalija, come avete reagito alla notizia che vostro figlio soffre di un deficit di attenzione? Ho rivisto davanti a me i bambini con questo handicap che ho incontrato nel mio lavoro di educatrice e i loro enormi problemi. Quel giorno io e Damijan abbiamo capito che l’atto d’amore più grande che potevamo fare per Lovro e per tutti noi era che uno di noi due lasciasse il lavoro. Avevamo un mutuo e stipendi modesti, ma sapevamo che per aiutare Lovro nel modo giusto avremmo dovuto dargli tanto amore, tempo ed energie. È stato molto doloroso, e sentivamo una grande incertezza, ma eravamo sicuri che l’amore di Dio per noi ci avrebbe sostenuto.
Cosa vi insegna l’esperienza con Lovro? Abbiamo imparato ad ascoltarlo fino in fondo. Quando gli dai delle istruzioni devi controllare se le ha colte, seguirlo in ogni azione e farlo ritornare continuamente a quello che deve fare, altrimenti si mette a giocare. Per lui portare a termine un’azione è come scalare la cima di una montagna irraggiungibile e quindi si ribella per non farlo. A volte va in crisi, con un pianto sfrenato, butta via tutto ciò che vede, dà calci e pugni. Allora, con calma e gentilezza, devi trovare il modo per reindirizzarlo a fare quello che doveva fare. Abbiamo imparato che con il nostro amore reciproco è possibile aiutarlo e che l’amore per Lovro ci guida nel capire cosa fare per lui. Come affrontate le difficoltà quotidiane? Ogni giorno preghiamo con lui perché riesca a far fronte alle sue difficoltà. Lui è consapevole di avere un disturbo e questo lo aiuta ad affrontarle. Con il nostro amore reciproco, da soli, riusciamo a seguire le indicazioni degli specialisti. Abbiamo capito che Lovro deve sentire il nostro amore incondizionato sempre. Parlando con lui cerchiamo di trovare il modo per migliorare ogni giorno. Anche gli altri figli sono coinvolti in questa “cura speciale” per Lovro. Che rapporto c’è tra loro? Con gli altri figli abbiamo parlato di cosa fare per lui, cosa pretendere e come perseverare per poterlo aiutare. Siccome la cosa è molto impegnativa abbiamo deciso di dividerci i giorni della settimana. Abbiamo spiegato ai figli che non devono impietosirsi quando chiedono a Lovro di completare un compito, perché così lo aiuteranno a imparare che ha dei doveri e deve portare a termine gli incarichi. Ci hanno aiutato molto e dopo tre mesi abbiamo visto i primi risultati. Una sera abbiamo detto a Lovro di mettersi il pigiama e venire a tavola. Per la prima volta lo ha fatto da solo senza distrarsi. Abbiamo festeggiato!
A cura di Claudia Di Lorenzi
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