Giu 2, 2021 | Focolari nel Mondo, Sociale
Dal 2019 il Paese sudamericano vive proteste sociali contro le scelte dell’attuale Governo. Il racconto di Daniel, giovane dei Focolari sul loro impegno verso soluzioni pacifiche delle tensioni. Cosa succede in Colombia? Il Paese vive forti tensioni fra le forze dell’ordine e i cittadini. Proteste contro le scelte dell’attuale Governo che – secondo i manifestanti – sta attuando politiche che aumentano disuguaglianze. Per capire cosa sta succedendo abbiamo intervistato Daniel Osorio uno dei Giovani per un Mondo Unito del Movimento dei Focolari in Colombia. Qual è la situazione attuale nel tuo Paese? Dal 2019 in Colombia ci sono state proteste di massa che mettono in discussione l’operato del Governo. Sono principalmente causate dai dissensi per politiche governamentali e l’esigenza di avere una educazione pubblica gratuita, ma non solo. Tra i motivi delle proteste anche l’uso eccessivo della forza pubblica contro i civili, a volte veri e propri i massacri. I manifestanti chiedono l’intervento della Commissione interamericana per i diritti umani per verificare i molti casi di presunte violazioni. Molti i feriti e le vittime in questi anni, in cifre: dal 2016 al 2020 sono stati registrati 971 omicidi di difensori dei diritti umani e leaders sociali. In particolare, nel mese di maggio 2021, la tensione è aumentata a causa del disegno di legge per la riforma fiscale che andava a colpire la fragile classe media e gli strati sociali più deboli e che maggiormente hanno sofferto l’impatto economico della pandemia. Le proteste sono sfociate in uno sciopero nazionale che ha coinvolto oltre 5 milioni di persone. E se gran parte delle proteste sono state pacifiche e culturali, ci sono stati anche alcuni atti vandalici e una repressione violenta da parte dello Stato che ha provocato vittime e feriti. Che ruolo hanno i social nel rendere il mondo consapevole di ciò che stai vivendo? Grazie all’influenza dei social, alla facilità nella generazione di contenuti audiovisivi e alla grande quantità di informazioni che circolano, le persone possono essere consapevoli di ciò che sta accadendo nel nostro Paese. A volte però è difficile essere certi dell’affidabilità e della veridicità dei contenuti replicati negli spazi digitali. D’altra parte la grande diffusione delle reti sociali facilita la diffusione di contenuti che avvisano tutti sulle richieste dei manifestanti, ma anche sulle segnalazioni di violazione dei diritti umani, aiutando ad avere un quadro sempre più completo e reale di ciò che sta accadendo. Cosa fanno in questa situazione la comunità dei Focolari e i Giovani per un Mondo Unito? Una volta iniziate le proteste come Giovani per un Mondo Unito abbiamo provato due sentimenti molto forti: una grande impotenza di fronte agli episodi concreti di violenza e un forte desiderio di poter fare qualcosa di concreto. Abbiamo iniziato subito con tre azioni:
- a livello locale, abbiamo creato uno spazio virtuale dove ognuno poteva esprimere ciò che sentiva, inteso come un mezzo per condividere e per ricevere nuove proposte e idee.
- Abbiamo lanciato un video sui nostri social network per rendere visibili ed incoraggiare le proteste pacifiche e culturali, certi che per cambiare la situazione del Paese sia questa la strada e non quella della violenza.
- Stiamo creando delle infografiche – che diffondiamo attraverso i social – per raggiungere il maggior numero possibile di persone in Colombia e nel mondo, spiegando le cause delle proteste, la situazione attuale nel nostro Paese, ma anche inviando un messaggio di speranza, comunicando l’importanza di essere uniti come Paese, come popolo, come società e come mondo.
Come vedi il tuo futuro e quello della Colombia? Nonostante la difficile situazione sento che c’è speranza, perché la ragione per la quale stiamo protestando e parlando è proprio questa: crediamo che la Colombia e il mondo possano essere luoghi migliori in cui vivere, con più giustizia, equità e unità.
Lorenzo Russo
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Dic 5, 2020 | Focolari nel Mondo
L’aiuto delle Comunità dei Focolari nei paesi latinoamericani: gesti concreti per essere “fratelli tutti”, così come invoca Papa Francesco nell’ultima enciclica.
In Perù e negli altri Paesi latinoamericani si assiste al continuo arrivo di migranti soprattutto venezuelani, ma anche cubani, centroamericani, haitiani, arabi. Le comunità dei Focolari ogni giorno si impegnano per aiutare queste persone. “La nostra avventura in Perù inizia pochi giorni prima del Natale 2017 – racconta Silvano Roggero, focolarino in Perù -. Abbiamo invitato a pranzo in casa alcuni venezuelani che abbiamo conosciuto. All’inizio erano in cinque, poi ci siamo spostati al Centro “Juan Carlos Duque” perché gli inviti superavano le 120 persone! Ricordo l’incontro di Geno con Karlin e i suoi tre figli piccoli. Accovacciata sul marciapiede, vendeva caramelle. Geno sente forte una voce dentro: “è Gesù!”. Tornata indietro compra alcune caramelle e la invita al pranzo. Quella domenica é venuta con i 3 bambini e ha portato anche sua sorella con i suoi due figli!” In Colombia vicino a Bogotá, Alba, arrivata migrante dal Venezuela nel 2014, è diventata un punto di riferimento per i “Caminantes” (migranti) che passano quotidianamente. Un giorno, non aveva ancora pranzato, passa una donna incinta con il compagno, bisognosi di una visita. Al dispensario c’era un’infermiera molto attenta e gentile che ha potuto aiutarli. Nonostante il freddo, la fame, la preoccupazione per aver lasciato i suoi colleghi volontari da soli e anche i figli a casa senza pranzo, Alba è rimasta ad aspettarli. Al termine della visita ha riaccompagnato i due giovani genitori, e cosa succede? I Caminantes sapendo ciò che Alba aveva fatto per loro, hanno messo insieme due spiccioli per comprare due cartoni di uova per lei, i suoi figli e i colleghi! Davvero il centuplo! Da chi? Da chi piú ha bisogno!
Alla fine del 2018 la comunità dei Focolari di Città del Messico si è unita nella “accoglienza umanitaria” delle carovane di migranti. Un’associazione civile che si ispira al carisma dei Focolari ha dato il suo apporto tecnico e nel coordinamento con le autorità. È stato attivato un canale per facilitare l’arrivo di alimenti, vestiti, prodotti per l’igiene personale e decine di coperte. Possiamo immaginare la gratitudine dei migranti. Anche il Brasile ha accolto tanti migranti. “La moltiplicazione delle donazioni ci sorprende – raccontano dalla Comunità locale -. Facciamo una richiesta per una stufa, improvvisamente otteniamo molto di più. Qualcuno ci chiede un lavandino e il giorno dopo una persona che non conosciamo si mette a disposizione e ne dona cinque. Un giorno un amico va a comprare qualcosa da donarci. Al venditore spiega i motivi dell’acquisto ed è sorpreso per lo sconto e per la consegna gratuita. In un’altra occasione una persona che non conosciamo ci dice: “farò un evento e ordinerò del cibo per voi da far arrivare a chi ne ha bisogno”.
Lorenzo Russo
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Nov 1, 2019 | Focolari nel Mondo
Una grave malattia ed il ricovero inaspettato in un Paese straniero sono l’inizio di un legame profondo di amicizia e condivisione tra due comunità dei Focolari in Colombia e Venezuela. Una telefonata una sera aprì un impensato capitolo nella nostra vita. Ci avvertivano che, in uno degli ospedali della città Bogotà (Colombia), era stato ricoverato il parente di un membro dei Focolari del Venezuela. Questa persona, venezuelana, era arrivata in Colombia come migrante, in condizioni precarie, e lavorava come muratore. Era stato ricoverato, perché gravemente malato. Due persone della comunità dei Focolari il giorno successivo si sono ritrovate in quell’ospedale, entrambe avevano sentito nel cuore che Dio le invitava a voler bene a questo fratello sconosciuto. Dopo essersi presentate, gli hanno assicurato che a Bogotà poteva contare non solo su loro due, ma su una famiglia più grande formata dalla comunità dei Focolari. Lui ha spiegato che era a Bogotà con un figlio che ora lo stava sostituendo nel lavoro. I medici hanno spiegato che le sue condizioni erano molto gravi. Contattando il figlio abbiamo saputo che vivevano in una capanna di fortuna. Attraverso un appello lanciato alla nostra comunità, abbiamo raccolto abiti e scarpe per loro. Qualche tempo dopo anche il figlio ha dovuto lasciare il lavoro per dedicarsi all’assistenza del padre. In quel periodo c’era tra noi chi lo invitava a colazione, a pranzo o a riposare per fargli sentire il calore di una famiglia. Altri facevano turni in ospedale per dargli un cambio e si continuavano a raccogliere beni di prima necessità per loro. Il papà intanto aveva espresso il desiderio di tornare in Venezuela. Ci aveva confidato che l’esperienza in Colombia gli aveva fatto sperimentare l’amore di Dio, portando in lui una vera conversione. Voleva rivedere la figlia piccola, salutare la moglie e morire con la pace nel cuore. Per questo viaggio occorreva però trovare il denaro per i documenti e per l’aereo, non poteva infatti viaggiare via terra. Anche i medici e gli infermieri, colpiti dalla situazione, hanno cercato di aiutarli in vari modi, raccogliendo anche una bella somma. Nell’attesa del viaggio, intanto si è reso necessario trasferirlo in un centro medico specializzato. Nonostante le difficoltà, dopo qualche mese, è stato ammesso. Qui i medici hanno spiegato che non c’era più nulla da fare, avrebbero dovuto dimetterlo, ma, vista la situazione, lo avrebbero tenuto ricoverato fino alla sua partenza per il Venezuela. Abbiamo anche chiesto ad un sacerdote di andarlo a trovare, in quell’occasione ha potuto confessarsi e ricevere l’unzione degli infermi. Il giorno in cui erano già all’aeroporto pronti per partire c’è stato un blackout a Caracas (Venezuela) e l’aereo è dovuto tornare a Bogotà. Ancora tre giorni di sospensione, alloggiati in un albergo vicino all’aeroporto, e poi finalmente la partenza. Poi il figlio ci ha fatto sapere, con gratitudine per l’amore ricevuto, che il papà era riuscito a tornare a casa e, qualche tempo dopo, era morto serenamente.
La comunità di Bogotà (Colombia)
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Apr 9, 2019 | Sociale
In Colombia una Fondazione per i bambini costretti a combattere o a lavorare nelle piantagioni di coca “Creare un luogo dove i bambini poveri trovano dignità, possono pensare a realizzare i loro sogni e fare un cammino in cui si formano con una mentalità di giustizia e di pace”. Con questi obiettivi Don Rito Julio Alvarez, sacerdote della diocesi di Ventimiglia-Sanremo, ha dato vita nel 2006, nel cuore della regione del Catatumbo, nel nord est della Colombia, alla Fondazione Oasi di Amore e Pace.
Sorta in una delle aree più povere della regione, dove don Rito è nato e ha vissuto per vent’anni, la ONG vuole offrire un’opportunità di riscatto ai tanti bambini che nel Paese sono arruolati fra le milizie di guerra o costretti a lavorare nelle piantagioni di coca. Un intento maturato dall’esperienza personale di don Rito, che – si legge sul sito della Fondazione http://www.oasisdeamorypaz.org/ – “da piccolo ha conosciuto la guerriglia, i gruppi rivoluzionari illegali che spesso passavano per il villaggio e cercavano di convincere i più piccoli ad arruolarsi. Alcuni suoi compagni, anche di 11 o 12 anni, hanno ceduto alle lusinghe dei rivoluzionari e sono morti uccisi negli scontri con l’esercito regolare. Anche il suo amico di infanzia è partito con i gruppi armati e a 14 anni è rimasto ucciso. Nemmeno del suo corpo, abbandonato, si è saputo più nulla”. “Negli anni 90 – racconta – i contadini del territorio si sono illusi che piantando la Coca avrebbero cambiato la loro vita, invece questo ha aggravato la situazione. Nel ‘99 entrarono i paramilitari e ci furono grandi massacri”. Divenuto sacerdote nel 2000, dall’Italia don Rito osservava il dolore della sua gente ferita dalla guerra scoppiata per il controllo delle piantagioni di coca, che vedeva contrapporsi paramilitari, gruppi armati filo governativi e guerriglieri. In un territorio di 250.000 abitanti furono circa 13000 i morti in pochi anni. Anche i suoi familiari furono costretti a sfollare e molti suoi amici rimasero uccisi.
Il bisogno di aiutare quelle persone era forte. Con i suoi familiari a Catatumbo decise di mettere in piedi una casa per i bambini-soldato e per quelli che provenivano dalle piantagioni di coca. “Abbiamo iniziato nel 2007 – ricorda – in una piccola baracca dove abbiamo accolto i primi 10 ragazzi. Non avevamo un soldo ma solo tanta buona volontà. Abbiamo sistemato i letti, mia sorella faceva da mamma e si occupava di far da mangiare. Mia mamma mi ha prestato le posate, i piatti, le pentole e le coperte. È iniziata così l’avventura”. Ad oggi la Fondazione ha due sedi, progetti che riguardano l’allevamento di pesci e bestiame e piantagioni di banane e caffè. Sono centinaia i ragazzi accolti: alcuni sono diventati loro stessi formatori e responsabili della ONG. Uno, che fra i parenti aveva un narcotrafficante della zona, è impegnato in politica. “Mi piace molto vedere alla Fondazione quei bambini che ho visto raccogliere le foglie di coca con le mani piagate – è il pensiero commosso di don Rito – qui crescono e vivono in un ambiente di pace, si sentono sicuri e possono pensare a un futuro diverso. Tutto questo mi spinge ad andare avanti senza paura. La fiducia nel Signore mi dà la certezza che questa opera potrà andare avanti”.
Claudia Di Lorenzi
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Ott 25, 2018 | Cultura, Focolare Worldwide, Focolari nel Mondo
«Durante i mesi estivi ho partecipato al programma di tirocinio aziendale della rete di aziende aderenti all’Economia di Comunione degli Stati Uniti. Così, quale complemento al biennio in Economia e Gestione che sto svolgendo all’Istituto Universitario Sophia, nella cittadella internazionale di Loppiano, in Italia, mi sono ritrovata nei mesi di luglio e agosto nell’Indiana. Pensavo che sarebbe stata soltanto un’esperienza di ricerca scientifica. Invece mi sono trovata immersa non solo in una serie di attività, ma anche in una avvincente avventura personale. Un promemoria per le prossime volte: quanto è necessario disarmare le nostre aspettative per accogliere in profondità ogni esperienza! Il programma di tirocinio per giovani si svolgeva presso Mundell & Associates Inc., con sede a Indianapolis. Quest’anno però c’era qualcosa in più: gli stagisti potevano trascorrere del tempo e condividere le loro competenze professionali anche all’interno di Project Lia, un’altra azienda di EdC che si sviluppa lungo due dorsali: impatto sociale e impatto ambientale. È stato un vero extra-bonus potermi avvicinare anche a questo settore di business. E non mi sono lasciata sfuggire le opportunità che ho avuto!
Vorrei condividere un paio di pensieri. Anzitutto, ritengo che uno degli aspetti più importanti per studiare, osservare, praticare e promuovere l’EdC sia la volontà di collaborare. Per entrare nelle dinamiche relazionali di questa proposta, è necessario aprire il cuore, la mente e gli occhi a quei piccoli dettagli che rendono ogni giornata qualcosa di straordinario: l’incoraggiamento reciproco e l’accoglienza sorridente, il riconoscimento del valore e dell’umanità dall’altro, l’incontro con persone mai conosciute, la capacità di stupirsi, la ricerca di equilibrio tra i diversi aspetti della vita, la scelta di privilegiare ogni occasione di apprendimento, assumere nuove informazioni, riconoscere e sostenere il cambiamento in atto, partecipare alla trasformazione di concetti obsoleti. Edc è una proposta economica diversa dalle altre, perché gestita da persone diverse. Non è il modello in sé, sono le persone che costituiscono il centro dell’azione.
Mentre mi preparavo a ripartire, a conclusione, mi chiedevo: come descriverò questa esperienza? Lo stage è stato molto impegnativo: l’incontro con Project Lia, innovativa esperienza imprenditoriale, mi ha dato molto. Tra il resto, lavorando in stretto rapporto con Elizabeth Wallin, che è stata l’iniziatrice del progetto, mi sono vista nel futuro ad affrontare e superare sfide e momenti difficili. Apprezzo molto il tempo che ho avuto per conoscere la sua storia: mi ha permesso di comprendere il business, ma anche di entrare in contatto con l’essenza di un’impresa che ha una finalità sociale. Ho constatato che avviare una startup è un processo molto arricchente. Non è un segreto che fare impresa sia una continua scoperta di nuove cose, una battaglia. Osservando Elizabeth, giorno per giorno, ho ammirato la sua capacità di navigare in un mare di cambiamenti. Dare il via ad un’azienda è un’attività che nasce dall’intelligenza, ma anche dal cuore. Per progettare una società EdC, bisogna saper uscire dalla propria comfort-zone per andare incontro agli altri, così come sono. Servono pazienza, umiltà, flessibilità. Quando si aprirà questa strada anche per me, mi avvicinerò di più a quella che sono davvero». Fonte: sophiauniversity.org Leggi anche: Project Lia, trasformare vite (altro…)