Movimento dei Focolari

Esperienza quotidiana lavorando in carcere

Il sistema penitenziario brasiliano oggi desta curiosità e insieme suscita tristezza e ribellione. Ho iniziato a lavorare nelle prigioni come agente penitenziario, dopo un concorso pubblico. Nei primi mesi ho visto situazioni scioccanti, come un detenuto accoltellato e agonizzante, cose che ancora oggi succedono nelle prigioni. Dopo un po’ di tempo, sono andato a lavorare nel settore amministrativo. Fra i funzionari la maggioranza si limitava a lamentarsi, solo qualcuno collaborava per un’opera di reintegrazione sociale dentro il carcere. Mi sono rivolto a questi e abbiamo cominciato ad agire insieme. Alcuni dei miglioramenti che introducevo – che non rientravano nella quotidianità del carcere – venivano criticati, varie volte sono stato deriso. Questa è stata la prima barriera che ho superato. D’altro canto, ho sempre avuto la fortuna di trovare persone che credevano nel mio lavoro, e a loro sono molto grato. Anche se ora sono nel campo direttivo, l’esperienza che ho fatto insieme ai funzionari di base rimane molto importante per la mia formazione professionale. Ho ricevuto l’incarico di supervisore tecnico e direttore temporaneo del penitenziario di Sorocaba, vicino a San Paolo (con circa 1.300 detenuti). Lì, la maggior parte dei detenuti da rieducare dimostra interesse ad essere reintegrati e facilita il nostro lavoro rieducativo. Lungo la mia vita, ho raccolto valori importantissimi e mi sono accorto che il bene ci procura una qualità di vita imparagonabile, l’ho praticato, esercitato e vissuto, riconoscendo che tutti gli uomini sono uguali. Non ho una specifica religione, ma tutto quello che ha a che fare con il positivo e il bene, mi ha sempre  attratto. Credere nell’essere umano, nella fraternità, mi ha aiutato molto in questo lavoro, come mi hanno aiutato le persone che ho incontrato. Una di esse è Claudiano, responsabile del settore di educazione del penitenziario; è sempre pronto ad aiutare, vuole rinnovare le strutture e riesce a coinvolgere profondamente i carcerati affinché acquistino nuovi valori, come il rispetto per l’altro. E’ stato lui ad organizzare al penitenziario la venuta del “Gen Rosso”, un complesso musicale del Movimento dei focolari che ho così conosciuto, ritrovando ideali comuni. Alcuni flash: ho cominciato a portare il mio skateboard al lavoro in modo che i carcerati potessero usarlo nel cortile, al sole. Un’altra volta mi sono recato per una conferenza in un penitenziario per adolescenti portando con me L., che ha raccontato la sua scelta di lasciare la criminalità e cambiare vita. Io ho raccontato la mia esperienza, di come ho scelto il bene e ho potuto far loro  vedere i benefici che questo comporta. In quei ragazzi è nata l’idea che è possibile iniziare una altra vita, liberandosi dal crimine e dal male. Questa conferenza d’ora in poi farà parte di un progetto, in gemellaggio con il Ministero dell’Istruzione, per le scuole pubbliche, con la finalità di far vedere agli adolescenti come è vantaggioso evitare il male che la vita di strada presenta. Di recente abbiamo incominciato un’esperienza sociale che prevede che i carcerati aiutino diversi tipi di emarginati: bambini abbandonati, persone diversamente abili, malati, anziani, ecc… Nel penitenziario di Sorocaba continuiamo a lavorare per questi progetti, e proponiamo una nuova visione del carcere che mira a migliorare l’ambiente ed i rapporti. La mia vita si é trasformata, dal punto di vista umano e sociale.

Il coraggio di mettersi in gioco

Il modulo per la domanda di insegnamento che ho davanti mi dice che la vita da studente si è ormai conclusa. La casella in cui indicare la provincia prescelta mi incalza. Meglio restare in questa mia città del Sud, o andare altrove? Mi è richiesta una scelta di vita. Molti miei colleghi scelgono il Nord, per avere maggiori possibilità di lavoro e per allontanarsi da quella realtà che spesso la cronaca nera porta alla ribalta: illegalità, devianza, criminalità. Eppure, tanto mi lega alla mia città! Non solo famiglia, affetti, amici, interessi, ma anche la speranza di poter fare qualcosa, andando controcorrente, nonostante i miei limiti. Mi torna in mente l’esortazione di Chiara ai giovani: “morire per la propria gente…”. L’idea di restare, rischiando di imbattermi in minori occasioni di lavoro ed in ‘scuole difficili’, cresce in me, con un po’ di incoscienza. Ne parlo a casa, con la mia fidanzata, con i colleghi. E’ sera, e domani il modulo va spedito. La scelta è fatta: rimango. In periferia e nelle zone disagiate c’è più possibilità di lavoro, non essendo posti ambiti. Penso: “Che posso farci io in questo quartiere, zona di lotte di camorra, dove si spara e si uccide? Posso amare! Che Dio mi aiuti”. E così indico alcune scuole ‘di frontiera’, accanto a scuole ‘d’élite’. Dio mi farà capire dove mi vuole. Dopo qualche mese vengo nominato con incarico annuale. Incredibile, entro nel mondo della scuola dalla porta principale, col contratto migliore! Il giorno che mi presento a scuola le lezioni sono sospese per atti vandalici perpetrati la notte prima. Capisco subito che Dio mi ha preso in parola: il momento della prova è arrivato. Il contesto è particolare, il disagio sociale si fa sentire. Le giornate si susseguono tra momenti di sconforto in cui tutto sembra non funzionare ed altri in cui gli occhi dei ragazzi si illuminano, mi cercano, perché vogliono emergere e prepararsi un futuro migliore; mi aggrappo a questa speranza, ed il mio patire trova un senso. Non so se ‘resisterò’, perché a volte è proprio dura fronteggiare i bulli, ottenere rispetto, parlare di matematica in questi contesti. Ma so che, attimo dopo attimo, posso cercare di far entrare Dio nelle aule; portarlo nei rimproveri, nei voti, nei colloqui, nelle dispute, nelle spiegazioni, nei silenzi, nelle annotazioni sul registro. Se Lui mi ha voluto qui, c’è un perché. (P.D. – Italia) (altro…)

Uno spirito nuovo nella scuola, grazie al dado dell’amore…

Lavoro come professore di inglese in una scuola del Cairo: gli studenti sono quasi nella maggioranza musulmani, di famiglie molto ricche. Ho iniziato ad insegnare quando si avvicinava il mese di Ramadan. Come prima attività nelle mie due nuove classi, ho proposto la realizzazione di una decorazione tipica di questo periodo. Gli altri insegnanti, nella maggioranza musulmani, sono rimasti colpiti, perché sapevano che ero cristiano; in classe si è creato da subito, con questo piccolo gesto, un bellissimo clima di amicizia tra tutti e, decorando insieme l’aula, si iniziava a capire che la regola più importante sarebbe stata l’imparare a volerci bene tra noi. Il miglior esame della classe – C’era in classe un bambino che soffriva di autismo: spesso assente col pensiero, aveva difficoltà di integrazione. Nonostante i suoi 10 anni, non riusciva a scrivere, e bisognava ripetergli molte volte ogni cosa. La madre, angosciata, non sapeva più cosa fare, giacché non trovava una scuola che si prendesse cura del suo caso. Ho cercato così di rimanere con lui durante l’intervallo, per giocare, parlare, incoraggiarlo a studiare di più a casa. Un giorno lui, normalmente molto serio e poco espressivo, entrando in aula mi abbraccia dicendo “vi voglio tanto bene Mister!”. Durante l’esame del primo semestre, l’ho visto prendere la matita con sicurezza e scrivere con sveltezza e correttamente le risposte ad ogni esercizio. E’ stato il miglior esame della classe! Studenti, genitori, colleghi: tutti coinvolti nella ‘gara’ – Ognuno degli allievi, sentendosi particolarmente amato, per corrispondere a questo amore  si sforzava di imparare ogni lezione, facendo il meglio possibile i compiti a casa e portando lavoro supplementare di propria iniziativa. In classe, quando qualcuno finiva per primo gli esercizi, si offriva di aiutare quello più in difficoltà, creando una “gara” di amore tra tutti. Ho ricevuto molte lettere e telefonate dai genitori, che ringraziano di come mi sto prendendo cura dei figli e mi confidano anche i loro problemi personali. Spesso pure i professori vengono a trovarmi durante l’intervallo per chiedermi consigli sul mio metodo pedagogico, e si apre così, con ciascuno, un profondo dialogo. Alla fine dell’anno, una notizia sorprendente – La premiazione della scuola mi designa come il “professore dell’anno” per “lo spirito nuovo che ha dato nuova luce all’insegnamento” e che ora tanti dei professori sono interessati a conoscere e imitare. Un passo ulteriore: come regola delle due classi ho introdotto il “dado dell’amore”: ogni mattina si tira e un allievo per volta spiega (in inglese) come mettere in pratica la regola del giorno. All’esame settimanale poi gli studenti devono scrivere le loro esperienze su come hanno messo in pratica le varie regole del dado. Un giorno entro in classe e trovo 22 lettere sul mio tavolo: sono 22 bellissime esperienze che, di loro iniziativa, hanno voluto comunicarmi: amare per primo, amare tutti, amare il nemico… e questo durante le lezioni, durante l’intervallo, nel pullman per tornare a casa… Le ho portate subito al direttore della scuola. Alla fine di quella mattinata tutti i docenti sono convocati ad un raduno  fuori programma: “Questa scuola ha bisogno di uno spirito nuovo – ci dice il direttore – e questo dado è la risposta adatta. Dal semestre prossimo, introdurremo la pedagogia del dado dell’amore in tutte le classi.” Ogni mattina i professori entrano con il dado sotto il braccio, presentando a tutti gli allievi l’«arte di amare». Il clima della scuola sta cambiando, non solo tra i ragazzi, ma anche tra i professori e nel rapporto tra la direzione e il corpo docente. (B. S. – Egitto) (altro…)

Una preghiera continua perché continuo è l’amore

Un’ordinaria giornata straordinaria

Una mattina mi alzo e mi preparo per andare a Messa. In famiglia però mi viene chiesto di portare la macchina dal meccanico e di farlo subito per essere lì all’apertura e fare in modo che sbrighino il lavoro in giornata. Subito penso: non è giusto che debba andare proprio io che uso la macchina meno degli altri, ho un programma molto più bello e più importante che andare dal meccanico… Vado: so che è Gesù che me lo chiede! Sono immersa nel traffico della mia grande città e subito perdo la pazienza…ma torna il sorriso: è Gesù che posso amare negli altri automobilisti! Arrivo dal meccanico e mi dice che non può svolgere il lavoro, ma devo andare da un suo collega di cui mi dà l’indirizzo; dall’altra parte della città. Non ci voleva proprio, ma anche nell’”imprevisto”: grazie Gesù, sei Tu che mi vieni incontro ed è Te Solo che voglio amare! Raggiunta la nuova méta e lasciata la macchina, mi dirigo a casa. Ora posso fare le “mie” cose, ma incontro un ex compagno di università, che ha bisogno di parlare…: che occasione unica per poter ascoltare e consolare Gesù in questo volto di “solitudine”! Non ricordo più esattamente come è continuata quella giornata, ho solo impressa nell’anima la pienezza, la gioia, la dolcezza in cui mi sono sentita avvolta quella sera, frutto della Sua compagnia in ogni attimo e in ogni circostanza della giornata. La tensione a rendere “vita” la Parola del mese, rinnovata in ogni attimo presente e dopo ogni caduta o rallentamento, mi ha fatto sperimentare in modo tutto nuovo quanto è vero che vivere il Vangelo ordinariamente fa di ogni giornata “ordinaria” qualcosa di straordinario!!! (I. R.  – Italia)

Come i vasi comunicanti…

Quest’ultimo periodo con mia sorella non è stato tanto facile. Facevo fatica ad avvicinarmi a lei. Da due anni si e allontanata da Dio ed è in una permanente ricerca. Negli ultimi giorni aveva litigato col fidanzato e a questo si aggiungevano anche difficoltà nel lavoro. Era molto triste e non sapevo come aiutarla. Una sera, mentre meditavo nella mia stanza, lei si è avvicinata e mi ha chiesto cosa stessi facendo. Le ho risposto che pregavo e l’ho invitata a pregare per la sua situazione, ma mi aspettavo un no da parte sua. Con sorpresa la sua risposta è stata affermativa. E’ stato bellissimo, perché è stata lei stessa a pregare, specialmente per la sua situazione di lavoro e per il rapporto con il fidanzato. Il mattino seguente, prima di uscire, alle 7.00, mi ha chiesto se potevamo pregare giacché doveva affrontare quella difficoltà al lavoro. La sera quando è tornata era molto felice e mi ha raccontato che le cose nel suo lavoro erano andate meglio, con il fidanzato si erano riavvicinati. Il giorno seguente è voluta venire a Messa con me. (C.D. – Brasile)