Ott 1, 2006 | Focolare Worldwide, Focolari nel Mondo
Viviamo a Gela, sulla costa meridionale della Sicilia, originariamente una delle più importanti e belle città della Magna Grecia, ma intorno agli anni ’70, vittima di una crescita urbanistica disordinata e a dismisura come conseguenza dell’insediamento di un grosso impianto industriale per la raffinazione del petrolio e della produzione chimica. Qualche anno fa cercavamo una casa più grande per la nostra famiglia, cresciuta con l’arrivo dei tre figli, e abbiamo scelto di risiedere in uno dei quartieri di nuova formazione. Era chiamato “Fondo lozza” e mancava di tutto: la strada non era asfaltata e con la pioggia spesso si riempiva di fango; non c’era illuminazione pubblica; non esistevano la rete idrica, quella fognaria e alcun sistema di depurazione, con notevoli problemi igienici e sanitari; di servizi sociali e di trasporto pubblico neanche a parlarne. Pian piano abbiamo dato vita a un comitato spontaneo che ha coinvolto i circa tre mila abitanti del quartiere. Si è instaurato un rapporto nuovo con le istituzioni locali: tra le prime iniziative abbiamo inviato più di quattromila cartoline al sindaco con la richiesta di realizzare le primarie opere di urbanizzazione. Da lì è nato un colloquio che si è sostituito alla contrapposizione, fatta spesso di blocchi ferroviari violenti e di insulti, ma fondata sui diritti riconosciuti dalla costituzione e dalle leggi. Abbiamo instaurato innumerevoli rapporti con le famiglie, le assemblee e le riunioni di quartiere. La cosa non è passata inosservata: l’amministrazione regionale ha stanziato 5 miliardi di vecchie lire per il risanamento del quartiere. Successivamente l’amministrazione comunale ha approvato il piano di recupero urbanistico del quartiere e si sono potuti realizzare l’illuminazione pubblica, la rete idrica, l’impianto di depurazione e la pavimentazione delle strade. Il nostro comitato verificava quasi ogni giorno l’attività delle istituzioni locali: dalle deliberazioni iniziali, all’affidamento degli appalti delle opere, alla loro esecuzione. Infatti la costruzione della rete idrica e fognaria è stata ultimata grazie alla tenacia e alla tempestività con cui cittadini e amministratori hanno affrontato il problema della sostituzione dell’impresa costruttrice che nel frattempo aveva abbandonato i lavori per motivi di natura aziendale. Il sindaco di Gela, parlando agli abitanti del quartiere e riferendosi all’esperienza vissuta con loro, così si esprimeva: “Convivono due realtà che lavorano insieme per far crescere la funzione sociale nel quartiere; in questo modo si è potuto giungere a un risultato comune, che da un lato vi ha portato benefici, dall’altro ha dato la consapevolezza a chi amministra di avere fatto un po’ del proprio dovere per rendere più a misura d’uomo questa città.” E’ avvenuta una svolta nel quartiere: a livello culturale, sociale e metodologico. La società deve poter andare alla ricerca di ciò che unisce pensando che il problema “tuo” è in realtà di tutti. E adesso la nostra zona si chiama “Quartiere nuovo” anche per il rapporto realizzato tra due realtà spesso contrapposte tra di loro: i cittadini e l’amministrazione pubblica. (R. e C. G. – Sicilia) (altro…)
Ott 1, 2006 | Focolare Worldwide, Focolari nel Mondo
Un ingegnere ungherese che ha ricevuto dal Ministero dell’Ambiente un riconoscimento per aver contribuito, con il suo lavoro, alla realizzazione della fraternità nella famiglia europea Lavoro al Ministero dell’ambiente ungherese ed una parte della mia attività ha riguardato la partecipazione alle trattative relative all’adesione del nostro Paese all’Unione Europea, in particolare per quanto si riferiva al problema dell’inquinamento acustico. Nella prima fase del processo di adesione dei nuovi 10 Paesi, si dovevano confrontare i propri standard di rilevamento acustico con quelli dell’Unione Europea, esponendo la situazione del proprio Paese. Fino al 2002 infatti non esisteva una legislazione comune, in ambito europeo, sull’inquinamento acustico. I vari Stati dell’Unione Europea, quindi, stabilivano con procedimenti diversi il grado di inquinamento e i modi per proteggersene. Alle volte però era possibile che venissero forniti dati non sempre corrispondenti alla realtà. Nel corso dei lavori ho notato che era ormai abitudine basare i rapporti sulla reciproca diffidenza. Continuavo a ripetermi: ”Se si vuole costruire l’Europa unita, non ci si deve fondare sulla sfiducia, ma sulla sincera accoglienza e sul reciproco scambio, perché l’Unione Europea – lo dice il nome stesso – vuole essere una comunità e non un consorzio di interessi.” Era l’idea originaria dei Padri fondatori, com’è indicato nello Statuto. Poi questi valori si sono persi nell’attuazione pratica o magari spesso non venivano affatto messi in atto. Mi sono chiesto: ”Ma io, adesso, cosa posso fare?” Prima di tutto ho manifestato queste perplessità ai colleghi ungheresi: “Io non aspiro certo a una famiglia europea che lavora in modo scorretto e mette in difficoltà i nuovi membri. E neanche intendo, come nuovo Paese dell’Unione Europea, imbrogliare gli altri Paesi sulla nostra situazione, magari nel modo più elegante possibile….” Nella fase successiva, durante le trattative tecniche con gli esperti dell’Unione Europea, ho cercato di evidenziare con sincerità anche i problemi che ancora persistevano. Come capo della delegazione ungherese, ho scelto di confrontarmi continuamente con i miei colleghi nel corso della riunione, per poter rispondere insieme alle domande. Questo nuovo stile è stato apprezzato da tutti e i colleghi dell’Unione Europea, già durante la pausa che seguiva alla nostra relazione, ci hanno proposto di tenere le riunioni successive in Ungheria. Ci siamo preparati ad accoglierli e a farli sentire parte di un’unica famiglia europea: il programma infatti, oltre alle informazioni tecniche, prevedeva visite di Budapest nei luoghi che meglio esprimono la nostra cultura. Anche grazie a questa ospitalità, le trattative si sono svolte nella comprensione reciproca durante le fasi successive. In particolare, abbiamo collaborato a una nuova regolamentazione dell’Unione Europea per l’inquinamento acustico ed è nata una soluzione che rispecchiava veramente il pensiero e le aspirazioni di tutti. Ho cercato di partecipare attivamente al processo legislativo, sfruttando tutte le occasioni e avendo sempre presente l’idea della fraternità. Il risultato finale ha messo in evidenza che gli Stati membri pongono al primo posto la reciproca responsabilità gli uni verso gli altri. La nuova regolamentazione infatti – tenendo conto delle caratteristiche di ogni Paese e lasciando piena libertà a ciascuno Stato – prescrive una forma unitaria per la misurazione, la raccolta dei dati e la presentazione dei risultati. In questo modo in Europa è possibile portare a termine verifiche e valutazioni a tutto campo sullo stato dell’inquinamento acustico. Sulla base della valutazione dei dati raccolti a livello europeo ci sono le premesse perché l’intera comunità cerchi insieme le soluzioni per territori sempre più inquinati. E’ un nuovo importante passo per costruire una vera comunità solidale. (M. B. – Ungheria) (altro…)
Set 28, 2006 | Cultura, Focolare Worldwide, Focolari nel Mondo, Sociale
Ero uno dei quattro direttori di vertice del porto di Genova, nel nord Italia, uno tra i più importanti del Mediterraneo. Ho dovuto lasciare il mio lavoro per ridimensionamento dell’incarico. Dopo lo smarrimento iniziale, con alcune persone, con le quali condivido la spiritualità dell’unità, abbiamo pensato di metterci al servizio dei cittadini della nostra città per costruire una società per l’uomo. Nella mia città era in funzione un’industria che produceva gas di scarico molto inquinanti, gli effetti di questo grave inquinamento nel quartiere erano evidenti. Negli ultimi dieci anni erano morte 700 persone per tumore al polmone, dovevamo dunque lavorare al progetto che portasse alla chiusura degli impianti senza far perdere lavoro a quelle 600 persone occupate nell’industria. In Olanda mi era rimasto impresso come venivano assemblate le bambole di porcellana cinese. Il corpo di porcellana proveniente dalla Cina era rivestito dell’abito che veniva dall’India e poi venivano montati gli occhi prodotti in Italia. Alla fine, il prodotto veniva confezionato in scatole e spedito al negozio. Anche l’area del porto di Genova, mi sembrava si prestasse alla realizzazione di una piattaforma portuale nella quale trasformare le merci più varie in prodotti finiti e confezionati. L’idea ha subito interessato le istituzioni della città. Si è così passati alla sua realizzazione. Il progetto avrebbe garantito 4.000 nuovi posti di lavoro, ben oltre i 600 dell’industria da chiudere e 12.000 posti di lavoro indiretti. Immediati i consensi. Lo stesso proprietario dell’industria riconosceva la validità del progetto per le prospettive di sviluppo. Tuttavia le difficoltà non sono mancate, ma i miei colleghi non cristiani mi dicevano: “Il progetto può anche morire, ma risorgerà ancora più bello”. Ed è stato così. A dicembre 2005 il proprietario dell’industria ha firmato un accordo per la chiusura degli impianti e la riconversione dell’area secondo il nostro progetto, nel quale sono ora occupati i 600 lavoratori in esubero. L’Unione Europea ha recentemente inserito il corridoio Genova – Rotterdam fra quelli di interesse europeo. La Banca Europea degli Investimenti ha dichiarato l’immediata finanziabilità. Il governo italiano ci ha proposto di prendere parte in futuro ai progetti di cooperazione tra sistemi portuali trasnazionali a beneficio dell’intera Unione Europea nell’ottica dell’alleanza tra i porti. E non è finita qui! Il porto di Rotterdam era per Genova un concorrente da combattere, mentre oggi è stato sviluppato un progetto di alleanza tra i due porti per una nuova rotta mondiale di collegamento fra l’Estremo Oriente e gli Stati Uniti. Questa idea è stata presentata alla Conferenza Mondiale dei Porti di Seoul ed è stata definita un’opportunità concreta per il miglioramento delle economie marittime mondiali. (R. Z. – Italia) (altro…)
Set 28, 2006 | Focolare Worldwide, Focolari nel Mondo, Sociale
Sono nata a Santa Maria, in una regione ai piedi delle Ande, ricca di cultura aborigena ma molto povera. Sono una discendente degli aborigeni “calchaquies”, sposata e madre di 7 figli. Per 12 anni mi sono formata alla Scuola Aurora. Lì, oltre a leggere, a scrivere e alla tessitura, ho imparato a vivere la spiritualità dell’unità. Nel 2003, di fronte alla disoccupazione dilagante, ho avviato una filanda per rifornire il laboratorio di tessitura della scuola. Non è stato facile convincere le donne della mia terra, da sempre discriminate, a riprendere il lavoro di filatura, dato che per arrivare alla filanda occorreva attraversare fiumi e fare ogni giorno molti chilometri. Non avevamo mezzi. A poco a poco ognuna ha messo a disposizione ciò che aveva: un fuso, dei chili di lana o la propria abilità in questa arte tradizionale. Rimaneva il problema dei costosi macchinari. Un giorno sono costretta a chiedere un passaggio e confido al conducente la mia preoccupazione. Egli mi dice che lui sapeva fare macchine per filare. “Ce le puoi fare?” gli domando. E lui: “Sì, mi pagherai quando potrai”. Non mancano altri ostacoli: perdiamo il locale in cui lavoriamo e la più esperta si licenzia. “Con tutto quel che ci succede non sarà che ci dobbiamo arrendere?” si domanda una ragazza, che esprime il dubbio di noi tutte. Durante il trasloco troviamo una immagine della Madonna. Mi sembra molto significativo e propongo alle altre di fare un patto: lavorare ogni giorno nell’amore le une verso le altre. Poco dopo riceviamo una donazione con la quale possiamo acquistare un immobile e delle attrezzature. Così è nato l’atelier “Tinku Kamayu” che significa “ Riunite per lavorare”. All’inizio eravamo 8 e oggi, dopo due anni, l’organico dell’azienda è salito a 18 artigiane con una produzione crescente. Oggi sento di essere parte di un grande progetto che mi coinvolge con tante altre persone calchaquies. Abbiamo ritrovato la nostra identità e, con quella, la speranza, la crescita culturale, la possibilità di lavoro per noi e per altri, e tutta la ricchezza delle origini del nostro popolo. Ora ci sentiamo persone utili non più umiliate, ma valorizzate e capaci di esprimere il proprio pensiero. (altro…)
Set 28, 2006 | Focolare Worldwide, Focolari nel Mondo
Mary: «Gerry e io ci siamo sposati nel 1992 e siamo andati a vivere nell’Irlanda del Nord, un paese profondamente diviso per motivazioni religiose e politiche. Per anni i conflitti sono stati violenti, con molti morti e tante ferite ancora aperte. Sono un medico e prima del matrimonio avevo vissuto due anni a Fontem, la cittadella internazionale del Movimento in Camerun. Lì la spiritualità dell’unità con persone di diverse fedi, tribù e razze è diventata una realtà e questa esperienza mi è stata di grande aiuto in Irlanda del Nord. Nel quartiere dove abitavamo, infatti, era netto il confine tra la comunità cattolica e quella protestante: una strada divideva il piccolo paese di 160 case in due parti». Gerry: «Da anni non c’era alcun contatto tra cattolici e protestanti: pub separati (uno cattolico e uno protestante), scuole distinte e poi le chiese, le sale per il Vangelo e i centri sportivi erano rigorosamente divisi tra le due parti. Il problema politico irlandese era così radicato nella mente e nei cuori delle persone, che le rendeva incapaci di andare avanti, rassegnati al fatto che niente potesse cambiare. Molte iniziative politiche erano state tentate, ma erano fallite. Due anni dopo il nostro arrivo, siamo stati invitati a un incontro della comunità locale del Movimento dei Focolari, aperto sia ai cattolici sia ai protestanti, per proporre attività per i giovani del paese. L’incontro avveniva mentre le opposte fazioni politiche nord-irlandesi si apprestavano a cessare il fuoco. C’era grande speranza e, in certo modo, anche il nostro incontro poteva dirsi storico. I partecipanti erano tutte persone del posto, che però non si conoscevano. C’erano due sole persone che venivano da fuori: un inglese, protestante, che lavorava nella zona e Mary, cattolica, della Repubblica irlandese. Quella sera nacque un’associazione: l’inglese fu eletto presidente e Mary segretaria. Ancora oggi, dopo 12 anni, Mary ricopre questo incarico. Negli anni abbiamo realizzato tante iniziative per i bambini, per la comunità e per gli anziani. Con uno sforzo immenso si è costruita una comunità unita, ma a volte ciò è stato difficilissimo». Mary: «La forza che ci veniva dal vivere il Vangelo ci ha aiutato a superare le difficoltà e a costruire giorno per giorno la pace. Siamo stati anche sostenuti da enti governativi che hanno finanziato molti progetti. Un giorno due politici di partiti opposti mi hanno proposto l’idea di costruire un centro comune che potesse essere usato sia dai protestanti, sia dai cattolici. C’era un edificio abbandonato, in una meravigliosa posizione, che poteva essere ristrutturato. Abbiamo lavorato quattro anni per realizzare questo progetto. Poco prima del completamento, però, c’è stato un attentato alla scuola elementare cattolica, dove andavano i nostri quattro figli. Il clima è tornato a irrigidirsi e la situazione era così delicata che il nostro ufficio di comunità fu incendiato. Due importanti edifici della nostra piccola comunità sono andati distrutti. Abbiamo avuto paura, non lo nego, ma il Vangelo ci ha dato la libertà di ricominciare a lottare, rinnovando l’impegno di dare la vita, per arrivare alla pace e alla fratellanza. Il lavoro del nuovo centro è ripreso, ma proprio quando eravamo pronti a fissare una data per la sua apertura, è sopraggiunto un altro problema. I lampioni per l’illuminazione stradale erano stati addobbati con bandiere di un gruppo politico. Nessuno voleva togliere le bandiere, temendo reazioni. Gerry ha incontrato uno dei capi di quel gruppo, con cui avevamo già costruito un rapporto. Quella persona era sconvolta perché, proprio pochi giorni prima, aveva ricevuto una minaccia di morte. Ho sentito che dovevo accantonare le mie richieste per ascoltarlo e lasciargli esprimere la sua preoccupazione per questa situazione inaspettata. Poi mi ha chiesto perché ero andato lì. Alla mia richiesta, lui mi ha assicurato che avrebbe fatto il possibile per risolvere il problema. Dopo alcuni giorni, infatti, il nuovo centro è stato aperto e la minaccia non è stata attuata. In questa occasione abbiamo sentito di non essere soli: Qualcuno lassù, Dio Padre, ci seguiva col Suo amore». (M. e G. B. – Irlanda) (altro…)